Il Sole Domenica 4.11.18
La via italiana al marxismo
Itinerari
filosofici. Marcello Mustè ricostruisce la storia della complessa
vicenda del movimento operaio europeo che nel nostro Paese ha avuto
un’assoluta unicità e identità
di Giuseppe Vacca
Marcello Mustè, Marxismo e filosofia della praxis. Da Labriola a Gramsci, Viella, Roma
Il
bicentenario della nascita di Karl Marx ha riacceso l’interesse per la
diffusione del suo pensiero in Italia. Fra le ricerche dedicate a questo
tema spicca il libro di Marcello Mustè Marxismo e filosofia della
praxis: Da Labriola a Gramsci, appena pubblicato da Viella. Il tema
della «via italiana al marxismo» fu posto nel dopoguerra in chiave di
politica culturale. All’inizio degli anni Ottanta, in piena crisi del
marxismo, fu riformulato da Biagio de Giovanni in un celebre saggio
intitolato Le vie di Marx filosofo in Italia che sottolineava
l’incidenza della filosofia della prassi del giovane Marx sulla nascita
del neoidealismo ravvisando in essa la ragione principale della sua
vitalità.
Quarant’anni dopo il tema ha assunto un carattere
squisitamente storiografico e viene affrontato da Musté nel modo finora
più esauriente e persuasivo al fine di spiegare perché il marxismo
italiano, nel quarantennio 1895-1935, abbia avuto una «storia a sé nella
complessa vicenda del movimento operaio europeo».
La formula
«filosofia della praxis» fu coniata da Antonio Labriola che, di fronte
alla crisi del marxismo di fine Ottocento, avvertì l’esigenza di
ripensarne il fondamento filosofico. Dai suoi saggi sulla concezione
materialistica della storia (1895-1898) ebbe origine un nuovo modo di
intendere il pensiero di Marx.
Labriola collegava la crisi teorica
del marxismo alla crisi dell’assetto politico europeo e ne coglieva i
riverberi nella situazione italiana. Scrutandola con le lenti di Marx
filosofo della prassi, egli inaugurava una nuova metodologia
storiografica collocando la vicenda nazionale italiana nella «storia
mondiale». Prendeva corpo così una visione della contemporaneità
scandita dall’interdipendenza e dalle altalenanti asimmetrie fra storia
mondiali e storie nazionali.
Riallacciandosi alla lezione di
Bertrando Spaventa, Labriola faceva con Marx quello che il suo maestro
aveva fatto con Hegel: ne innestava il pensiero nella storia e nella
cultura italiane. Per lui la praxis era il lavoro e quindi il soggetto a
cui si rivolgeva era il movimento operaio da poco costituitosi in
partito socialista. Nello stesso tempo, riattivando il paradigma della
circolazione europea della filosofia italiana, elevava il marxismo ai
livelli della cultura europea più avanzata facendo sì che la nuova
filosofia che germinava dalla dissoluzione dell’egemonia positivistica
dovesse fare i conti con Marx. Come abbiamo accennato, è il tema più
volte esplorato della cosiddetta rinascita dell’idealismo e
specificatamente delle origini della filosofia dello spirito di
Benedetto Croce e dell’attualismo di Giovanni Gentile. Grazie alle dense
pagine in cui illustra gli elementi del pensiero di Marx che
fertilizzarono la filosofia di Croce e di Gentile, Mustè elimina
numerosi fraintendimenti. In entrambi i filosofi la contaminazione con
il marxismo mirava a negare autonomia filosofica e legittimità egemonica
al socialismo: per Croce non c’era il problema storico di un nuovo
soggetto poiché rimaneva ben salda la figura del riformismo liberale
come unico soggetto egemonico e per Gentile il nuovo soggetto era il
nazionalismo.
