Il Sole Domenica 18.11.18
Verso il centenario della nascita. Il
 ritrovamento di una copia della prima edizione di «Se questo è un 
uomo», appartenuta a una biblioteca del Movimento Comunità di Adriano 
Olivetti, è l’occasione per fare luce sul ruolo che la sorella dello 
scrittore ebbe nella pubblicazione del testo
Anna Maria e Primo Levi, fratelli resistenti
di Domenico Scarpa
Il
 22 giugno 1941 era una domenica. Fra i quattro ragazzi saliti a 
Piossasco per una gita in collina ignoriamo l’identità di quello a 
sinistra ma conosciamo gli altri tre, che vengono tutti da Torino. La 
ragazza sulla destra si chiama Bianca Guidetti Serra, al centro ci sono i
 fratelli Anna Maria e Primo Levi, vent’anni lei e ventidue lui, che 
appena dieci giorni fa si è laureato in Chimica ricevendo un diploma che
 specifica «di razza ebraica». Nessuno di quei quattro ragazzi 
sorridenti sa ancora che il Führer ha scelto proprio questa domenica per
 lanciare l’attacco alla Russia di Stalin che per la Germania nazista 
sarà il principio della rovina.
Se il ragazzo senza nome è 
equipaggiato con corde da alpinismo, solo poi gli altri tre scopriranno 
che «andare in montagna» è sinonimo di «fare la Resistenza»: nell’Italia
 del 1941 il nome e la cosa non esistono. Così mingherlina, Anna Maria è
 estroversa e coraggiosa. La sua storia la si conosce solo per 
frammenti, cui qui abbiamo provato a dare corpo. Nella Resistenza sarà 
impegnata soprattutto a Torino, come staffetta e portatrice di stampa 
clandestina del Partito d’Azione, «Il partigiano alpino» e «L’Italia 
libera». Una volta, a Borgofranco d’Ivrea, con la borsa piena di 
giornali affronta tranquilla un posto di blocco; a occhio quei soldati 
non le sembrano troppo intelligenti; lei gli racconta che tutta quella 
carta arrotolata è per il negozio di sua zia. I giornali arrivano a 
destinazione, e non sarà l’unica sua consegna di carta significativa.
Tra
 le compagne di Anna Maria Levi ci sono sua cugina Ada Della Torre, una 
seconda Ada che è la vedova di Piero Gobetti, e Bianca. Anna Maria è 
entrata nella Resistenza dopo che il suo fidanzato Franco Tedeschi e 
Primo sono stati catturati e deportati. Franco non tornerà da 
Mauthausen, mentre una notte del luglio 1944 la cugina Ada sogna il 
cugino Primo: «Aveva addosso una specie di pigiama e in testa un goffo 
berrettino. Chiacchieravamo amichevolmente». È uno strano sogno, la 
mattina dopo Ada non arriva a farlo riaffiorare. Ci riesce solo quando 
in casa di Bianca le consegnano una cartolina spedita da Auschwitz un 
mese prima. Firma la cartolina un tale Lorenzo Perrone, un muratore: 
scrive che Primo sta bene, lavora ed è «un po’ dimagrito».
Ci sono
 sogni che si corrispondono, ma alla rovescia. Nel Lager di Auschwitz, 
Primo sogna spesso il proprio ritorno, sempre allo stesso modo: è di 
nuovo a casa, ci sono gli amici e i parenti, lui comincia a raccontare 
ma tutti si distraggono, nessuno ascolta. «Mia sorella mi guarda, si 
alza e se ne va senza far parola». Questo sogno è tra gli episodi più 
famosi di Se questo è un uomo.
