il manifesto 4.11.18
Millennials e donne, le speranze midterm per un’America post-trumpista
Trump
di mezzo. Al termine della campagna paranoica della Casa bianca, si
assiste a una riattivazione politica che martedì potrebbe cambiare gli
Usa
Iniziativa in Wisconsin per registrara ail voto i giovani
di Luca Celada
LOS
ANGELES Non poteva esserci dirittura di campagna più emblematica del
furioso crescendo di retorica e violenza che ha travolto l’America negli
ultimi giorni prima delle elezioni. Mai è stata più frenetica la
retorica, e mai è parso più chiaro il nesso fra l’esagitata demagogia
trumpista e le azioni degli «sconsiderati» attivati dall’ossessivo,
paranoico complottismo, e l’odio normalizzato, sdoganato come norma
politica. Tutto in conto nel cinico calcolo del presidente per giungere
alle urne con paura e disgusto sufficienti contrastare una blue wave o
almeno una «rimontina» democratica alle elezioni di medio termine.
TRADIZIONALMENTE
le consultazioni di midterm tendono a registrare un’avanzata del
partito opposto a quello del presidente in carica: è accaduto in 18
delle ultime 20 elezioni, (nelle quali l’opposizione si è ripresa in
media 33 parlamentari). Sarebbe tanto più lecito quest’anno, prevedere
una reazione proporzionale al livello di polemica iniettato nel paese da
Trump. È comunque tassativo per i democratici – se vogliono avere una
speranza di rompere l’assoluto monopolio repubblicano su presidenza,
legislatura e potere giudiziario – ridare voce parziale a quella America
che due anni fa ha dato tre milioni in più all’avversaria del
presidente.
PER RIPRENDERE IL CONTROLLO almeno della camera i
democratici hanno bisogno di guadagnare 24 seggi, una prospettiva
possibile, dato che 48 gare sono considerate «aperte» e 25 deputati
repubblicani si trovano a correre in distretti che alle presidenziali
hanno favorito Hillary Clinton. Detto questo molte gare sono entro il
margine statistico e rimangono possibili sia un plebiscito democratico
che una tenuta repubblicana. Dopo la figuraccia rimediata due anni fa
nessun sondaggista se la sente di sbilanciarsi oltre a rilevare la
spaccatura ormai assodata: anziani, maschi e bianchi per Trump;
minoranze donne e giovani all’opposizione.
PER I DEMOCRATICI la
strada rimane in salita per via delle barriere istituzionali che
favoriscono fisiologicamente il consolidato potere repubblicano.
Nel
sistema maggioritario secco è possibile infatti gestire le
circoscrizioni elettorali di modo da pilotare l’esito. Gerrymandering, è
il termine che designa le acrobazie amministrative per ottenere
distretti uninominali favorevoli, un’operazione controllata dalle
giurisdizioni locali dei singoli stati. E il Gop, pur rappresentando
meno cittadini in assoluto, controlla 34 governi statali. In 26 di essi i
repubblicani detengono il monopolio di governatore ed entrambe le
camere. Un’egemonia amministrativa cruciale nell’assicurare una
favorevole suddivisione elettorale. Tarando il sistema è possibile
neutralizzare in parte le super maggioranze democratiche nelle grandi
città e vanificare i grandi numeri geograficamente concentrati.
Non
a caso, un disegno politico fondamentale del Gop prevede di
ripristinare limiti al suffragio per controbilanciare il trend
demografico che espone il partito repubblicano e l’America bianca al
pericolo di una minoranza permanente. L’obiettivo è perseguito e con
l’ostruzione al voto (ufficialmente motivata con la lotta a immaginari
brogli). Negli ultimi anni, specie in vari stati del sud, sono state
adottate una serie di misure volte limitare l’accesso alle urne delle
minoranze: il proseguimento, in sostanza, delle politiche
segregazioniste rimediate dal voting rights act nel 1964. Quella legge,
conquistata dal movimento di Martin Luther King è stata indebolita dalla
corte suprema ed è specificamente nel mirino del ministro di giustizia
Jeff Sessions.
LA NARRAZIONE MILITARIZZATA da Trump, quella del
complotto democratico per annacquare il voto legittimo dei cittadini
importando clandestini, attecchisce fin troppo bene, ed è sconfinata
nella violenza a Charlottesville e Pittsburgh. Il disegno eugenetico
trumpista per ripristinare un favorevole equilibrio razziale si completa
con la proposta abrogazione dello «ius soli» scagliata come una molotov
sulla campagna elettorale. I democratici sperano invece di riattivare
proprio le componenti di quella che fu la Obama coalition.
MARTEDÌ
SI DOVRÀ VERIFICARE se le donne bianche che nel 2016 votarono Trump al
52%, dopo due anni di The Donald, di #MeToo e dopo la contestata nomina
del giudice Kavanaugh, avranno cambiato idea cambiando quella
percentuale. Essenziale è poi mobilitare i millennials.
