lunedì 12 novembre 2018

Il Sole Domenica 11.11.18
I prossimi esami per la Cina
Il processo di trasformazione che ha già cambiato il Paese dovrà prevedere la riforma del sistema bancario, lo sviluppo del terziario, ingenti spese per scuola e sanità e molto altro
di Romano Prodi


La Cina è arrivata ad essere il primo Paese del mondo per reddito prodotto mantenendo e, negli ultimi mesi anche accentuando, la verticalità del suo potere decisionale. Con un’immagine forse troppo sintetica e certamente imperfetta cerco abitualmente, non senza un certo azzardo, di spiegare ai miei studenti che la Cina ha scelto la strategia opposta a quella del Principe di Salina nel Gattopardo. A Palermo tutto doveva cambiare perché tutto rimanesse uguale. A Pechino tutto doveva rimanere fermo perché tutto nella società cinese potesse cambiare e trasformarsi in modo radicale, veloce e senza precedenti.
Questa linea di comportamento, che si conferma da quarant’anni, si è ulteriormente rafforzata dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica: i dirigenti cinesi non hanno infatti mai perdonato ai loro colleghi sovietici di aver percorso il cammino opposto, premiando le riforme politico-istituzionali rispetto ai cambiamenti del sistema economico. Non solo non vi sono segni che questa dottrina verrà cambiata nel prevedibile futuro ma, all’opposto, si sta assistendo ad un ulteriore accentramento del potere decisionale.
Al di sopra della piramide resta il Partito che, con i suoi ottanta milioni di iscritti e sotto il robusto comando del presidente Xi Jinping, dirige e regola la vita cinese in ogni suo aspetto. Non solo nel tradizionale controllo sul governo e sull’esercito ma sull’economia, sull’informazione e sulle amministrazioni delle province, tradizionalmente portate ad assumere atteggiamenti di eccessiva indipendenza, ma soprattutto nella gestione dei bilanci. Il che ha causato e sta causando seri problemi di coerenza e di compatibilità delle politiche provinciali nei confronti delle decisioni di carattere nazionale.
Negli ultimi cinque anni al già ponderoso dossier del presidente si è aggiunta la lotta alla corruzione, decisione assolutamente necessaria per la dimensione che essa aveva assunto a tutti i livelli. Una dimensione che rischiava di mettere in pericolo i necessari elementi di coesione della società cinese. Non si hanno dati precisi di quanti dirigenti e funzionari siano ora sotto accusa con diverse modalità e diversi livelli di gravità. Si parla in ogni caso di numeri estremamente elevati sui quali non si hanno precisi elementi di giudizio. Da economista posso solo constatare che, con l’inizio della lotta contro la corruzione, la domanda di beni di lusso ha subito una fortissima caduta, per riprendersi soltanto quando la continua crescita del reddito e il conseguente aumento di nuovi consumatori ha permesso la ripresa del settore.
Negli ultimi anni la Cina, che già aveva causato tensioni e problemi soprattutto per la sua capacità concorrenziale in materia di costi, è entrata con forza nelle nuove tecnologie e, rendendo palese la volontà di raggiungere il primato in settori particolarmente avanzati attraverso il così detto «Progetto 2025», ha scatenato prima l’attenzione e poi l’ostilità degli Stati Uniti d’America. Una tensione che è stata resa pubblica ed è diventata una bandiera politica con il presidente Trump, ma che è ormai una caratteristica di tutto il mondo politico americano, con differenze solo di tono fra democratici e repubblicani.
La rapidità e la dimensione del progresso cinese hanno sorpreso tutti: si tratta infatti di un progresso a tutto campo fondato prima sui bassi salari, poi su straordinari aumenti di produttività, anche se molto spesso accompagnati da violazione delle regole sui brevetti e sulla proprietà intellettuale. E su questi campi è interesse anche cinese porre un rapido rimedio, come strumento necessario, anche se forse non sufficiente, per evitare una guerra commerciale di cui nessuno conosce gli esiti finali.
Certo oggi non si può definire la Cina come un paese a basso costo del lavoro. Per illustrare sinteticamente quali siano stati i cambiamenti in materia ricordo solo che, all’inizio degli anni novanta, scrissi un breve articolo dal titolo 1 a 40, dove si spiegava come il costo orario del lavoro era in Italia quaranta volte il costo orario della Cina. Oggi l’articolo dovrebbe essere intitolato 1 a 3. E quando si sale a livelli professionali più elevati il costo è identico ad eccezione di alcuni casi, come ad esempio quello degli operatori finanziari, nei quali il costo cinese supera quello italiano.
(…) La lettura del saggio di Ignazio Musu ci pone di fronte ai grandi successi ottenuti dalla Cina ma anche di fronte alle sue sfide future che non potranno essere vinte in un quadro dominato dalle separazioni e dalle tensioni.
La trasformazione cinese è stata infatti formidabile ma deve essere messa in sicurezza da azioni e strategie ancora lunghe e complesse. È vero che la Cina, fino a pochi decenni fa fuori da ogni aspetto di modernità, è oggi ormai l’economia più grande del mondo. È vero che oltre cento fra le prime cinquecento imprese del pianeta sono cinesi. È altrettanto vero però che il reddito pro capite dei cittadini dell’Impero di Mezzo è ancora una frazione di quello americano. Quindi la Cina ha ancora tanto lavoro da fare.
Deve tenere sotto controllo la spesa delle province e delle imprese statali, deve riformare il sistema bancario e sviluppare gran parte del settore terziario, deve intensificare gli interventi per attenuare gli squilibri territoriali, deve guidare con cura il passaggio da un’economia fondata sugli investimenti ad un sistema più attento ai consumi, deve controllare la bolla immobiliare e la crescita ulteriore delle aree metropolitane e deve prepararsi ad un ingente aumento delle spese per l’istruzione e la sanità. Deve infine essere pronta di fronte alla stagnazione dell’offerta di lavoro che si verificherà quando sarà terminato l’afflusso degli immigrati dalle campagne alle città, dato che il tasso di natalità non sembra aumentare sensibilmente nemmeno dopo l’abrogazione della legge del figlio unico.
La lettura delle pagine di Ignazio Musu ci insegna che, anche per la Cina, gli esami non finiscono mai. Ci insegna però anche che sarebbe molto utile che cinesi, europei e americani imparassero a prepararsi agli esami studiando un poco insieme. Sarebbe un bene per tutti.