Le gite in collina fatte da 
ragazzi, con il posto e il giorno segnati a penna; la storia che fa le 
sue giravolte mentre le persone vivono ignare; ragazze e ragazzi che 
devono imparare a combattere nei modi più diversi, e qualcuno muore; un 
sogno e un incubo che chissà come s’incrociano. L’anno prossimo, 2019, 
ricorre il centenario della nascita di Primo Levi. Fra l’una e l’altra 
delle storie qui abbozzate balena il profilo di quello che egli stesso 
ha definito il suo libro «primogenito», Se questo è un uomo, la cui 
prima edizione esce nell’ottobre 1947 da De Silva, un piccolo editore 
torinese. Era giusto dedicare un’intera mostra alla comparsa di un’opera
 destinata a segnare – retroattivamente – la propria epoca: ai sentieri 
imboccati da questo «animale nomade» (altra definizione d’autore). E ne 
emerge, in pieno, il ruolo decisivo di Anna Maria Levi per il destino 
del libro. Fu proprio lei, già segretaria del Partito d’Azione nel 
Comitato di liberazione nazionale per il Piemonte, a consegnare il 
manoscritto (già rifiutato da alcuni editori) allo storico Alessandro 
Galante Garrone, che a sua volta lo passò all’ex presidente del Cln 
Franco Antonicelli, fondatore della casa editrice De Silva.
Antonicelli
 pubblicò il libro di Levi. Lavorava con lui un altro ex partigiano del 
Pd’A, Renzo Zorzi. Fu l’uno o l’altro a scegliere il titolo Se questo è 
un uomo. Poco più tardi Anna Maria entrò in contatto con Adriano 
Olivetti e gli presentò Zorzi. Olivetti aveva appena fondato il suo 
Movimento Comunità, un partito politico di matrice cristiana e 
ispirazione repubblicana, laica, federalista. Olivetti aprì a Torino, in
 Borgo San Paolo, un Centro Sociale, incaricando Anna Maria e Zorzi di 
condurlo: c’erano da porre le basi per un lavoro concreto sul 
territorio. Zorzi aveva allestito una biblioteca ed era Anna Maria a 
gestirla. Quella prima biblioteca è certo all’origine delle vicende – 
sconosciute fino a questo momento – della copia di Se questo è un uomo 
la cui sovraccoperta è qui riprodotta: appena ritrovata: proviene dalla 
biblioteca dell’Istituto Italiano dei Centri Comunitari, che aveva sede a
 Roma in via di Porta Pinciana 6. Il libro fu catalogato il 26 febbraio 
1954 con il numero 1381.
Fondato a Roma nel 1950, l’Istituto 
faceva capo alle iniziative politiche, sociali e imprenditoriali di 
Olivetti. Erano gli anni della ricostruzione, e Se questo è un uomo era 
un’opera di ricostruzione. «Si trattava», spiega Olivetti, «di portare 
gradatamente in tutti i piccoli villaggi – cioè nell’intera Comunità – 
il piano di assistenza sociale, culturale, educativa, ricreativa, quale 
si trova nelle nazioni più progredite». Le biblioteche erano il 
fondamento dell’intero lavoro.
Nel 1953 Anna Maria Levi si 
trasferì da Torino a Roma. Olivetti le aveva chiesto di curare, con 
Paolo Volponi, la rivista «Centro Sociale», organo del Cepas, Centro di 
educazione professionale per assistenti sociali. Le attività del Cepas, 
così come quelle dell’Istituto Centri Comunitari, prosperarono nel corso
 degli anni cinquanta, fino alla sconfitta del Movimento Comunità alle 
elezioni del 1958, seguita poco più tardi (27 febbraio 1960) dalla morte
 improvvisa di Adriano. La biblioteca dell’Istituto andò dispersa: e 
oggi la copia, con i suoi timbri e talloncini del 1954, è esposta nella 
mostra dedicata al libro «primogenito». Oggi, è significativo sapere che
 in via di Porta Pinciana 6 ha sede un’altra biblioteca in sintonia con 
quella di Olivetti: la Biblioteca della Svimez, Associazione per lo 
sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Più significativo ancora 
trovare incastonate, nel selciato davanti a quel portone che era il loro
 portone di casa, le «pietre d’inciampo» in memoria di Ida Luzzatti e di
 Elena Segre, madre e figlia, catturate dai nazisti nella razzia del 16 
ottobre 1943.
 
