il manifesto 7.11.18
Grande guerra, tra i promotori del massacro i fabbricanti d’armi
Lutto, non festa. Le "celebrazioni" del Primo conflitto mondiale
Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (Opal)
Stanno
ormai per concludersi anche in Italia le manifestazioni del centenario
della 1a Guerra Mondiale. Notiamo che il clima entro cui si sono svolte
da noi è stato quello delle «celebrazioni», da una parte, e dall’altra
quello della ripresa della retorica nazionalista e militare che, a
fatica, era statamitigata negli scorsi decenni dal lavoro di pochi
storici preparati. Si è tornati a una visione patriottica della storia,
da cui sono scomparsi del tutto gli episodi scomodi, veri tabù, del
pacifismo, della renitenza di massa e della diserzione, degli
ammutinamenti e della fraternizzazione con i nemici, della demenziale
incompetenza dei comandi, del generale e crescente odio per la guerra.
Si è compattata l’unanimità intorno alla «sacralità» del «sacrificio»
dei caduti e dell’eroismo dei combattenti della Grande Guerra, in un
odierno rilancio di un’«identità nazionale» in verità assai
problematico.
Opal, l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere,
che ha tra i suoi compiti principali quello di promuovere e diffondere
la cultura della pace, ritiene che nelle celebrazioni si sia dato troppo
rilievo non solo al punto di vista «nazionale» (la guerra come cemento
degli italiani e realizzazione del risorgimento) ma soprattutto alla
cultura della guerra (le nuove armi, la guerra di trincea ecc.). Non si è
dato abbastanza rilievo, invece, alle cause di questa guerra, che
harappresentato l’entrata dell’umanità nella modernità, con il suo
corredo di inutili stragi di massa, di esodi di popolazioni civili, di
genocidi, di «pulizie etniche» e di un fallimento della «pace»
post-bellica i cui effetti si sono protratti per tutto il Novecento, e
si ri-presentano oggi.
Tra le cause, una delle principali fu la
volontà bellica di tutto il ceto affaristico e imprenditoriale, capace
di mobilitare risorse e propaganda anche quando la classe politica era
decisamente schierata su posizioni neutralistiche. Durante la guerra,
gli industriali delle armi furono i maggiori beneficiari della
carneficina che falciò soprattutto contadini ed ex contadini di recente
inurbati per andare a lavorare nelle fabbriche, anche in quelle poi
militarizzate. Si costruirono allora ingenti fortune industriali, anche
in Italia (dagli Agnelli ai Perrone dell’Ansaldo, ai Bombrini e ai
Parodi-Delfino della Bpd, i Donegani della Montecatini, i Ro-meo
dell’Alfa Romeo, i Caproni e i Macchi della nascente aviazione ecc.) e
anche a Brescia (dai Beretta ai Franchi, dagli Gnutti ai Morselli della
Caffaro). Una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra
accertò «guadagni illeciti» ingenti e avrebbe recuperato la gigantesca
cifra di 340 milioni di lire di «sovraprofitti» se non fosse stata
prontamente soppressa da Mussolini due giorni dopo aver ottenuto la
fiducia dal parlamento, nel novembre 1922.
Nell’imminenza della 2a
edizione del Festival della Pace di Brescia, dedicato quest’anno al
tema della nonviolenza, vogliamo ricordare il coraggio di Giacomo
Matteotti che nel 1915 sostenne conveemenza le ragioni
dell’antimilitarismo e dell’internazionalismo, e che fu condannato per
disfattismo a tre anni di confino scontati a Campo Inglese (Messina). Le
sue parole contro la guerra come violenza sono state poi riprese da
Aldo Capitini, di cui si sono celebrati in questi giorni i cinquant’anni
dalla scomparsa, nel suo Antifascismo tra i giovani (1966).
Per
tenere attuali e comprensibili alle nuove generazioni le parole di
Matteotti, di Capitini e di tutti coloro che hanno testimoniato la forza
della pace e della nonviolenza, vogliamo ribadire che il 4 novembre
2018 non è stato un giorno di festa ma di lutto.