il manifesto 29.11.18
Poliziotti egiziani indagati dalla Procura di Roma
Egitto/Italia.
Ieri dal Cairo, dove ha incontrato gli inquirenti egiziani, il team di
Piazzale Clodio ha annunciato per i prossimi giorni l'iscrizione nel
registro degli indagati dei poliziotti e i funzionari dei servizi
ritenuti responsabili dell'omicidio del giovane ricercatore
di Chiara Cruciati
La
Procura di Roma ha mosso ieri un altro passo della battaglia per la
verità sull’omicidio di Giulio Regeni. Dal Cairo, dove ha incontrato gli
inquirenti egiziani, il team del sostituto procuratore Colaiocco ha
annunciato l’iscrizione nel registro degli indagati di poliziotti e
funzionari dei servizi segreti egiziani ritenuti coinvolti.
Un
atto dovuto, si precisa, che non rappresenta una rottura della
collaborazione con la procura generale del Cairo. Ma che potrebbe dare
un’ulteriore spinta a indagini difficilissime, costrette a superare (non
sempre con successo) insabbiamenti e silenzi. Chi siano questi soggetti
la procura romana lo sa da tempo: agenti di polizia e membri dei
servizi sospettati di aver rapito, torturato per giorni e poi ucciso
Giulio. Per poi rendersi protagonisti di depistaggi palesi. Soggetti
parte integrante della macchina di repressione dello Stato, su cui
ricade la responsabilità, non solo su singoli capri espiatori.
L’iscrizione
nel registro degli indagati sarà formalizzata in questi giorni ed è
stata ieri anticipata agli omologhi egiziani, nel decimo vertice tra
procure concluso con una nota congiunta: «Le parti hanno riaffermato la
determinazione a proseguire le indagini e incontrarsi nuovamente nel
quadro della cooperazione giudiziaria». Colaiocco ha consegnato gli
esiti delle indagini sul lavoro di ricerca del giovane.
E da parte
sua la procura egiziana ha dato conto dei «buchi» nei famosi video
delle telecamere di sorveglianza delle stazioni metro del Cairo: quei
«buchi» (dopo due anni di insistenza romana, erano stati messi a
disposizione di una compagnia russa che era riuscita però a recuperare
solo il 5% dei dati) sono stati spiegati dagli egiziani con la
sovrascrittura dei video. Che sia stata voluta o meno – quei video sono
rimasti in un ufficio della procura egiziana per due anni – quelle
informazioni, preziose, sono ormai date per perse.
Come per perso
andrebbe dato il ruolo del governo italiano che non si è mai discostato
dal precedente. Solo due settimane fa il presidente al-Sisi è stato
accolto dal premier Conte a Palermo, in occasione del vertice sulla
Libia. La scorsa estate erano stati i ministri-vice premier Di Maio e
Salvini a darsi il cambio alla corte del dittatore, insieme al titolare
degli Esteri Moavero. Senza pressioni politiche, il lavoro di Piazzale
Clodio è sempre più in salita.