La Stampa 10.11.18
Eia eia Mompracem!
Così Salgari, defunto, diventò fascista
di Mario Baudino
Nel
1928, non del tutto all’improvviso, Emilio Salgari divenne fascista:
anzi, il precursore del fascismo, lo scrittore che aveva destato un
nuovo spirito guerriero nella gioventù italiana - quella della Grande
guerra, scesa in trincea con i suoi romanzi, si volle credere, nello
zaino. Un classico della letteratura moderna da anteporre, poniamo, a
Leopardi. E una vittima, anzi un martire, degli editori «vampiri», che
lo avevano sfruttato fino all’osso, come uno schiavo, spingendolo infine
al tragico suicidio. Fu un «assassinio», proclamarono gli intellettuali
fascisti più esagitati, sulle pagine di un settimanale di non immensa
fortuna ma in grado di lanciare una campagna efficacissima. Si chiamava
Il Raduno ed era l’emanazione del sindacato autori, scrittori,
musicisti, pittori, scultori. Va da sé che il povero Salgari era
totalmente incolpevole ed estraneo alla gazzarra.
La complicità dei figli
Morto
a Torino nel 1911 (scegliendo la crudele modalità giapponese di
tagliarsi il ventre), aveva sì accusato gli editori di essersi
«arricchiti sulla mia pelle», ma in realtà era stato stroncato da un
lungo percorso di depressione, alcolismo, guai economici e tragedie
famigliari. Quanto al fascismo, poi, nessuno più di lui ne sembrava
lontano: i suoi eroi erano pirati coraggiosi e romantici ma in lotta
semmai contro i «bianchi» (si pensi a Sandokan e ai tigrotti di
Mompracem), dediti ad amori «interrazziali», estranei a ogni forma di
nazionalismo. E gli editori, considerati i tempi, lo pagavano bene.
Lo
dimostra l’italianista inglese Ann Lawson Lucas, nel secondo volume di
un’opera che ne prevede quattro, uscito per Olskchi col titolo Emilio
Salgari. Una mitologia moderna tra letteratura, politica e società -
Fascismo
. Lo sfruttamento personale e politico. Copre gli anni
dal 1916 al 1943, quando non solo l’autore venne ascritto - non senza
qualche isolata perplessità - al pantheon mussoliniano, ma si scatenò
anche, in una sorta di complicità forzata tra gli editori e i figli Omar
e Nadir, l’enorme produzione di falsi, che ancora oggi sembra
complicata da disboscare.
Nacque così, ad esempio, la leggenda del
«capitano di lungo corso» - diciottenne nei mari del Sud, dove avrebbe
conosciuto di persona Sandokan o Tremal Naik e preso a odiare gli
inglesi anche per via di qualche amore sfortunato - dovuta a un testo
del tutto apocrifo, Le mie memorie (pubblicato nel ’28 da Mondadori).
Faceva parte della «fabbrica» salgariana messa in piedi dai figli, con
uno stuolo di ghost writer cui venivano commissionati sempre nuovi
libri, in un gioco a rimpiattino con i molti editori, da Bemporad a
Vallardi a Sonzogno ad altri minori. La Lawson sdipana una matassa
intricata, ma l’aspetto più interessante dello studio è quello politico.
I
«fascistizzatori» spuntarono subito, all’indomani della marcia su Roma.
Tra loro per esempio tal Luigi Motta, che lo aveva frequentato negli
ultimi anni di vita e avrebbe prodotto falsi fino agli Anni Sessanta. In
una prefazione del ’22 già parlava dei marinai e soldati «vanto e
gloria d’Italia» divenuti tali «per opera di quelle letture che non
insegnano il vizio e la corruzione, ma le gesta generose che nobilitano
veramente l’uomo».
«Il nostro contravveleno»
L’aspetto
curioso della vicenda è che la fascistizzazione dello scrittore non
risulta essere opera diretta del regime, attraverso i suoi strumenti
istituzionali, per esempio i ministeri, ma di una comunità intellettuale
fanatica e spregiudicata. Ebbe qualcosa di spontaneo, e in fin dei
conti anche di casuale.
La campagna che lanciò Il Raduno puntava
infatti un non troppo celato obiettivo polemico: l’editore Bemporad di
Firenze, inviso per ragioni personali ad Antonio Beltramelli, poligrafo
fascistissimo, futuro accademico d’Italia e segretario generale del
sindacato scrittori; ma in generale attaccava anche l’intera categoria
di chi stampava e vendeva libri, accusata di essere una sorta di casta
affamatrice. Bemporad, nella fattinspecie, era l’affamatore di Salgari,
di cui era stato l’ultimo editore in vita. Si cominciò col primo numero,
uscito nel dicembre del ’27, additando nello scrittore «il nostro
precettore, il nostro salvatore, il contravveleno» a un’educazione
ricevuta da ragazzi con genitori «allucinati dalle idee
socialiste-umanitarie», «quando ogni sogno romantico era automaticamente
represso».
Gli articoli si susseguono, di numero in numero,
facendone «il primo, il tacito e sicuro alleato di Benito Mussolini»,
l’«umile forgiatore di coscienze, precursore sepolto», ed esecrando gli
«strozzini» a causa dei quali era morto in miseria. Bemporad, ebreo (e
già si comincia a farlo notare, benché le leggi razziali siano ancora
lontane), si difende anche se con poco successo, sopraffatto dalla
canea. Verrà chiesto a gran voce l’esproprio dei diritti salgariani, per
una «edizione nazionale» che avrebbe distribuito i proventi tra gli
eredi e l’Opera Balilla, esproprio tecnicamente impossibile, ma non
importa. È persino istituita una commissione d’inchiesta, che però
«assolve» l’editore fiorentino dal delitto di strozzinaggio.
Nonostante
le ironie di Arnaldo Mussolini e Margherita Sarfatti, amante e
consigliera del Duce - che proprio non trova tracce di fascismo in
Salgari -, i giochi sono fatti. Ormai è un dogma, destinato a culminare
nel ’38 quando, morto Nadir, il fratello minore Omar prende le redini
dell’«azienda», commissiona nuovi falsi, e pubblica nel ’40 a propria
firma un’altra fantasiosa biografia del padre, scritta in realtà da uno
dei più prolifici autori fantasma, il torinese Giovanni Bertinetti.
Intanto lo scrittore era stato trasposto a fumetti, e poi sarebbero
arrivati i film «bellici» di grande successo.
C’era ormai una
consolidata verità di regime, di cui peraltro la fama postuma non ebbe a
patire: basti pensare al Sandokan-Kabir Bedi dello sceneggiato tv, nel
1976. Ma tutto ciò non si poteva prevedere mentre l’Italia si avviava
alla guerra e alla vergogna. Proprio nel ’38, l’anno delle leggi
razziali, Il Popolo d’Italia pubblica un ennesimo articolo sulle
vicissitudini editoriali con Bemporad. Titolo: «Salgari e l’ebreo».