il manifesto 2.11.18
La scoperta del mondo dallo schermo
Festival.
Al Science+Fiction di Trieste «Stalker» di Tarkovskij, la fede nel
cinema come rivelazione. In un repertorio di macerie, la disperazione
del protagonista nella Zona riguarda la fine della civiltà attuale
di Luigi Abiusi
TRIESTE
Il Teatro Miela sembra essere il luogo perfetto per proiettare Stalker
oggi: con i suoi muri sbrecciati e le lamiere, le inferriate
tutt’intorno. Anzi ci si convince ancor di più di una corrispondenza
stretta tra lo schermo, quello che accade sullo schermo, e il mondo
intorno, quasi attirato, tirato dentro il quadro, dentro le sequenze di
spessore, di formicolare grigiastro, mentre lo stalker conduce
professore e scrittore nella Zona, in quel tragitto in cui il rumore
della corsa sulle rotaie diviene naturalmente musica elettronica. Si
arriva a credere che il cinema richiami a sé le cose che stanno fuori,
in platea, nei corridoi, e di lì, oltre l’ingresso, l’aria, tutto il
panorama che circonda chi guarda, Trieste oppressa dalla luce autunnale,
da una profondità grigia che placa l’acqua, le banchine, immobilizza le
barche. Un che di cinematografico: la riconduzione del mondo immerso,
proiettato entro il fascio di luce grigia, alla sua origine
cinematografica; e la vista, la conoscenza delle forme da una
prospettiva altra, fantastica. È PENSANDO a questa credenza, a questa
fede nel cinema inteso come rivelazione, illuminazione delle cose, delle
cose di tutti i giorni infuse semplicemente d’aria, che proiettare oggi
Stalker ha un senso in più; perché la disperazione dello stalker a
proposito dell’aridità dei due compagni di viaggio, della loro
incapacità di credere, di guardare oltre la contingenza, riguarda la
fine una civiltà, quella attuale, che non sa credere, avere fede nel
progresso che trasuda dai versi di Eppur questo non basta (di Arsenij
Tarkovskij), che questo inquieto veggente recita in uno dei meandri
della casa posta nel mezzo della Zona, mentre lo Scrittore lo deride.
CHE È LA STESSA disperazione del poeta in Nostalghia, reso orfano del
mondo, allontanato dal mondo contingente, pratico, perché il suo
linguaggio – quello che appunto trasfigura le cose, cioè le figura per
come realmente, essenzialmente sono, colme di suggestioni, grondanti di
luce, e così che richiamano altre versioni degli oggetti, dal passato, o
dal futuro, o semplicemente da un tempo sincronico, galleggiante
nell’etere, che è puramente cinematografico – il suo codice linguistico
non è utile, non è più assimilabile dai meccanismi di computazione, di
economizzazione delle cose, che presiedono all’ordine attuale, coattivo
della civiltà. LO STALKER è rispettoso della Zona, è devoto, al servizio
di questa struttura prismatica, estremamente cangiante che è, in
sintesi, il cinema, con i suoi effetti illusionistici, atmosferici, le
sue piogge interne, i misteri, i sincretismi del proprio apparire, in
cui si mischiano su uno sfondo di piastrelle o di ex-voto, specchi
d’acqua, fogli macerati, fili di ferro arrugginiti: tutto un apparato in
rovina (lo stesso che ispirava la riflessione di Benjamin sul teatro
barocco, o anche la poesia più ermetica, più misteriosa di Ungaretti),
un repertorio di macerie che, nel decadere, sgretolarsi dai muri,
macerare dentro le pozzanghere, dichiara la propria antichità, il
proprio risuonare presente, attualissimo, sedimentando in sé tutto il
corso, il senso del tempo, il suo sentimento. È QUELLO che Foucault
chiama un contro-spazio, una zona di riparo, di rifugio, come i regni
angusti che si ricavano i bambini in un angolo della casa, in una
soffitta, nell’incavo di un muro, dove poter fantasticare, credere, cioè
guardare ogni cosa nella propria essenza, cioè nel raddoppiarsi delle
sagome, nel loro sfolgorare, transitare una nell’altra in dissolvenze
incrociate. Scrive Foucault: «L’angolo remoto del giardino, la soffitta
o, meglio, la tenda degli indiani montata al centro della soffitta, e
infine – il giovedì pomeriggio – il grande letto dei genitori. È in quel
letto che si scopre l’oceano, perché tra le sue coperte si può
nuotare».