domenica 4 novembre 2018

Il Sole 4.11.18
Elezioni di midterm. Un referendum su Trump
Martedì gli Stati Uniti rinnovano la Camera dei rappresentanti (favoriti i Democratici) e un terzo del Senato, che dovrebbe rimanere sotto controllo repubblicano. E un Congresso diviso viene visto come garanzia di stabilità
I Dem cercano la rivincita ma il risultato resta incerto
di Riccardo Barlaam


NEW YORK “Blue wave” o “Red light”, titolano i giornali. Avanzerà l’onda blu democratica o si accenderà di nuovo la luce rossa dei repubblicani al Congresso: a due giorni dalle elezioni di metà mandato i sondaggi indicano che i democratici prenderanno il controllo della Camera, e i repubblicani manterranno la maggioranza al Senato, forse addirittura aumentandola. Ma sono ancora molti i seggi, in tutti gli Stati Uniti, dove la sfida resta ancora aperta con margini ridottissimi tra i candidati dei due schieramenti.
Martedì, con diversi fusi orari di mezzo, si voterà per rinnovare i 435 seggi della Camera dei deputati, un terzo dei 100 seggi al Senato e 39 governatori in 36 Stati e tre Territori (Guam, Virgin Island e Northern Mariana Island). Le elezioni Midterm sono locali, ci si gioca la vittoria distretto per distretto, tra candidati più vicini agli elettori. I repubblicani ora hanno la maggioranza alla Camera con 235 seggi a 193 e al Senato con 51 seggi a 49. L’ultimo poll di RealClearPolitics dà il Senato ai repubblicani (50 seggi a 44) e la Camera ai democratici (203-196). Nella corsa dei governatori vince 21 a 18 il Grand old party.
Secondo gli esperti ci sono due ulteriori incognite. La prima riguarda il voto i giovani e minoranze che hanno tassi di affluenza molto bassi alle elezioni di Midterm. Affluenza che questa volta potrebbe aumentare se si materializzerà il movimento anti-Trump spinto dalla Blue wave democratica e dalla campagna elettorale al femminile nata sulla scia del movimento #MeToo. L’altro elemento di incertezza è Donald Trump. La linea ufficiale del suo partito era insistere sui successi economici di questi due anni, contro la strategia democratica che promette l’estensione dei programmi sanitari pubblici. Trump, come nelle presidenziali 2016, ha proseguito per la sua strada, a lanciare messaggi contro. Contro i democratici che «vogliono far arrivare qui i peggiori criminali, gli spacciatori, gli stupratori». Contro l’«invasione aliena dei migranti» per cui bisogna chiudere la frontiera con il Messico e inviare 15mila soldati. Contro i giornali e le tv, «i veri Nemici del Popolo». Due mesi girando in lungo e in largo in questo sterminato Paese, in una miriade di comizi nel tentativo di conquistare gli elettori indecisi o quell’America profonda che sogna di ridiventare grande. Così le elezioni si sono trasformate in un referendum pro o contro Trump. In un clima sempre più avvelenato. Paradigmatico quanto avvenuto a Pittsburgh: il presidente è voluto andare a rendere omaggio alle 11 vittime dell’attentato in sinagoga. Ma è stato accolto dalle proteste di centinaia di manifestanti che lo accusavano di aizzare gli estremisti di destra più violenti con i suoi discorsi incendiari: «Presidente odiato, lascia il nostro Stato»; «Le parole hanno un significato»; «L’odio non è benvenuto», «Dividere la gente non fa l’America grande ancora», alcuni slogan. I familiari delle vittime si sono rifiutati di incontrarlo.
Una situazione imbarazzante e senza precedenti per un presidente che in queste occasioni rappresenta e unisce la nazione. I sondaggi però potrebbero aver sottostimato l’abilità di Trump di convincere gli elettori all’ultimo. Una rilevazione del Washington Post-Schar School sostiene che nelle aree rurali il divario tra repubblicani e democratici si è ampliato a favore dei primi. I democratici hanno la maggioranza nelle due fasce costiere a Est e a Ovest e nelle metropoli. Ma nelle città fino a 250mila abitanti e nelle aree periferiche ci sono più indecisi.
Un primato queste elezioni lo hanno già conquistato. Secondo le proiezioni del Center for Responsive Politics sono stati spesi circa 5,2 miliardi di dollari: la più costosa campagna elettorale della storia americana. Con un incremento del 35% rispetto al 2014, l’aumento di spesa maggiore da due decadi. I democratici con il fundraising ActBlue, attraverso piccoli contributi che hanno coinvolto categorie professionali, insegnanti, pensionati, medici, infermieri, giovani e donne sono quelli che hanno raccolto di più: 2,5 miliardi, contro una raccolta dei repubblicani, che hanno potuto invece contare sulle maxi donazioni, limitata a circa 2,2 miliardi. Anche l’industria della finanza si è schierata. Per la prima volta in un decennio i fondi di investimento hanno speso di più per sostenere i candidati democratici che i repubblicani. Le società di private equity e di asset management hanno donato 56,8 milioni ai candidati democratici e 33,4 milioni ai repubblicani. L’industria bancaria continua a preferire i repubblicani ma ha aumentato la spesa per i democratici. La luna di miele tra Trump e Wall Street sembra finita.
E la vittoria dei democratici alla Camera viene vista come un fatto positivo da molti nel mondo della finanza: un governo indebolito da un Congresso diviso in due è l’eventualità più probabile ma anche quella con meno conseguenze per i mercati, sarà più difficile far passare leggi market mover. E i mercati dopo il voto, comunque andrà, continueranno a crescere. Lo dicono le statistiche: dal 1946 in ogni elezione Midterm l’indice S&P 500 ha guadagnato in media il 18,4%, dal 30 settembre al 30 giugno dell’anno seguente, secondo Ned Davis Research. Negli anni senza voto l’indice è salito in media solo del 4,9%.