il manifesto 29.11.18
Cucchi, sospesa l’azione disciplinare per i carabinieri
Processo bis. Il perito del pm: «L’epilessia non è causa di morte».
di Eleonora Martini
Deve
essere stato il ricorso al Tar presentato dai legali del vicebrigadiere
Francesco Tedesco – il carabiniere che ha denunciato i suoi due
colleghi e co-imputati nel processo bis, Alessio Di Bernardo e Raffaele
D’Alessandro, di aver pestato violentemente Stefano Cucchi subito dopo
averlo arrestato – a convincere l’Arma che era giunto il momento di
sospendere il provvedimento disciplinare di Stato emesso nei confronti
del testimone chiave. Provvedimento che avrebbe potuto portare alla
destituzione e al licenziamento del carabiniere, e che è stato
notificato a Tedesco nello stesso giorno in cui si era presentato
davanti ai magistrati per raccontare quel che sapeva delle violenze e
del depistaggio.
«Ricordo perfettamente il giorno in cui il signor
Tedesco è arrivato da noi per essere interrogato – ha raccontato ieri
in aula il pm Giovanni Musarò chiedendo l’acquisizione degli atti -:
continuava a ricevere telefonate perché l’Arma doveva notificargli con
urgenza, chissà perché proprio quel giorno, l’avvio dell’inchiesta
disciplinare». La richiesta da parte del militare di sospensione del
procedimento, in attesa della sentenza penale, era stata rigettata. Fino
a che, il 21 novembre scorso, gli avvocati Eugenio Pini e Francesco
Petrelli, che difendono il carabiniere “pentito”, hanno presentato
ricorso al Tar. Immediatamente, il giorno dopo, l’Arma ha sospeso il
provvedimento.
La Corte d’Assise (composta da 13 giudici popolari,
10 donne e tre uomini, e due magistrati) ha però rigettato la richiesta
del pm di acquisire agli atti del processo la cospicua documentazione
relativa al provvedimento disciplinare, rinviando l’eventuale ingresso
del fascicolo a dopo l’esame dell’imputato. La richiesta è stata
condivisa dalle parti civili e dalla difesa di Tedesco, ma osteggiata
dai difensori degli altri carabinieri imputati, malgrado – stando a
quanto riferito al manifesto dall’avvocata Maria Lampitella, che difende
D’Alessandro – il procedimento disciplinare sia stato «avviato, e poi
sospeso una settimana fa, anche per gli altri due imputati accusati di
omicidio preterintenzionale». Ma da parte loro non c’è stato alcun
ricorso al Tar, «perché non ci è arrivata la notifica di rigetto della
richiesta di sospensiva», assicura l’avv. Lampitella.
Il
provvedimento dunque sembra aver avuto un effetto simil «intimidatorio»
(come è stato definito dalle parti civili) solo per il vicebrigadiere
Tedesco che ha denunciato i suoi due colleghi e la sparizione, dagli
archivi della caserma Appia, della sua notazione di servizio redatta il
22 ottobre 2009, appena seppe della morte di Stefano Cucchi.
Stefano Cucchi
Morte
che non è da ritenersi dovuta all’epilessia, malattia di cui il giovane
geometra romano soffriva ma che è stata esclusa dalle cause possibili
del decesso dal neuropsichiatra Federico Vigevano, consulente tecnico
della procura che ieri in aula ha illustrato i risultati dello studio.
Un punto di vista sostanzialmente condiviso anche dal neurologo e
psichiatra prof. Bruno Iandolo, che aveva avuto in cura Cucchi e che lo
ha definito «un paziente attento e scrupoloso, e soprattutto molto
seguito dal padre che lo accompagnava sempre». Di sicuro, ha inoltre
aggiunto il prof. Vigevano – contraddicendo i periti nominati dal gip
nella fase delle indagini, che nel corso dell’incidente probatorio
sostennero l’impossibilità di risalire a una causa certa di morte,
propendendo però per una crisi epilettica che avrebbe colpito nel sonno
Stefano – è emerso un «disturbo post-traumatico da stress durante la
degenza in ospedale» e «un atteggiamento di chiusura del paziente sul
piano psicologico che rientra nei sintomi dei disturbi post-traumatici».
E
sì, perché Stefano Cucchi era un giovane fragile, come è emerso ieri in
aula dalle testimonianze di chi lo conosceva meglio. «Aveva scarsa
autostima, era un ragazzo speciale ma non sapeva di esserlo», ha
raccontato la cugina Viviana ricordando un giorno in cui Stefano si
presentò a casa sua un po’ depresso, e poi la cena del suo ultimo
compleanno, l’1 ottobre 2009, quando «si era preoccupato di far
preparare una torta senza glutine per sua sorella Ilaria».
Un
ragazzo fragile dunque ma che ce la stava mettendo tutta per riprendersi
dopo il periodo della tossicodipendenza: «Veniva ad allenarsi quasi
tutti i giorni in palestra, e lo faceva con una gran foga», malgrado
fosse «troppo esile, magro e piccolo di statura per sostenere incontri
diretti di kick boxing», ricordano l’istruttore e il proprietario della
struttura di Tor Pignattara dove Stefano è entrato l’ultima volta il 15
ottobre 2009 alle 18,59. Una manciata di ore prima di essere arrestato,
sei giorni prima di morire.