il manifesto 29.11.18
Per la genitorialità il governo prospetta un Welfare privatistico e condizionato al lavoro
Istat.
Il rapporto "Natalità e fecondità" dell'Istat attesta un nuovo calo di
oltre 15 mila nascite in Italia nel 2017, 45 mila in tre anni. Il
ministro della famiglia Fontana lancia un "codice natalità" e considera
il "bonus bebé" e "il terzo figlio in cambio di terra gratis" come un
antidoto. Per i Cinque Stelle lo sarà il "reddito di cittadinanza"
legato al lavoro gratuito e alla formazione obbligatoria
di Roberto Ciccarelli
Sono
tre i modi attraverso i quali il governo intende affrontare il calo
delle nascite registrato dal rapporto Istat «Natalità e fecondità»: meno
45 mila in tre anni, meno 15 mila in uno tra i 2016 e il 2017. Ci sono
il famigerato emendamento alla legge di bilancio (il «terzo figlio in
cambio di terreno gratis») e il «Bonus Bebé», introdotto da Berlusconi
nel lontano 2006, che sarà rifinanziato con 444 milioni. Ieri il
ministro leghista alla famiglia Lorenzo Fontana ha annunciato un «Codice
natalità». Si tratterebbe di un ripensamento delle politiche sulla
«famiglia, fisco, lavoro, salute, welfare, formazione nell’ottica di un
reale supporto alla natalità e alla genitorialità». Fontana ha legato il
progetto al «contratto di governo» tra Lega e Cinque Stelle.
IN
REALTÀ, IL SACRO TESTO è lacunoso, come spesso accade su molti temi.
Parla di «politiche efficaci per la famiglia»; conciliazione tra vita e
lavoro; innalzamento dell’indennità di maternità; un premio alle donne
che «concludono la maternità e rientrano al lavoro»; «sgravi
contributivi per le imprese che mantengono al lavoro le madri dopo la
nascita dei figli»; Iva «agevolata» per prodotti neonatali, rimborsi per
asili nido e baby sitter, «fiscalità di vantaggio». In attesa di
maggiori dettagli, l’impostazione resta la stessa del passato. Invece di
rafforzare i servizi sociali pubblici, e trasformare lo Stato sociale
in senso universalistico, non più familistico, si prospettano politiche
di sostegno alla genitorialità frammentate in molteplici erogazioni
monetarie, ispirate al modello assistenzialistico che delega la cura
alla famiglia e, in particolare, alle donne. Invece di responsabilizzare
l’impresa, e nel caso penalizzare chi licenzia o non rinnova i
contratti a causa di una maternità, lo Stato si limita a premiarla con
un sgravio fiscale.
IL RAPPORTO ISTAT ha spinto i Cinque Stelle a
declinare il sussidio di povertà detto impropriamente «reddito di
cittadinanza» anche come uno strumento di sostegno alla genitorialità. A
questa politica neoliberale di attivazione al lavoro di poveri e
disoccupati, vincolata al lavoro gratuito per otto ore a settimana e
alla formazione obbligatoria nei centri per l’impiego e con i privati,
il ministro del lavoro Luigi Di Maio ha attribuito il compito di
«invertire il trend» del calo delle nascite. Sempre che entri in vigore
il sistema annunciato dal governo, è invece probabile che i beneficiari
del sussidio non abbiano il tempo di pensare a una vita altra, impegnati
come saranno a rispettare le ingiunzioni per mantenerlo. Il cosiddetto
«reddito» è stato inoltre inteso, in una nota dei senatori 5 Stelle, un
«investimento sulle persone». La «crescita di cui ha bisogno l’Italia
sta nel numero di figli» ha aggiunto Di Maio su Facebook. Queste
considerazioni hanno come sfondo un’idea di biopolitica di stato. La
natalità è infatti collegata a un’idea di «crescita» economica, non è
l’espressione della libertà delle persone.
RESTA DA CAPIRE se, e
in quale misura, il «reddito» andrà anche alle cittadine straniere
residenti in Italia. Al momento, sembra che andrà a chi risiede in
Italia da più di cinque anni. Secondo il rapporto Istat, le donne
straniere hanno sostenuto nell’ultimo ventennio il «baby bust», la fase
di forte calo della fecondità tra le donne italiane. Ma il loro
contributo alla natalità si va lentamente riducendo.
LE ALLUSIONI
propagandistiche al «reddito» confermano che anche le politiche a
sostegno della maternità e della genitorialità resteranno vincolate alla
condizionalità e non sono ispirate all’estensione incondizionata delle
indennità di maternità, di paternità e parentale a tutte le tipologie
contrattuali e non solo al lavoro subordinato e parasubordinato, e non
solo in presenza di un contratto di lavoro.