Ma prima dell’ampio capitolo dedicato a Gramsci
merita almeno un cenno quello su Rodolfo Mondolfo in cui Mustè analizza
l’interpretazione di Feuerbach grazie alla quale Mondolfo aveva
confutato la lettura gentiliana delle Tesi su Feuerbach del giovane
Marx, ravvivando l’interesse per la sua filosofia dopo la critica
distruttiva di Croce. Inoltre dimostra che quando Gramsci tradusse le
Tesi su Feuerbach si giovò della correzione mondolfiana della tesi sul
“rovesciamento della praxis” che Gentile aveva tradotto erroneamente,
eliminando molti equivoci sulla derivazione della filosofia della prassi
di Gramsci dalla Filosofia di Marx di Gentile.
Nei Quaderni del
carcere, la sostituzione del lemma materialismo storico con filosofia
della prassi scaturisce dalla convinzione, raggiunta da Gramsci nel
1931, che la revisione del marxismo ne delineava una nuova figura.
Quindi si propose di rimettere in circolazione il pensiero di Labriola
attualizzandone la nomenclatura. Gramsci fu spinto a concepire il
disegno di rifondare la filosofia del marxismo, come trent’anni prima
era accaduto a Labriola, da un passaggio epocale della storia del mondo
che spegneva le possibilità egemoniche del marxismo tanto della vulgata
socialdemocratica quanto di quella sovietica. E Musté, mettendo ordine
nella copiosa letteratura sviluppatasi nell’ultimo trentennio sul legame
fra la revisione gramsciana del marxismo e la crisi degli anni Trenta ,
ne offre una convincente illustrazione.
Si può dire
sinteticamente che negli anni Trenta il problema del soggetto si
presentava in modo nuovo, assumendo aspetti spiccatamente filosofici. La
guerra aveva intensificato la crisi dello stato nazione e, fra i
pensatori che affrontarono il problema, Gramsci si distingue per aver
cercato di esplorare le vie della sovranità sovranazionale. Egli pensava
che la crisi degli anni Trenta ponesse il compito “di collaborare a
ricostruire il mondo in modo unitario” e a questo fine non v’erano
soggetti già dati, ma da costruire. Quindi il marxismo doveva essere
liberato tanto dal determinismo economico quanto dal riduzionismo
sociologico.
Di questo programma scientifico Mustè ricostruisce
con acume l’itinerario filosofico, approfondendone alcuni concetti
fondamentali: la traducibilità dei linguaggi scientifici e filosofici
grazie alla quale Marx aveva individuato i differenziali della
formazione capitalistica europea, inaugurando un nuovo capitolo delle
vie nazionali della politica, dell’economia e della filosofia. Quel
concetto consentiva a Gramsci di sostituire la metafora architettonica
struttura-sovrastruttura con l’analisi dei rapporti di forza espungendo
dal marxismo ogni residuo deterministico. Ma come procedere
nell’unificazione del molteplice, compito quanto mai arduo per una
politica votata all’unificazione del genere umano? Il concetto
filosofico elaborato da Gramsci al riguardo è quello di catarsi (Mustè
lo approfondisce in un bellissimo capitolo dedicato alle note sul canto X
dell’Inferno) che rende possibile discernere il particolare dal
generale, traducendo l’economico-corporativo in potenza etica ed energia
politica universali.
Queste categorie sottendono una nuova
definizione della soggettività politica che Gramsci denomina volontà
collettiva nazionale popolare, generata dall’interazione fra
intellettuali e masse nelle società complesse. Il partito politico è
«l’organismo»creato dalla modernità europea per promuoverla,
rappresentandone già una prima e stabile cellula. Mustè conclude quindi
la sua ricerca riformulando il tema del «moderno principe», di cui
individua la missione nella capacità di mettere a tema le contraddizioni
fra il cosmopolitismo dell’economia e il nazionalismo della politica,
minaccia incombente sulla modernità capitalistica, e nella
organizzazione della democrazia a scala nazionale e sovranazionale.