il manifesto 25.11.18
Contro la violenza maschile: «Agitazione permanente»
«Vogliamo
essere contate vive», grida il lungo corteo di migliaia di persone per
le strade della capitale. Centri antiviolenza in testa
di Alessandra Pigliaru
ROMA
Al principio era una donna che esattamente un anno fa, pensando a come
partecipare alla manifestazione organizzata da Non Una Di Meno contro la
violenza maschile, si era vestita come l’ancella del romanzo di
Margaret Atwood The Handmaid’s Tale arrivato sugli schermi qualche mese
fa. Ieri, in Piazza della Repubblica mentre si aspettava che il corteo
partisse alla volta di Piazza San Giovanni, le attiviste avevano formato
una fila intera di ancelle mentre con il megafono una ragazza sopra il
camion elencava le ragioni che hanno portato a una ancora più
esorbitante mobilitazione. Postura meditabonda, testa lievemente
reclinata, mantella rossa, cuffia bianca, la rappresentazione che nel
libro di Atwood – e nella successiva serie di successo – si fa di quelle
donne scelte per adattarsi al dettato patriarcale ieri era in aperto
conflitto, in «stato di agitazione permanente», come ha recitato uno
degli slogan più efficaci della convocazione di Nudm.
LE ANCELLE
si sono spogliate lasciando gli abiti a terra, per indossare infine il
fazzoletto fucsia. È uno sguardo di grazia dolente quello della
giovanissima attivista che lentamente tiene in alto il pañuelo prima di
posarselo davanti alla bocca; in testa e blanco da anni è simbolo di una
ostinazione senza pari per le Madres di Plaza de Mayo; verde è stato
scelto, sempre in Argentina, per rivendicare l’aborto libero e sicuro.
Qui, nell’esplicita continuità con il paese che per primo ha fondato Ni
Una Menos, è il segno di un «mettere e tenere in movimento le cose»,
fissa il punto di una liberazione e grida con forza che le donne
desiderano contarsi vive. Che dicono basta alla violenza maschile e che
la biologia non è una forma destinale. Come i corpi che esistono,
sessuati, e che non tollerano di essere disciplinati da dispositivi che
ne prevedrebbero la tutela o la correzione.
Duecentomila, dalle
prime stime, donne uomini, giovani, in solitudine come quel signore che
in un cartello preparato con la massima cura ha fatto un collage con le
foto di alcuni governanti appellandoli «sessisti omofobi e razzisti». I
centri antiviolenza, i collettivi, le associazioni, le case delle donne –
quella di Roma ma anche di Viareggio e Napoli – e organizzazioni tra le
più svariate, hanno composto ieri una marea dissenziente e travolgente
perché, nel tempo della dimenticanza politica che ci tocca in sorte, si
ribadisca ancora una volta che «la libertà delle donne è la libertà di
tutti». Ché nel buio pesto, come un loculo, di una memoria storica in
cui si millantano privilegi inesistenti mentre i numeri delle violenze e
dei femminicidi aumentano e i fondi per i centri antiviolenza non sono
ancora adeguati, sono le donne che rendono vivibili le città che abitano
e attraversano. Lo hanno fatto per l’ennesima volta, per il terzo anno
consecutivo riguardo Non Una Di Meno, lo mettono in pratica da decenni a
tutte le latitudini, in una insorgenza che ha il carattere di
un’origine felice.
NEI GIORNI in cui si assiste sgomente
all’assuefarsi verso la soppressione degli ultimi, migranti, precari e
nell’anonimato dell’essere fuori dalla norma, il femminismo insegna come
si sta al mondo con la festa nel cuore e la passione nel pensiero.
«Non
siamo madamine, noi siamo possedute». Il messaggio è nitido e si
riferisce senza troppi fronzoli a chi, in quel di Torino, ha
recentemente manifestato pro-Tav. «Non essere madamine» ha un
significato preciso e non è letterale; c’è infatti un discorso più ampio
riguardante ciò che ieri è passato in corteo. ovvero che il simbolico
deve di necessità misurarsi con il piano sociale, con una materialità e
lo deve fare non per ulteriori esclusioni né asservimenti ma per dire
che al fondo c’è proprio una differente visione del mondo: il pianeta
dove siamo ma anche la responsabilità di riprodurre e foraggiare un
senso della realtà irricevibile che per esempio pretende di sventrare
territori per «l’alta velocità». Che tutto ciò abbia a che vedere anche
con una differenza di classe è vero, che abbia a che vedere con un agire
politico che non possa fare sconti al sessismo come al razzismo e al
fascismo è ulteriormente rispondente al presente che stiamo vivendo.
Non
sono posizioni contrattabili, la piazza di ieri racconta che è finito
il tempo dei compromessi e che è arrivato, a falcate gioiose e ben
determinate, quello della radicalità, della scomodità. Non si accettano
aggiustamenti al ribasso sulle esistenze dei più deboli o delle donne –
che dovrebbero espiare le colpe di una maschilità ancora irrisolta. E di
una politica istituzionale che vorrebbe sostenerne il disordine.
NESSUNA
MODIFICA dunque per un Ddl come il Pillon che, insieme al tentativo di
affondare la legge 194, è tra le misure più eloquenti della maggioranza
di governo. Va bloccato, senza replica.
«La rivoluzione è
femminista, la rivoluzione è fica» e ancora l’ironia degli acronimi «All
Clitoris Are Beuatiful oppure Qui Uniamo Estasi E Rabbia», alcuni
slogan già noti con qualche eccezione – purtroppo drammatica – negli
striscioni. L’anno scorso c’era il nome di Sara Di Pietrantonio a cui
quest’anno si è aggiunto quello di Desirèe Mariottini, così come quello
di Marielle Franco che torna nel cartello piccolo e fitto di un
collettivo milanese a lei intitolato. I vari gruppi di Non Una Di Meno
sparsi per l’Italia si sono ritrovati a Roma, ogni giorno lavorano di
sponda nei singoli territori. A ricordare che le ancelle sono diventate
delle possedute – dalla propria libertà. Hanno finito da un pezzo di
obbedire, a chiunque se non a se stesse e alle proprie simili.