venerdì 9 novembre 2018

il manifesto 9.11.18
Un’ingegneria sociale con presupposti biologici

«La scienza di nuovo incantata. L’olismo nella cultura tedesca da Guglielmo II a Hitler» di Anne Harrington
di Giovanni Carosotti


Nel 1935 Hans Schemm, Ministro della Pubblica Istruzione della Baviera nella Germania hitleriana, definì il nazionalsocialismo «biologia politicamente applicata». Una definizione che potrebbe apparire scontata, ma che in realtà implica uno specifico modo di considerare la scienza, tale da consentire un’immediata applicazione dei suoi risultati sperimentali all’ambito sociale e politico. La scienza olistica, cui è dedicato l’importante studio di Anne Harrington (La scienza di nuovo incantata, Fioriti Editore, pp. 388, euro 34 a cura di Luigi Corsi), presenta in effetti tutte le caratteristiche per trasformarsi in un prodigioso progetto ideologico e dare vita a un’ingegneria sociale in cui il presupposto biologico assume un ruolo decisivo.
Concepito come una vera e propria «scienza tedesca», l’olismo si fondava sul rifiuto di tutta la tradizione di ricerca derivata dal meccanicismo newtoniano, cui contrapponeva l’organicismo romantico di Goethe; il concetto di «totalità» intendeva opporsi alla continua scomposizione dei fenomeni propri delle scienze meccanicistiche, il cui prototipo era la «macchina» e il cui esito era il trionfo della tecnica. Ciò comportava la rinuncia a ogni lettura teleologica della natura che individuava in essa dei fini più alti (di ordine intellettuale e spirituale), che andavano al di là dell’arida registrazione meccanica dei fenomeni.
A PARTIRE da questa visione era facile però compiere un passo metodologicamente rischioso, quello di concepire qualsiasi organizzazione politica, così come ogni sistema di cultura, alla stregua di un organismo, una totalità destinata a comprendere e ad assorbire le differenze individuali, e ad allontanare da sé tutto ciò che poteva mettere a rischio, in campo biologico come in quello psicologico-sociale, la vitalità complessiva del sistema. Il risultato fu quello di provare a fondare, partendo da tali presupposti fisico-biologici, le più retrive teorie del nazionalismo tedesco, nonché una visione demonizzante della modernità e della multiculturalità che avrebbe messo a rischio la specificità della cultura tedesca.
Fu soprattutto dopo l’umiliante sconfitta nella Prima Guerra mondiale che le potenzialità reazionarie dell’olismo emersero in tutta la loro forza, fino a interpretare la parabola weimeriana come il fallimento tout court del meccanicismo. A questo punto, l’idea che una scienza autenticamente tedesca imponesse il principio della totalità organica in campo fisico, biologico e politico, contemporaneamente all’ascesa e all’imporsi del regime hitleriano potrebbe sembrare un esito storico quasi prevedibile.
LO SCOPO del profondo lavoro di ricerca della Harrington intende proprio smentire una così facile relazione causale. Se il nazismo in un primo tempo fu interessato alla visione organicistica dell’olismo, e sembrava cogliere delle evidenti affinità con la propria aberrante rilettura della cultura tedesca, verso la fine della sua parabola politica il regime fece invece prevalere la sua componente tecnocratica, spinto forse dalla necessità di sfruttare al massimo il potenziale tecnico della Germania nel disperato sforzo di vincere il conflitto.
Inoltre, se è vero che alcune personalità dell’olismo tradussero in ambito politico le loro teorie per difendere un’idea di Stato forte, che combattesse contro le tendenze disgregatrici rappresentate dall’egualitarismo giuridico, è anche vero che i due maggiori teorici della Gestalt, Werthmeyer e Goldstein, intendevano invece promuovere attraverso l’olismo un programma politico progressista e giudaico, che finì con l’interessare la stessa Scuola di Francoforte.
Certo, rimane lo stupore dell’autrice nel constatare la ripresa da parte di questi autori di un concetto, quello di Gestalt, teorizzato precedentemente dall’oscuro precursore del nazismo Houston Stewart Chamberlain, che lo utilizzò in senso eminentemente razzista e antisemita. Una tragedia esistenziale vissuta da diverse personalità ebraiche profondamente radicate nella tradizione tedesca, di cui condividevano alcuni aspetti peculiari della cultura nazionalistica così come una evidente avversione nei confronti della modernità.
LA RICOSTRUZIONE anti deterministica della Harrington veicola un contributo soprattutto di carattere metodologico, relativo al problematico rapporto tra scienza e linguaggio. Non si tratta tanto di contrapporre una scienza vera a un’altra corrotta, ma di evitare quel salto mortale epistemologico (praticato non solo dall’olismo) che conduce il linguaggio, attraverso la tentazione della metafora, ad ampliare l’autorità e la portata della scienza in generale, ben oltre gli ambiti e i limiti in cui le sue analisi dovrebbero circoscriversi.
Diventa allora necessario una sguardo interpretativo esterno, di carattere filosofico, irriducibile al superficiale fascino della riduzione di ogni dinamica sociale a dato naturalistico. Una pretesa che mette in guardia ancora oggi contro la tentazione di piegare le scienze sociali alle logiche esatte della quantificazione statistica, per esempio con la pretesa di poter risolvere la relazione educativa a condizionamenti comportamentistici predeterminati, relegandone la singolarità a puro spontaneismo.
Il rischio, ora come allora, è quello di coltivare un uso ideologico della scienza che si propone di condizionare gli stessi processi di soggettivazione, riconducendoli a dinamiche psicologiche uniformi.