La Stampa 14.11.18
Recupero Ici sugli immobili religiosi
Il governo studia lo sconto sulle cartelle
Tra le ipotesi lo sconto sugli interessi o l’abbattimento del capitale. In ballo un tesoretto da 4,8 miliardi
di Michele Di Branco
Governo
pronto a chiedere alla Chiesa l’Ici non pagata e relativa al periodo
2006-2011. Magari con uno sconto su sanzioni e interessi, come nel caso
delle varie rottamazioni in corso. O addirittura anche con un
abbattimento del capitale, considerato che il Vaticano, secondo le stime
del ministero dell’Economia, sarebbe debitore nei confronti dello Stato
italiano di 4,8 miliardi di euro.
Palazzo Chigi, riferiscono
fonti del Tesoro, è già al lavoro sul dossier, in collaborazione con la
direzione della Concorrenza di Bruxelles e con i comuni (che sono i
titolari dell’imposta sugli immobili), ed è pronto a rendere esecutiva,
con tanto di cartelle esattoriali da spedire a Vaticano e diocesi, la
sentenza di una settimana fa, con la quale la Corte di giustizia Ue ha
clamorosamente riaperto il caso dei rapporti tra Stato e Vaticano in
materia di tasse.
In che modo l’Agenzia delle Entrate potrebbe
reclamare le imposte arretrate relative a sei esercizi finanziari? La
questione è complicata e occorre ricordare che, secondo alcune stime, il
20% del patrimonio immobiliare italiano sarebbe in mano alla Chiesa.
Nel dettaglio, tra l’altro, figurerebbero 9 mila scuole, 26 mila tra
chiese, oratori, conventi, campi sportivi e negozi e 5 mila tra
cliniche, ospedali e strutture sanitarie e di vario genere.
La formula forfettaria
Il
problema principale, di non facile soluzione, è riuscire a distinguere
chi svolge attività commerciale da chi non la pratica. Alle prime
attività, lo Stato italiano, attraverso un inevitabile concordato con la
Chiesa, potrebbe chiedere l’Ici arretrata attraverso una formula
forfettaria, rinunciando appunto a sanzioni e interessi, e applicando
un’aliquota fortemente ridotta, come nel caso della Pace fiscale che si
sta mettendo a punto con la manovra. Resta un fatto, che l’accordo con
il quale il governo Monti, nel 2012, si illudeva di aver chiuso la
pratica è ormai carta straccia e ora si riapre un’altra tappa nella
lunghissima vicenda delle esenzioni fiscali garantite agli immobili
della Chiesa.
Occorre infatti ricordare che i giudici della Corte,
annullando la decisione della Commissione del 2012 e la sentenza del
Tribunale Ue del 2016 che avevano stabilito «l’impossibilità di recupero
dell’aiuto a causa di difficoltà organizzative» nei confronti degli
enti non commerciali, come scuole, cliniche e alberghi, hanno intimato
all’Italia di recuperare i soldi mai versati affermando che i problemi
connessi all’attività di contrasto all’evasione fiscale costituiscono
mere «difficoltà interne». Un modo neppure tanto garbato per dire: se
non siete stati capaci di farvi pagare è un problema che non ci riguarda
ma che non vi esenta dai vostri doveri.
La vicenda è complessa:
l’Ici (Imposta comunale sugli immobili, poi sostituita dall’Imu) è stata
introdotta nel 1992, esentando dal suo pagamento gli enti non
commerciali. Fino al 2004 questa esenzione, di cui non beneficiava solo
la Chiesa cattolica, ma tutto il vasto mondo non profit, ha sollevato un
contenzioso fino a quando una sentenza della Cassazione, relativa a un
immobile di proprietà di un istituto religioso utilizzato come casa di
cura e pensionato per studentesse, ha affermato che per beneficiare
dell’esenzione sono necessari tre requisiti tra cui quella più
importante, e cioè che gli immobili venissero usati a fini non
commerciali.
Con il governo Berlusconi
L’esenzione fu però
allargata nel 2005 dal governo Berlusconi per includere tutti gli
immobili di proprietà della Chiesa, anche quelli a fini commerciali.
Questo allargamento fu poi giudicato dalla Commissione europea come un
aiuto di Stato, perchè danneggiava le attività commerciali non di
proprietà della Chiesa.
Nessuna ingiunzione
A partire dal
2012 l’Ici è stata sostituita dall’Imu. E la Commissione ha riscontrato
che questa è conforme alle norme dell’Ue in materia di aiuti di Stato,
in quanto limita l’esenzione agli immobili in cui gli enti non
commerciali svolgono attività non economiche. La Commissione, però, non
ha ingiunto all’Italia di recuperare l’aiuto in quanto Roma aveva
dimostrato che il recupero sarebbe stato impossibile.