il manifesto 14.11.18
Perché la Tav non è soltanto un treno
Alta
velocità. La «profezia» di giornali e tv: 40mila dovevano essere come
al corteo che piegò gli operai della Fiat 40 anni fa, e 40mila sono
stati. Senza nemmeno il bisogno di contarli
di Guido Viale
«Ma
è solo un treno!», esclamava Luigi Bersani, già segretario del Pd, non
riuscendo a capire come intorno alla lotta contro quel «treno» sia
cresciuta per 30 anni la più forte, duratura, combattiva, democratica ed
ecologica comunità del paese. Proprio mentre il suo partito (“la
ditta”), in altri tempi baluardo della democrazia, si stava dissolvendo
tra le grinfie di Renzi. In realtà, quello non è «un treno», ma solo un
pezzo di treno.
Un binario di 57 chilometri per far correre ad
«alta velocità» merci e passeggeri che non ci sono e non ci saranno mai,
dentro una galleria scavata in una montagna piena di uranio e amianto,
mentre prima e dopo, se e quando la galleria sarà stata fatta, quel
treno dovrà accontentarsi delle tratte intasate che la congiungono
all’alta velocità Parigi-Lione e Torino-Milano. Perché per far credere
che il Tav costi meno la duplicazione di quelle tratte è stata rimandata
al dopo: quando ci sarà altro a cui pensare. Perché i cambiamenti
climatici provocati dalle tante grandi opere saranno diventati
irreversibili.
PER ESIGERE la realizzazione di quel non-treno
l’arco delle forze anticostituzionali si è mobilitato sabato scorso a
Torino mettendo insieme Salvini, Pd, Forza Italia, Forza nuova e
Casapound, con industriali, commercianti, professionisti e sindacati
vari, preferendo quell’adunata a una delle 100 manifestazioni delle
donne contro il disegno di legge Pillon, che introduce il fascismo nelle
famiglie, o al corteo di Roma contro il decreto Salvini, che introduce
fascismo in tutto il paese (dandone immediato riscontro con il blocco
dei bus che portavano a Roma i manifestanti, con annessa schedatura a
futura memoria: quando si tratterà di dar loro la caccia casa per
casa?!).
RISULTATO? Una profezia che si avvera: 40mila dovevano
essere come al corteo che aveva piegato gli operai della Fiat 40 anni
fa, e 40mila sono stati; senza nemmeno il bisogno di contarli. Giornali e
Televisioni registrano invece di sfuggita le 100 manifestazioni delle
donne, compiacendosi che anche lì siano state loro a prendere
l’iniziativa, quasi che gli obiettivi fossero gli stessi.
E SUL CORTEO di Roma, che ha forse doppiato i numeri di Torino, nemmeno uno strillo, amco a cercarlo.
E
poi ci si stupisce che Grillo e compagnia diano in escandescenze…così
La Stampa (ai bei tempi detta La Busiarda) riempie tutta la prima pagina
con una gigantografia dell’adunata (quasi fosse scoppiata la bomba
atomica) e un peana al non-treno, cui lega indissolubilmente
«responsabilità personale, rispetto del prossimo, istituzioni della
Repubblica, legame identitario con l’Europa, forza incontenibile della
modernità contro ogni tipo di oppressione».
INSOMMA, la
sopravvivenza della civiltà è legata a un filo e quel filo non è
l’inversione di rotta per fermare i cambiamenti climatici che stanno
distruggendo il paese, il pianeta, e anche il Piemonte, ma un pezzo di
treno.
A questa unanimità dei media sembrava fare eccezione
IlSole24ore, che ha affiancato a una foto dell’adunata torinese un
articolo su «Il grande spreco del Mose di Venezia – 15 anni di lavori
5,5 miliardi di costi». Poi, leggendolo, sembra che alla fine tutto fili
liscio lo stesso, nonostante sprechi, ruberie, corruzione inefficienza e
scarsa probabilità che il Mose funzioni.
È CHE gli abitanti di
Venezia non sono riusciti ad opporsi al Mose (che non salverà Venezia,
ma rischia anzi di sommergerla sotto un’onda anomala) o alle grandi navi
con la stessa determinazione con cui in val di Susa si sono opposti al
Tav, salvando, per ora, sia la valle che parte dei fondi statali: soldi
di tutti.
Ben poche delle persone trascinate in piazza a Torino da
questa ventata di amore per quel non-treno – che «ci avvicinerà alla
Francia e all’Europa»; proprio quando metà dei promotori, neanche tanto
occulti, di quell’adunata strilla ogni giorno contro entrambe – hanno
cercato di informarsi sullo stato reale di avanzamento dei lavori, sulle
ragioni del no, sulle difficoltà tecniche, economiche e soprattutto su
quelle sociali e ambientali che continueranno a ostacolarne la
realizzazione.
MA LO SPIRITO del raduno, finalizzato soprattutto a
far saltare la giunta Appendino (il che non restituirebbe la città a
Fassino, ma la consegnerebbe a Salvini), era illustrata da alcuni
cartelli ben in vista in quell’evento storico: «No Ztl»; «Libera
circolazione!», ovviamente, delle auto.
A LORO di quel treno forse
poco importa: vogliono cacciare l’Appendino per tornare ad andare in
ufficio o a fare shopping «in macchina». E tutto questo mentre metà del
paese sta letteralmente crollando, affogando e scomparendo, travolta da
un maltempo che prefigura i futuri disastri dei cambiamenti climatici.
Di cui anche uno sprovveduto dovrebbe ormai accorgersi; e scendere in
piazza perché si cambi immediatamente rotta, invece di gingillarsi con
quel non-treno che non si farà mai.