Il Fatto 4.11.18
Neri per Trump, la “Blexit” sulle elezioni di Midterm
Influencer e volti noti, gli afroamericani votati alla causa di The Donald
Neri per Trump, la “Blexit” sulle elezioni di Midterm
di Giampiero Gramaglia
Sul
Daily Signal, la campagna di reclutamento dei neri ‘pro Trump’ va
avanti da settimane: famiglie modello, lui e lei con i bambini, uno
magari in carrozzina, in prima fila al comizio del presidente; oppure il
papà che va al lavoro in giacca e cravatta e accompagna a scuola i
figli con l’uniforme dell’Istituto privato che costa un sacco; o la
mamma che prepara le torte per i reduci. Nulla a che vedere con quei
neri, magari disarmati, ma male in arnese e pure tatuati, ammazzati a
pistolettate qua e là nell’Unione da poliziotti bianchi.
Daily
Signal è l’organo di stampa della Heritage Foundation, un think tank
conservatore votatosi alla Blexit, cioè alla campagna per convincere gli
afro-americani (i black, appunto) ad abbandonare il partito
democratico. Il movimento, lanciato in vista del voto di midterm,
martedì 6 novembre, è guidato da Candace Owens, commentatrice
ultraconservatrice, star dei ‘social’ e fan del presidente. A disegnare
il logo è stato un altro transfuga della causa nera, il rapper Kanye
West, noto soprattutto perché marito di Kim Kardashian, l’influencer
‘numero uno’ negli Stati Uniti: anche Kanye è passato a Trump, che lo ha
ricevuto nello Studio Ovale.
Tutto avviene sotto la regia di
Turning Point Usa, di cui la Owens dirige la comunicazione e che ha
appena organizzato la convention dei giovani leader neri e conservatori
d’America. Se l’operazione è riuscita, lo si capirà nella notte tra
martedì e mercoledì, dal computo dei suffragi, specie là dove il voto
dei neri è determinante. Come in Georgia, dove Barack Obama è andato di
persona a sostenere Stacey Abrams, che potrebbe divenire la prima
governatrice nera dello Stato.
Nell’Unione, le ultime battute
della campagna elettorale sono state segnate dalla violenza di destra,
razzista e anti-semita: dopo una scia di lettere bomba, fortunatamente
inesplose, tra il 23 e il 25 ottobre, contro esponenti democratici e,
più in generale, oppositori del presidente Trump, la strage di sabato 27
nella sinagoga di Pittsburgh; e poi l’esercito – 5200 uomini, che
potrebbero salire fino a 20mila – schierato alla frontiera col Messico
per intercettare e bloccare una carovana di migranti; e il progetto
d’attenuare lo ius soli, che è in Costituzione.
La Blexit potrebbe
risultare la provocazione di troppo: la goccia d’acqua che fa
traboccare il vaso d’un Paese raso colmo d’intolleranza e esacerbazione,
il cui presidente è un ‘divisore in capo’ che aizza le tensioni, si
proclama nazionalista e sdogana i suprematisti accomunando nella
denuncia razzisti e anti-razzisti. Il voto di Midterm “è un’elezione
nazionale, un referendum su Trump”, afferma Lee Miringoff, direttore del
Marist Institute for Public opinion che ha fatto un sondaggio per la
Npr, la radio pubblica Usa. Due terzi degli elettori ritengono che il
presidente sarà il fattore che più influenzerà il loro voto alle
elezioni di metà mandato.
Martedì 6 novembre, i cittadini
americani rinnoveranno tutta la Camera – 435 seggi – ed un terzo del
Senato – 33 seggi su 100 -. Si vota pure per decine di governatori e
assemblee statali e una ridda di referendum e consultazioni locali. I
risultati diranno il giudizio degli elettori su quanto fin qui fatto da
Trump, in chiave 2020: entrato alla Casa Bianca il 20 gennaio 2017, il
magnate ha finora goduto della maggioranza sia alla Camera, dove i
repubblicani hanno 235 seggi, sia al Senato, dove ne hanno 52. I
sondaggi dicono che i democratici potrebbero conquistare la Camera e i
repubblicani mantenere il Senato.
La campagna è stata aspra:
candidati che s’insultano a New York, che si lanciano epiteti in
Georgia, che spendono somme record per un seggio da governatore in
Illinois. Trump è molto attivo, ma non tutti i candidati repubblicani
apprezzano il suo appoggio: in Texas, a un comizio c’erano il senatore
Ted Cruz, suo rivale per la nomination repubblicana, e il governatore
Greg Abbott, ma il deputato John Culberson, non s’è fatto vedere. E al
suo arrivo a Pittsburgh, dopo la carneficina alla sinagoga ci sono state
vivaci proteste.