il manifesto 2.11.18
«Arrivederci Saigon», il film di Wilma Labate
Nell’autunno
del 1968 giunge a Le Stars l’inaspettata offerta di una tournée in
Estremo Oriente. Le Stars, una girl band formatasi pochi mesi prima,
composta da cinque giovanissime ragazze della provincia di Livorno che
ha finora mietuto iniziali e gracili successi. Partono animate da
plausibili speranze di farsi valere a Hong Kong, a Singapore, a Tokio
forse. All’aeroporto di Manila scoprono i tassativi termini previsti dal
contratto stipulato dal loro impresario: esibirsi in Vietnam nelle basi
militari dell’esercito americano. Impossibile recedere. La tournée è
concordata per tre mesi.
Da Manila Le Stars salgono sul primo volo
che le porta a Saigon. Dalle testimonianze di quattro di loro – Viviana
Tacchella, Rossella Canaccini, Daniela Santerini, Franca Deni – Wilma
Labate ha tratto Arrivederci Saigon, presentato a Venezia alla
settantacinquesima Mostra internazionale d’arte cinematografica.
Mi
soffermo su alcuni aspetti di Arrivederci Saigon. Il primo riguarda lo
straordinario accordo conseguito da Wilma Labate tra la selezione delle
immagini di repertorio, girate cinquanta anni fa nel Vietnam percosso
dalla guerra, e i volti e le parole delle quattro protagoniste che ci
narrano la loro avventura. Gli episodi si susseguono, ma, più ancora,
sullo schermo affiorano intatte le emozioni vissute allora. Sentimenti
che spezzano ora una frase e un’altra, invece, accelerano. Sensazioni
che si perdono o, nel tornar loro alla memoria, si ritrovano in un gesto
distratto, in uno sguardo. Ed ecco che, quasi fossimo posti in grado di
scorgere quello che Viviana o Rossella ‘vedono’ con l’occhio della
mente mentre ci parlano, vediamo scorrere davanti a noi prospettive di
foreste, salire dal verde delle risaie i fumi roventi del napalm,
sfilare al bordo d’una strada gli edifici demoliti dai mortai e correre
soldati giovanissimi e trascinarsi il lento passo di vecchie contadine
spaurite.
Le parole si fanno visioni nel magico dispositivo del
cinema. Dalle parole si dipanano le immagini, filano in continuità ed è
tale la interazione reciproca che Labate ne ottiene con il montaggio di
Mario Marrone che non c’è mai frattura, sobbalzo o scarto quando si
passa dal volto di Daniela o di Franca al viso del soldato americano che
si volta mentre la jeep si allontana. O quando ci si ritrova tra le
esplosioni di un bombardamento in mezzo al quale Le Stars sono capitate,
uscendone, come raccontano ancora sbigottite, indenni. Arrivederci
Saigon mi invita a svolgere un secondo ordine di considerazioni. Infatti
il film assume, per dir così, e fa intendere il trauma che stordisce le
cinque giovani donne quando, da un giorno all’altro, sprofondano dentro
la guerra. Di questo esser precipitate ignare de Le Stars il film dà
conto attentamente e in vario modo. È che Le Stars sono tenute per
contratto a portare nelle retrovie dei combattimenti i loro brani
musicali. Voglio dire che debbono consegnarli intatti all’ascolto dei
soldati loro coetanei impegnati al fronte della battaglia. Motivi che
possano essere accolti come un dono. Un ‘pezzo’ che tramite Le Stars
proviene ai combattenti dal mondo dove non tuona il cannone, non crepita
la mitragliatrice e non si muore mentre si combatte. Un frammento di
‘pace’ che dura pochi minuti nel centro d’una guerra senza fine.
Considero che per le cinque ragazze la melodia di quelle note e gli
impasti vocali del loro mimetico sound inglese vengono ad essere, negli
spostamenti continui, nelle repliche dei concerti, l’unico alfabeto che
resta in loro possesso in quel Vietnam devastato. Ogni altra forma di
linguaggio nei quotidiani scambi, nei contatti inevitabili che esse
tengono è stata cancellata o ridotta ad un livello rudimentale, ora per
ora, nella giornaliera condizione di guerra. E allora come comprendere
il senso della realtà d’attorno? Con quali strumenti farsi una ragione,
intendere e giudicare? Forse Le Stars scoprono che vivere dentro la
guerra vuol dire essere la guerra. Arrivederci Saigon restituisce di
questa loro condizione uno stato d’animo che, passati cinquanta anni,
ancora nella rievocazione frastorna e disorienta, agita Viviana e
Rossella, Daniela e Franca.