I ragazzi
della «generazione Parkland» hanno già dimostrato di saper dar vita un
movimento nazionale come quello contro le armi da fuoco. Organizzazioni
come «Power California» vogliono ora assicurarsi che la nuova
consapevolezza politica abbia un seguito nelle urne di voto.
«Qui in California», ci spiega Luis Sanchez, «il 70% dei ragazzi sotto i
25 anni sono non bianchi. Potrebbero costituire un terzo
dell’elettorato e ora, sotto Trump, hanno un’idea ben chiara delle
conseguenze che la politica può avere sulle loro vite. C’è un’energia
che non si sentiva dalle lotte per i diritti civili, la consapevolezza
che con le prossime due elezioni si giocano il futuro».
Accomunati
dalla cultura digitale e multietnica i ragazzi che sia affacceranno al
voto per la prima volta vivono in un mondo in cui integrazione di razza e
gender sono dati già acquisiti e sono inoltre fortemente attivati su un
fronte ambientale sempre più vicino all’emergenza.
È IL VOLTO DI
UNA POSSIBILE America post-trumpista, se riuscirà ad emergere. Per il
momento si tratta di superare l’endemico assenteismo che
tradizionalmente li caratterizza specie in anni non presidenziali
(quando di solito votano molto meno della metà degli aventi diritto). Da
quest’estate «Power California» ha iscritto alle liste di voto 50.000
nuovi elettori, e la maggiore affluenza favorisce i democratici. Per
arrestare la marea populista occorrerà poi riuscire a comunicare nei
distretti rurali e lontani dalle grandi città, fare progressi insomma
nelle roccaforti trumpiste degli hinterland. E non solo negli stati
dell’America più profonda. Anche nella democraticissima California ad
esempio vi sono una mezza dozzina di distretti che potrebbero rivelarsi
cruciali alla riconquista della camera.
SI TRATTA DI
CIRCOSCRIZIONI per lo più rurali, in particolare nel paniere agricolo
della Central Valley dominata da forti interessi agroindustriali. La
popolazione della regione – 500 polverosi chilometri fra Bakersfield,
Fresno e Sacramento – è prevalentemente ispanica ma la struttura
politicamente è da sempre repubblicana (personaggi come Devin Nunes,
presidente della commissione intelligence e fedelissimo di Trump, qui
sono la norma).
Nella regione storica delle lotte sindacali
campesine di Cesar Chavez, oggi associazioni come «99 Rootz» lavorano
per mobilitare giovani latinos che potrebbero «ribaltare» almeno tre
seggi trumpisti. Ed è per questo che Crissy Alavarez, 18 anni, da
quattro settimane, dopo scuola, lavora ai telefoni nel piccolo ufficio
nella località di Atwater, per convincere i compagni ad andare a votare.
In molte città per martedì sono previsti walk-out – scioperi degli
studenti delle secondarie per permettere ai maggiorenni di recarsi ai
seggi – «I ragazzi sono la voce delle famiglie immigrate, in cui i
genitori spesso non possono votare» dice Sanchez, veterano delle lotte
chicane degli anni 90 a Los Angeles e Berkeley, «Cerchiamo di
ricollegarli alla tradizione di lotte politiche».
Si tratta di un
opera di ricostruzione capillare e necessaria se il partito democratico
vorrà sperare di costruire una cultura politica capace di contrastare la
strumentalizzazione ed il degrado trumpista.
MOLTI DEI RAGAZZI
che lavorano con «99 Rootz» fanno parte degli 800mila Dreamers i giovani
«illegali» amnistiati da Obama che ora in regime Trump, si trovano
passibili di deportazione. Questo midterm – inoltre – può essere
inquadrato come scontro fra forze suprematiste e multiculturali.
Per
mantenere il potere Trump persegue ormai una pericolosa strategia della
terra bruciata che mira ad alzare quotidianamente lo scontro e
«militarizzare» le pulsioni più retrograde del paese dando forma
simbolica alle paure bianche. Mobilitando – ad esempio – le truppe
militari per uno scontro immaginario con i diseredati in marcia dal
Centro America destinato ad avere luogo solo nei febbrili immaginari dei
suoi seguaci.
LA PSICOSI IMMIGRAZIONE tatticamente riattivata
costituisce una manovra diversiva di Trump, una distrazione da
disuguaglianza, globalizzazione, clima, tecnologia – i temi della
governance post moderna così catastroficamente ignorati dalla pulsione
retrograda del nazionalpopulismo (nonché da una sinistra anche qui in
una crisi di identità.) Per tutte queste ragioni le elezioni saranno un
appuntamento cruciale che molto dirà sulle prospettive future del paese e
del mondo.