Il Sole Domenica 11.11.18
I prossimi esami per la Cina
Il
processo di trasformazione che ha già cambiato il Paese dovrà prevedere
la riforma del sistema bancario, lo sviluppo del terziario, ingenti
spese per scuola e sanità e molto altro
di Romano Prodi
La
Cina è arrivata ad essere il primo Paese del mondo per reddito prodotto
mantenendo e, negli ultimi mesi anche accentuando, la verticalità del
suo potere decisionale. Con un’immagine forse troppo sintetica e
certamente imperfetta cerco abitualmente, non senza un certo azzardo, di
spiegare ai miei studenti che la Cina ha scelto la strategia opposta a
quella del Principe di Salina nel Gattopardo. A Palermo tutto doveva
cambiare perché tutto rimanesse uguale. A Pechino tutto doveva rimanere
fermo perché tutto nella società cinese potesse cambiare e trasformarsi
in modo radicale, veloce e senza precedenti.
Questa linea di
comportamento, che si conferma da quarant’anni, si è ulteriormente
rafforzata dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica: i dirigenti
cinesi non hanno infatti mai perdonato ai loro colleghi sovietici di
aver percorso il cammino opposto, premiando le riforme
politico-istituzionali rispetto ai cambiamenti del sistema economico.
Non solo non vi sono segni che questa dottrina verrà cambiata nel
prevedibile futuro ma, all’opposto, si sta assistendo ad un ulteriore
accentramento del potere decisionale.
Al di sopra della piramide
resta il Partito che, con i suoi ottanta milioni di iscritti e sotto il
robusto comando del presidente Xi Jinping, dirige e regola la vita
cinese in ogni suo aspetto. Non solo nel tradizionale controllo sul
governo e sull’esercito ma sull’economia, sull’informazione e sulle
amministrazioni delle province, tradizionalmente portate ad assumere
atteggiamenti di eccessiva indipendenza, ma soprattutto nella gestione
dei bilanci. Il che ha causato e sta causando seri problemi di coerenza e
di compatibilità delle politiche provinciali nei confronti delle
decisioni di carattere nazionale.
Negli ultimi cinque anni al già
ponderoso dossier del presidente si è aggiunta la lotta alla corruzione,
decisione assolutamente necessaria per la dimensione che essa aveva
assunto a tutti i livelli. Una dimensione che rischiava di mettere in
pericolo i necessari elementi di coesione della società cinese. Non si
hanno dati precisi di quanti dirigenti e funzionari siano ora sotto
accusa con diverse modalità e diversi livelli di gravità. Si parla in
ogni caso di numeri estremamente elevati sui quali non si hanno precisi
elementi di giudizio. Da economista posso solo constatare che, con
l’inizio della lotta contro la corruzione, la domanda di beni di lusso
ha subito una fortissima caduta, per riprendersi soltanto quando la
continua crescita del reddito e il conseguente aumento di nuovi
consumatori ha permesso la ripresa del settore.
Negli ultimi anni
la Cina, che già aveva causato tensioni e problemi soprattutto per la
sua capacità concorrenziale in materia di costi, è entrata con forza
nelle nuove tecnologie e, rendendo palese la volontà di raggiungere il
primato in settori particolarmente avanzati attraverso il così detto
«Progetto 2025», ha scatenato prima l’attenzione e poi l’ostilità degli
Stati Uniti d’America. Una tensione che è stata resa pubblica ed è
diventata una bandiera politica con il presidente Trump, ma che è ormai
una caratteristica di tutto il mondo politico americano, con differenze
solo di tono fra democratici e repubblicani.
La rapidità e la
dimensione del progresso cinese hanno sorpreso tutti: si tratta infatti
di un progresso a tutto campo fondato prima sui bassi salari, poi su
straordinari aumenti di produttività, anche se molto spesso accompagnati
da violazione delle regole sui brevetti e sulla proprietà
intellettuale. E su questi campi è interesse anche cinese porre un
rapido rimedio, come strumento necessario, anche se forse non
sufficiente, per evitare una guerra commerciale di cui nessuno conosce
gli esiti finali.
Certo oggi non si può definire la Cina come un
paese a basso costo del lavoro. Per illustrare sinteticamente quali
siano stati i cambiamenti in materia ricordo solo che, all’inizio degli
anni novanta, scrissi un breve articolo dal titolo 1 a 40, dove si
spiegava come il costo orario del lavoro era in Italia quaranta volte il
costo orario della Cina. Oggi l’articolo dovrebbe essere intitolato 1 a
3. E quando si sale a livelli professionali più elevati il costo è
identico ad eccezione di alcuni casi, come ad esempio quello degli
operatori finanziari, nei quali il costo cinese supera quello italiano.
(…)
La lettura del saggio di Ignazio Musu ci pone di fronte ai grandi
successi ottenuti dalla Cina ma anche di fronte alle sue sfide future
che non potranno essere vinte in un quadro dominato dalle separazioni e
dalle tensioni.
La trasformazione cinese è stata infatti
formidabile ma deve essere messa in sicurezza da azioni e strategie
ancora lunghe e complesse. È vero che la Cina, fino a pochi decenni fa
fuori da ogni aspetto di modernità, è oggi ormai l’economia più grande
del mondo. È vero che oltre cento fra le prime cinquecento imprese del
pianeta sono cinesi. È altrettanto vero però che il reddito pro capite
dei cittadini dell’Impero di Mezzo è ancora una frazione di quello
americano. Quindi la Cina ha ancora tanto lavoro da fare.
Deve
tenere sotto controllo la spesa delle province e delle imprese statali,
deve riformare il sistema bancario e sviluppare gran parte del settore
terziario, deve intensificare gli interventi per attenuare gli squilibri
territoriali, deve guidare con cura il passaggio da un’economia fondata
sugli investimenti ad un sistema più attento ai consumi, deve
controllare la bolla immobiliare e la crescita ulteriore delle aree
metropolitane e deve prepararsi ad un ingente aumento delle spese per
l’istruzione e la sanità. Deve infine essere pronta di fronte alla
stagnazione dell’offerta di lavoro che si verificherà quando sarà
terminato l’afflusso degli immigrati dalle campagne alle città, dato che
il tasso di natalità non sembra aumentare sensibilmente nemmeno dopo
l’abrogazione della legge del figlio unico.
La lettura delle
pagine di Ignazio Musu ci insegna che, anche per la Cina, gli esami non
finiscono mai. Ci insegna però anche che sarebbe molto utile che cinesi,
europei e americani imparassero a prepararsi agli esami studiando un
poco insieme. Sarebbe un bene per tutti.