mercoledì 7 novembre 2018

Corriere 7.11.18
Ezio Mauro racconta l’Italia del 2018. Partendo da Macerata e da Luca Traini
Ne «L’uomo bianco» (Feltrinelli) il gesto solitario di un folle diventa strumento per capire come siamo cambiati
Metamorfosi di un Paese
di Marco Imarisio


Alle undici del 3 febbraio 2018, Luca Traini ha salito l’ultimo gradino. Quello decisivo, che separa il prima dal dopo. Ha compiuto il passo che molti altri, privi della sua follia da clinicamente sano ma pur sempre follia, non hanno per fortuna il coraggio di fare.
Certo, la persona che per vendicare Pamela, una ragazza che non conosceva, vittima di un crimine orribile, salì sulla sua auto e percorse Macerata sparando ad altre persone che non conosceva, unite solo dal colore «diverso» della loro pelle, aveva davvero segni particolari, persino caricaturali, a cominciare da quelli tatuati sulla pelle, simboli celtici e incisioni naziste. Le copie del Mein Kampf custodite in casa, il saluto romano avvolto nel tricolore con il quale ha concluso la sua scorribanda, hanno reso possibile una lettura quasi rassicurante di quei fatti. Il matto del villaggio, il fascista reietto e solitario. L’eccezione.
La cronaca serve a restituire la portata morale, sociale, emotiva, di un evento. La cronaca ha il dovere di raccontare quel che si agita nella pancia di un Paese, deve o dovrebbe anticiparne le tendenze per meglio comprendere lo spirito del tempo. Ne L’uomo bianco (Feltrinelli), il nuovo libro di Ezio Mauro, i dettagli dell’attentato e la ricostruzione della vita di Traini, diventano lo strumento che consente di allargare lo sguardo. E nel farlo, l’ex direttore di «Repubblica» prova a rispondere a domande legittime in questa Italia del 2018, in questo periodo così confuso, anche a livello sociale. Cosa ci sta succedendo, cosa stiamo diventando, in quale preciso momento abbiamo smesso di auscultarla, la famosa pancia del Paese. Piaccia o non piaccia, sono in molti a chiederselo. Perché qualcosa è davvero cambiato, negli ultimi anni dove sotto ai nostri occhi ha preso corpo ed egemonia un grande risentimento nazionale che tutto sembra avvolgere, dalla chiacchiera da talk show a quella da bar, fino a un discorso che si vorrebbe politico.
«Tra le macerie, cammina lui: un superstite solitario, prima scartato dalla crescita, poi ferito dalla crisi, comunque deluso dalla rappresentanza, convinto di aver accumulato un credito che essendo inesigibile ha finito per trasformarsi in una lunghissima cambiale di rancore privato, da spendere o almeno da ostentare in pubblico. Poiché ciò che è accaduto nell’ultimo decennio ha fiaccato le istituzioni, ha reso impotenti i governi, ha spinto ancor più lontano gli organismi internazionali e ha finito addirittura per indebolire la democrazia, l’uomo che si sente solo scopre che nell’improvvisa fragilità del sistema la sua rabbia può diventare un surrogato della politica, potente».
La natura politica de L’uomo bianco consiste nell’individuazione del modo con il quale questa rabbia degli uomini dimenticati è stata veicolata, facendola diventare consenso, ai danni di chi è ultimo tra gli ultimi. È un processo che arriva da lontano, da quando, per assuefazione davanti a tante tragedie dell’immigrazione, si è cominciato a ridurre le donne e gli uomini che morivano in mare a semplici numeri. Fino al momento in cui è arrivato qualcuno che ha autorizzato una inversione morale, «scommettendo su una sorta di brutalità programmatica (...), perché oggi l’impietoso è un plusvalore e la ferocia delle parole produce un sicuro reddito al banco di una politica impazzita».
Una lettura a senso unico e con un unico responsabile del mito rinnovato dell’uomo bianco porterebbe solo a un altro vicolo cieco. Le pagine più desolate sono invece quelle dedicate agli altri. A una rappresentanza politica e sociale silente, a chi avrebbe dovuto impedire il cedimento dell’argine. «Smuoviamo ogni giorno il limite del consentito a noi stessi: un po’ più in là. Il limite del tollerato. Ciò che fino a ieri non ci permettevamo e non concedevamo agli altri. Contribuiamo a cambiare l’atmosfera, l’ambiente, il carattere stesso della nostra società. Con il silenzio, con l’assenso, con la mancanza di un dubbio, di una posizione forte di minoranza, di una critica, di un’obiezione capace di raccogliere un problema indicando una diversa via di soluzione. Ciò che si chiamava una volta l’opposizione».
Ezio Mauro fa un riassunto di vicende simili a quella di Macerata, cominciando dall’uccisione del migrante Sacko Soumaili, avvenuta a Rosarno dove già nel 2010 erano stati gambizzati quattro immigrati. Altri, meno gravi, ugualmente indicativi, sono sopraggiunti dopo l’uscita del libro, dalla mensa di Lodi alla signora che su un autobus non vuole sedere accanto «a una negra». Gesti isolati, certo. «Ma che non nascono per caso e non vengono dal nulla. Al contrario, possono contare su un clima di legittimazione strisciante, su una banalizzazione crescente e quotidiana dei troppi episodi di intolleranza razziale».
Adesso si può, o almeno sembra sia così. Quel che prima era un pensiero innominabile del quale vergognarsi può diventare senza alcun rimorso parola, nei casi più estremi farsi azione. La semplice pietà o la rivendicazione di un’identità diversa che ha radici nella nostra storia sono diventate buonismo, politicamente corretto, ormai categorie negative, insulti riservati agli intellettuali delle odiate élite, lasciando spazio alla cattiveria esibita, al linguaggio della ruspa. Proprio per questo, quello di Ezio Mauro non è un atto di accusa. È il racconto di una mutazione genetica in corso che riguarda tutti noi. Perché la cronaca non deve assegnare il torto o la ragione. La cronaca è il canarino nella miniera. Piaccia o non piaccia, L’uomo bianco è un libro necessario.