lunedì 12 novembre 2018

La Stampa 12.11.18
Donatella Di Cesare
Quel che resta della vocazione politica della filosofia
di Federico Vercellone


Da sempre il pensiero filosofico ha una vocazione alla politica che sembrerebbe venir meno oggi, nell’età che non coltiva più né progetti né futuro. Viviamo, come ci ricorda Donatella Di Cesare in Sulla vocazione politica della filosofia (Bollati Boringhieri), in un mondo in cui non c’è più un fuori, in cui la membrana che divide il soggetto dal mondo è venuta meno. Esistiamo in uno spazio universalmente condiviso in cui è scomparso il segreto dell’Io. E manca un punto su cui fare leva per fondare la responsabilità nostra e quella del pensiero. Da tempo la filosofia non è più la regina delle scienze. Ora deve rinunciare anche al suo ultimo compito, quello di teoria critica della società. Ma davvero il pensiero speculativo può sottrarsi senza danno al confronto con la polis?
Donatella Di Cesare fa lucidamente i conti con la questione, e con l’idea di una vocazione egemonica sempre presente, da Eraclito a Heidegger, della filosofia sulla polis. Il cuore del discorso è anche il suo anello più dolente, quello rappresentato da Heidegger: l’ultimo filosofo-re, il post-platonico che vorrebbe dominare la polis dall’alto esercitando su essa una legislazione filosofica. È così il paesaggio devastante e devastato del totalitarismo a profilarsi. Bisogna passare attraverso Heidegger, il filosofo più consapevole della dispersione del soggetto nel mondo e dei suoi rischi, per trovarsi nella post-storia e di qui nella terra dove non c’è fuori. Egli intravede il rischio della massificazione nel mondo contemporaneo, e vi reagisce con un pensiero criminale, assumendosi una tragica responsabilità.
Nel nostro tempo le cose cambiano: la filosofia diviene una disciplina quanto mai civile e addomesticata. Non è più regina delle scienze, e nemmeno teoria critica della società. Diviene, molto dignitosamente, la paladina acritica della democrazia liberale, e si sottopone volentieri alla sua logica della contrattazione. Tuttavia la paideia della nuova democrazia non basta. Il pensiero non può divenire un semplice terreno di scambio memore come è della sua universalità. Da Eraclito a Platone a Heidegger la filosofia è abituata a farsi signora di ogni ordinamento e dunque anche di quello politico. Con Heidegger sopraggiunge un ordine tragico che si sovrappone ai conflitti, che vuole dominarli costringendoli sotto il gioco di un nomos che si fa tiranno dell’essere, che si impone forzosamente su di un mondo selvaggio, bisogna tuttavia, secondo Di Cesare, fare un passo oltre non solo il totalitarismo ma anche la dignitosa difesa d’ufficio della democrazia, per andare in direzione di una sorta di tutela quasi creaturale, anarchica, di un essere che non vuole scambiare la sua vita con il nomos, con il volto imperturbabile della legge.