il manifesto 18.11.18
Tre diversi «Lenin» nella tempesta dell’«intellighenzia»
Gor'kij.
Il racconto di come uno scrittore cruciale conobbe e si scontrò con un
cruciale politico e statista: Marco Caratozzolo studia e compara le
versioni ’24, ’27, ’31 di Lenin, un uomo, Sellerio
di Giorgio Fabre
Fa
impressione leggere, in questo momento, il libro su Lenin scritto da
Gor’kij. Questa è un’epoca in cui vengono ormai lette e pubblicate
biografie sofisticate e piene di documenti di tutti i tipi, soprattutto
sull’Urss: per i leader russi bastano quelle uscite da pochissimo sullo
stesso Lenin, di Victor Sebestyen per Rizzoli, e, ricca di rilevante
documentazione, su Stalin di Oleg Clevnjuk (Mondadori). Eppure la
biografia su Lenin scritta da Gor’kij resta una guida letteraria e
storica che si impone come genere diverso. Non risulta che ci sia stato
qualcosa di simile nella stessa cultura mondiale: forse la celebre
biografia del dottor Johnson scritta da James Boswell. Forse quella,
tutto sommato esile, del 1923-’24, di Anatolij Lunacarskij sullo stesso
Lenin.
Quella di Gor’kij ha caratteri suoi ma è davvero un
capolavoro dell’analisi storica di un periodo di cui, in fondo, ancor
oggi non sappiamo tutto. È il racconto di come un cruciale letterato e
anche politico, conobbe, si scontrò e anche attaccò un cruciale politico
e statista. Dopo la versione che ne ha fornita qualche tempo fa
l’editore Castelvecchi, ristampando la vecchissima traduzione di Ignazio
Ambrogio (ma si riferiva soltanto alla versione del 1931), ora esce la
biografia completa: Maksim Gor’kij, Lenin, un uomo. E vengono
confrontate tra loro le edizioni che lo scrittore russo forse più
celebre del Novecento pubblicò nel ’24, dopo la morte del capo
comunista, ritoccò tre anni dopo e rifece nel ’31. L’ha edita la
Sellerio («La memoria», pp. 164, euro 13,00) e l’ha curata uno dei
nostri migliori russisti, Marco Caratozzolo, che ha tirato fuori e
accostato le tre versioni, indicandone, con straordinaria abilità, le
rispettive modifiche, aggiunte, eliminazioni e spiegandone i vari
motivi. È uno studio di grande rilevanza, senza precedenti direi in
nessun paese, neanche in Russia; e forse meriterebbe una traduzione
perfino in russo.
Delle tre versioni, il testo cruciale è quello
del 1927, che costituisce l’asse portante del libro e in parte corresse
quello del ’24, quando Lenin era appena scomparso. Anche l’edizione del
’31 resta però rilevante, perché Gor’kij cercò di modificarvi la
versione precedente: il vero capo era cambiato ed era Stalin, e il
grande scrittore, che pure continuava a vivere nell’Italia fascista,
manteneva un solido e prudente rapporto col proprio paese. Per esempio
il racconto dei giudizi di Lenin su Trotzki veniva modificato. Ma non
era solo un testo da far accettare al nuovo vožd, al nuovo capo: era un
ripensamento della valutazione e del giudizio dello stesso biografo.
Perché
il rapporto tra Gor’kij e Lenin non fu tranquillo né sempre affettuoso
(ma talvolta sì). Nei testi si vede bene, e per questo sono
affascinanti. Caratozzolo ha aggiunto anche brani di articoli che lo
stesso Gor’kij pubblicò allo scoppio della Rivoluzione. Durissimi. Uno
solo del 7 novembre 1917: «Lenin, Trockij e i loro compagni di strada si
sono già intossicati con il putrido veleno del potere, cosa che si
riflette nel loro vergognoso atteggiamento verso la libertà di parola,
della persona e verso tutti quei diritti per la cui conquista si è
battuta la democrazia».
Lo scrittore vide Lenin per la prima volta
a San Pietroburgo nel novembre 1905, a un incontro in un giornale
bolscevico e poi a una riunione del Comitato Centrale del partito
socialdemocratico russo. Già sapevano uno dell’altro da diverso tempo.
Ma Gor’kij era entrato allora nel partito di Lenin, e quelli non furono
grandi rapporti. Lo scrittore, già famoso, era diffidente, e lo rimase a
lungo. Lenin meno, perché il celebre Gor’kij poteva essere uno
strumento prezioso per lui e il partito. Ma due anni dopo, a Londra, al
nuovo Congresso del partito, Gor’kij cambiò atteggiamento e il capo dei
bolscevichi divenne per lui un vero punto di riferimento.
Ma anche
Lenin poco dopo, quando Gor’kij per la prima volta andò a vivere per un
po’ di tempo a Capri, cambiò il suo, di atteggiamento, e partì
all’attacco. Nell’isola lo scrittore aveva invitato, oltre al leader
bolscevico, degli amici progressisti e russi come Bogdanov, che aprirono
la cosiddetta «scuola di Capri», un gruppo di intellettuali attratti
dall’inserimento della religione nella normale vita culturale.
«Combriccola di letterati», se ne uscì Lenin; e su Gor’kij, ricordò che a
Capri egli lo aveva «ammonito e rimproverato per i suoi errori
politici».
Dopo non molto, nel ’17 partirono gli attacchi inversi
di Gor’kij a Lenin, per la violenza che aveva attraversato la
Rivoluzione, origine di grandi stragi. Eppure i rapporti rimasero buoni.
Ma lo scrittore insisteva con la sua diffidenza verso la politica. Lo
riassunse nella biografia del ’27: Lenin «era un politico. Usava alla
perfezione quella linearità dello sguardo, ormai rifinita e molto
chiara, che è indispensabile al capitano di una gigantesca nave come è
la greve Russia contadina. Io ho un rifiuto fisiologico della politica e
sono un marxista molto dubbioso, perché credo poco nella ragione della
masse in generale».
Si affermarono così i rapporti personali,
soprattutto dopo che Lenin nel ’18 venne ferito dall’attentato della
Kaplan; ma anche la diffidenza di Gor’kij verso la politica bolscevica
imposta dal leader. Lo scrittore soprattutto tentò di salvare
l’«intellighenzia» russa, che in quel periodo entrava invece, proprio
per ispirazione di Lenin, nella tempesta distruttiva del bolscevismo,
che privilegiava solo operai e contadini. Era la stessa posizione
dell’altro bolscevico cruciale e biografo di Lenin, Lunacarskij. Ma si
noti: proprio per difendere l’«intellighenzia», Stalin (in fondo più
abile del padre del bolscevismo) negli anni trenta fece nominate Gor’kij
capo dell’Unione scrittori. E lui finì per guidare un gruppo
intellettuale che ormai dipendeva del tutto dal Partito.