il manifesto 27.11.18
Borghesia e contadini tra le grinfie dei Bonaparte
Incontri.
«Gli errori di Marx»: un estratto dal convegno «Marx e la critica del
presente (1818-2018)» in programma a Roma da oggi al 29 presso il
Goethe-Institut e la Sapienza
di Rino Genovese
Gli
«errori» di Marx – le previsioni sbagliate di cui a lungo si è discusso
all’interno del marxismo, come la tesi sull’impoverimento crescente del
proletariato, o la legge circa la caduta tendenziale del saggio di
profitto che avrebbe dovuto condurre a una crisi risolutiva del
capitalismo – possono essere ricondotti a quello che fu il suo unico
grande errore: avere preteso di dare alla propria concezione un
carattere predittivo sul modello delle scienze naturali. Ma a una teoria
sociale critica non si chiede di formulare pronostici: piuttosto di
aprire spazi di visibilità sulla realtà storica del proprio tempo. E
questo Marx seppe farlo in maniera incomparabile.
SI RESTA
AMMIRATI oggi non dal pur grandioso tentativo di dare basi
«scientifiche» al socialismo sottraendolo all’utopismo, quanto
dall’acuta sensibilità dell’analista che ha scritto saggi come Le lotte
di classe in Francia e Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte. Marx qui ha
applicato in modo creativo – per nulla meccanico o riduttivo, com’è
accaduto successivamente in molti suoi seguaci – il metodo del
materialismo storico basato sull’esame puntuale degli interessi
economico-sociali e politici delle parti in conflitto, non meno che su
quello delle loro posizioni ideologiche.
È la «tradizione storica»
– sostiene Marx nelle pagine finali del 18 brumaio, analizzando il
ruolo della classe contadina nell’ascesa dello sbruffone che prenderà il
nome di Napoleone III – ad avere indotto nei contadini francesi la
«credenza miracolistica che un uomo chiamato Napoleone renderà loro
tutto il loro splendore. […]L’idea fissa del nipote si è realizzata
perché essa coincideva con la classe più numerosa della popolazione
francese». E poco più avanti, quasi a rispondere anticipatamente
all’accusa di finire in un determinismo storico: «Intendiamoci. La
dinastia dei Bonaparte non rappresenta il contadino rivoluzionario, ma
il contadino conservatore»: ossia quello che si avvinghia al passato, al
«fantasma dell’impero» del primo Napoleone, per restarsene nel piccolo
privilegio del suo pezzo di terra.
COME SI VEDE già da queste
poche citazioni, il fattore soggettivo, insieme con la distinzione
rivoluzionario/conservatore che rinvia a una opzione di tipo politico,
appare l’elemento decisivo per definire una condizione di classe. Non
diversamente dalla borghesia delle città che, anteponendo il suo
interesse immediato, verrà meno all’interesse generale di classe, alla
sua missione storica, consegnandosi a sua volta nelle grinfie del
Bonaparte. E non diversamente dal sottoproletariato urbano che sarà,
insieme con la soldataglia, la massa di manovra del colpo di Stato del 2
dicembre 1851.
IN QUESTO CONTESTO Marx non si occupa delle
circostanze «obiettive» della compravendita della forza-lavoro, che
darebbero luogo a un contrasto di interessi insito nelle cose, per
volgersi invece alla descrizione e all’analisi della disposizione delle
forze in campo. Il proletariato di Parigi, sconfitto nell’insurrezione
del giugno 1948, non si farà trascinare in un bagno di sangue in
risposta al colpo di Stato. Risparmierà le energie per un appuntamento
successivo, perché la talpa rivoluzionaria scava la sua strada a poco a
poco.
C’è in questa teoria delle classi sociali l’accento su un
aspetto soggettivo che la pone agli antipodi del determinismo storico.
C’è un momento politico insopprimibile, insieme con la ricerca della
radice sociale dei conflitti che spinge a una critica della politica
così come si presenta, con le sue alchimie parlamentari (non si
dimentichi che il colpo di Stato bonapartista ebbe luogo contro la
seconda repubblica francese). È su una ridistribuzione delle carte nel
corso del conflitto che la rivoluzione proletaria dovrebbe puntare,
sebbene questa chance alla fine non si profili. Anzi, la stessa analisi
disincantata dell’eclissi politica della borghesia mostra la
sopravvalutazione del ruolo rivoluzionario riservato, nella generale
concezione marxiana, alla modernità capitalistica. In realtà questa è
sempre pronta al compromesso con le forze del passato, allo stesso modo
in cui la borghesia è disposta a sacrificare l’ideale repubblicano pur
di ottenere la tranquillità di cui ha bisogno per lo svolgimento dei
propri affari.
L’ILLUSIONE SULLA FUNZIONE storica progressiva
della borghesia contribuisce a spiegare perché le profezie di Marx non
si siano realizzate, perché lo stesso proletariato industriale non abbia
mai potuto trovare il momento per una vincente irruzione in forze,
perché la lotta mortale tra le classi abbia condotto nel Novecento a una
sorta di stallo epocale.
Oggi, al tempo della retorica intorno
all’«imprenditore di se stesso», nell’isolamento postfordista della
forza-lavoro, il dispiegarsi del conflitto sociale – chiamando così, in
un’accezione più ampia, la «lotta di classe» – appare la vera utopia,
l’orizzonte cui guardare dopo il tramonto del «socialismo scientifico».