il manifesto 21.11.18
Msf: «È l’ennesima campagna strumentale contro di noi»
Intervista.
«Viviamo esclusivamente di contributi privati, a ogni campagna di
delegittimazione le donazioni calano del 20%, significa danneggiare il
nostro lavoro in 72 paesi», spiega il responsabile delle relazioni
istituzionali dell'ong, Marco Bertotto
Volontari di Msf, sotto Marco Bertotto
di Adriana Pollice
«La
procura di Catania ha deciso di fare indagini, nessuno di noi si sente
al di sopra della magistratura ma sono quasi due anni che la nostra
attività è scandagliata in ogni dettaglio. Ci difenderemo raccontando la
nostra verità. Non siamo preoccupati perché veniamo da anni di tempesta
e altri ne abbiamo davanti» così commenta il responsabile delle
relazioni istituzionali di Medici senza frontiere Italia, Marco
Bertotto, l’inchiesta che ha messo nel mirino la sua Ong per traffico
illecito di rifiuti.
Bertotto, è un’accusa molto grave.
La
procura sostiene che la nostra attività, l’attività di un’organizzazione
premio Nobel per la Pace, è finalizzata a ottenere guadagni dai
rifiuti. Siamo stupiti e indignati. Per lo smaltimento ci affidiamo a
operatori portuali, seguiamo le operazioni standard. Verificheremo se ci
sono stati comportamenti scorretti ma al massimo si tratta di errori.
Abbiamo iniziato i soccorsi in mare nel 2015, per tre anni non abbiamo
mai ricevuto una contestazione o una multa. A maggio c’è stata
un’operazione di polizia con il sequestro di un camion che portava
rifiuti provenienti dalle nostre navi, nessuno ci ha chiesto
spiegazioni, abbiamo avuto solo l’avviso di chiusura indagini. In tre
anni si sono avvicendate 5 navi che hanno soccorso 80mila persone
gestendo 200 sbarchi. Saremmo stati veramente stupidi a mettere su un
traffico illecito di rifiuti quando le operazioni di sbarco dei migranti
sono le più sorvegliate d’Italia: a bordo salgono polizia, carabinieri,
guardia di finanza e nessuno ha mai eccepito nulla.
La procura
ritiene che abbiate smaltito in modo fraudolento indumenti infettivi.
Eppure il ministro Salvini ad agosto ha tenuto i migranti bloccati dieci
giorni sulla nave Diciotti della Guardia costiera.
Si tratta di
una contestazione che non può esistere nella realtà dei fatti. Quando le
navi con i migranti entrano in porto si issa la bandiera gialla e
nessuno può sbarcare fino a che le autorità sanitarie non accertato il
cessato pericolo. Quindi nessuno dei migranti che abbiamo salvato
costituiva un pericolo e tantomeno i loro indumenti. È vero che
cerchiamo di dare loro rapidamente abiti puliti ma il motivo non sono le
infezioni: hanno addosso vestiti intrisi di benzina e acqua di mare che
provocano ustioni, vanno tolti per l’incolumità dei migranti stessi e
non per chi sta loro intorno. Del resto i naufraghi in condizioni gravi
non restano a bordo delle navi delle Ong ma vengono evacuati in
elicottero o sulle motovedette della Guardia costiera.
Come ha
spiegato il nostro medico Gianfranco De Maio, ci accusano di aver
esposto la popolazione a malattie che si trasmettono solo per via
orofecale, cioè avrebbero dovuto mangiare gli indumenti per ammalarsi,
oppure per via respiratoria o tramite il sangue. Il trattamento dei
rifiuti e delle acque nere è centrale per la nostra attività: per due
anni abbiamo operato in Africa durante l’epidemia di Ebola, i nostri
protocolli sono presi a esempio da realtà come l’Organizzazione
internazionale della Sanità.
La procura ha disposto il sequestro della nave Aquarius.
L’Aquarius
non è operativa da mesi, bloccata a Marsiglia prima dalle politiche dei
governi che hanno chiuso i porti e poi dalla revoca della bandiera:
prima Gibilterra e poi Panama hanno ritirato l’iscrizione al registro
navale su pressione dell’esecutivo italiano, avallato in ambito europeo.
Ora ha la bandiera liberiana che però ci consente solo di tenere
l’assicurazione con la barca in mare ma non possiamo effettuare
operazioni di Ricerca e soccorso.
E ha sequestrato anche i conti correnti.
Il
blocco dei conti riguarda i depositi di Msf Olanda e Msf Belgio in
Italia. Il problema non è la ridotta liquidità ma il danno
reputazionale. Viviamo esclusivamente di contributi privati, a ogni
campagna di delegittimazione le donazioni calano del 20%, questo
significa danneggiare il nostro lavoro in 72 paesi nel mondo. La procura
ci contesta un illecito che vale meno del 2% del nostro budget. Siamo
vicini ai sette colleghi rimasti coinvolti nell’inchiesta. È l’ennesima
campagna strumentale contro di noi, contro la solidarietà, il nostro
pensiero va a chi è bloccato nei campi di detenzione in Libia.