Il Sole Domenica 4.11.18
Anatomia dei Romanov
Una mostra 
allo Science Museum esamina gli ultimi anni della famiglia imperiale e 
il suo destino dopo la morte: si possono ammirare foto inedite e oggetti
 mai usciti prima dalla Russia
di Nicol Degli Innocenti
The Last Tsar: Blood and Revolution
Fino al 24 marzo 2019 Science Museum, Londra
www.sciencemuseum.org.uk
La
 scienza ha risolto il mistero della fine dell’ultimo Zar di Russia e 
della sua famiglia, ma non ha intaccato il fascino della storia o 
affievolito l’interesse per la tragedia.
È passato un secolo da 
quando Nicola II Romanov, la moglie Aleksandra, le figlie Olga, Maria, 
Tatiana e Anastasia e l’erede al trono Aleksej sono stati fucilati nello
 scantinato della casa Ipatiev di Ekaterinburg dove erano tenuti 
prigionieri dai bolscevichi.
Lo Science Museum di Londra commemora
 il centenario con la mostra The Last Tsar, che ricostruisce gli ultimi 
anni di vita della famiglia imperiale e il loro destino dopo la morte, 
concentrandosi in particolare sulla missione scientifica per 
identificare i resti trovati molti decenni dopo.
La Gran Bretagna 
ha legami storici e familiari con la famiglia imperiale russa. Lo zar 
era cugino primo e praticamente sosia del re Giorgio V, mentre la regina
 Vittoria era la nonna della zarina Aleksandra, figlia della sua 
secondogenita Alice. Un legame di sangue che si è dimostrato fatale. Fu 
Vittoria a trasmettere al bisnipote Aleksej l’emofilia di tipo B, una 
malattia genetica trasmessa dalle donne che colpisce soprattutto uomini.
La
 mostra è divisa in due parti: prima e dopo l’eccidio. La prima parte 
esplora gli ultimi anni di vita dei Romanov e in particolare il loro 
interesse, intenso fino all’ossessione, per la medicina. C’è una ragione
 molto umana per questo. La zarina aveva avuto quattro figlie e a ogni 
nascita la gioia era stata minata dalla delusione per il mancato arrivo 
dell’erede maschio. Il giubilo e il sollievo alla nascita di Aleksej nel
 1904 erano stati immensi, ma di breve durata.
L’erede al trono 
era condannato. La zarina aveva riconosciuto i segni della malattia, che
 aveva ucciso suo fratello, suo zio e suo nipote, e tormentata dai sensi
 di colpa ha dedicato il resto della sua vita a cercare una cura per 
salvare il figlio, rivolgendosi tra l’altro al celebre Rasputin. La 
famiglia imperiale però non poteva dimostrarsi vulnerabile, e quindi la 
malattia dell’erede al trono diventò un segreto di Stato.
L’idea 
della mostra è nata quando una ricercatrice russa, rovistando negli 
archivi dello Science Museum, ha scoperto una scatola dimenticata che 
conteneva 22 album di fotografie di Herbert Galloway Stewart, insegnante
 di inglese della famiglia imperiale che ha vissuto con loro tra il 1908
 e il 1918.
Le foto assolutamente inedite presentano un’immagine 
dei Romanov molto diversa dalla rigida formalità delle foto ufficiali 
della Corte. Sono immagini di vita familiare serena e rilassata, che 
mostrano la tenerezza con cui lo zar prende in braccio il figlio o 
l’evidente complicità tra sorelle.
Lo Science Museum affronta il 
tema con un rigore degno del suo nome, ma non trascura l’aspetto umano. 
«Con questa mostra vogliamo aprire la vostra mente e spezzare il vostro 
cuore», ha dichiarato il direttore del museo, Ian Blatchford.
Alcuni
 oggetti in mostra, mai usciti prima dalla Russia, spezzano il cuore. 
L’abito premaman di seta e pizzo di Aleksandra indossato nell’ultima 
gravidanza; la sedia a rotelle in vimini di Aleksej, che camminava con 
grande difficoltà; la croce di smeraldi della zarina, scheggiata da un 
proiettile la notte dell’eccidio.
Le uova di Fabergé illustrano 
forse più di ogni altra cosa il cambiamento nella vita della coppia 
imperiale. Per anni lo zar aveva regalato alla zarina un uovo-gioiello, 
tempestato di diamanti, rubini e smeraldi. Le ultime due uova, entrambe 
in mostra, non hanno nulla di frivolo o di lussuoso. L’uovo del 1915 è 
di smalto decorato con una croce rossa e contiene i ritratti di Olga e 
Tatiana nella loro uniforme di infermiere durante la guerra. L’uovo del 
1916, l’ultimo regalato da Nicola ad Aleksandra, è militaresco, in umile
 acciaio, sostenuto da quattro proiettili, e la sorpresa al suo interno è
 una miniatura dello zar e del figlio in uniforme assieme ai loro 
ufficiali.
Dopo la rivoluzione, fu la riluttanza del Governo 
britannico a concedere esilio politico allo Zar –l’offerta fu revocata 
nell’aprile 1917 - a segnare il destino di Nicola II e della sua 
famiglia.
Il legame britannico è continuato in anni più recenti. 
L’inchiesta ufficiale sovietica negli anni Venti era giunta alla 
conclusione che la famiglia imperiale era stata uccisa, ma dato che i 
corpi non erano stati ritrovati il dubbio sul loro destino era rimasto, 
un mistero alimentato dalla chiusura degli archivi sovietici. Quando i 
resti scoperti nelle vicinanze di casa Ipatiev sono stati esumati nel 
1991 è stato chiesto al medico legale inglese Peter Gill, massimo 
esperto di genetica forense, di esaminarli. Non era un compito facile. I
 bolscevichi avevano fatto di tutto per non lasciare tracce: i corpi 
erano stati fatti a pezzi e dissolti nell’acido.
«È stata la prima
 volta che il Dna è stato usato per risolvere un mistero storico», 
ricorda Gill, che da frammenti di osso ha individuato il profilo 
genetico analizzando il Dna mitocondriale trasmesso per via materna. Il 
confronto con il Dna di discendenti diretti, tra i quali il principe 
consorte Filippo, non ha lasciato dubbi. I resti erano quelli dello zar,
 della zarina e di tre figlie. Nel 2007 sono stati trovati altri resti e
 Gill è stato richiamato a esaminarli e confrontarli usando le ultime 
tecnologie. La sua conclusione è stata chiara: i resti erano quelli di 
Maria e di Aleksej – con tracce di emofilia B.
Il mito della 
granduchessa Anastasia miracolosamente sopravvissuta all’eccidio, 
alimentato da numerose pretendenti, da film e perfino da un cartone 
animato Disney, è appunto tale. Anastasia è morta assieme ai genitori, 
alle sorelle e al fratello. Le ultime tecniche di ricostruzione facciale
 hanno permesso di ricreare i volti dei Romanov, che fanno parte della 
mostra assieme ai macchinari utilizzati da Gill.
La scienza ha 
risolto il mistero ma la storia continua a non avere un lieto fine. Nel 
1998 i resti di Nicola, Aleksandra, Tatiana, Olga e Anastasia sono stati
 seppelliti con grande cerimonia nella cattedrale di San Pietro e Paolo a
 San Pietroburgo. I resti di Aleksej e Maria, invece, non sono stati 
ancora seppelliti perché la Chiesa ortodossa russa mette in dubbio la 
loro autenticità e non accetta le conclusioni di Gill. I sette membri 
della famiglia imperiale, che in vita sono stati così legati fino 
all’ultimo istante, a un secolo dalla morte sono ancora separati.
 
