domenica 18 novembre 2018

il manifesto 18.11.18
Tre diversi «Lenin» nella tempesta dell’«intellighenzia»
Gor'kij. Il racconto di come uno scrittore cruciale conobbe e si scontrò con un cruciale politico e statista: Marco Caratozzolo studia e compara le versioni ’24, ’27, ’31 di Lenin, un uomo, Sellerio
di Giorgio Fabre


Fa impressione leggere, in questo momento, il libro su Lenin scritto da Gor’kij. Questa è un’epoca in cui vengono ormai lette e pubblicate biografie sofisticate e piene di documenti di tutti i tipi, soprattutto sull’Urss: per i leader russi bastano quelle uscite da pochissimo sullo stesso Lenin, di Victor Sebestyen per Rizzoli, e, ricca di rilevante documentazione, su Stalin di Oleg Clevnjuk (Mondadori). Eppure la biografia su Lenin scritta da Gor’kij resta una guida letteraria e storica che si impone come genere diverso. Non risulta che ci sia stato qualcosa di simile nella stessa cultura mondiale: forse la celebre biografia del dottor Johnson scritta da James Boswell. Forse quella, tutto sommato esile, del 1923-’24, di Anatolij Lunacarskij sullo stesso Lenin.
Quella di Gor’kij ha caratteri suoi ma è davvero un capolavoro dell’analisi storica di un periodo di cui, in fondo, ancor oggi non sappiamo tutto. È il racconto di come un cruciale letterato e anche politico, conobbe, si scontrò e anche attaccò un cruciale politico e statista. Dopo la versione che ne ha fornita qualche tempo fa l’editore Castelvecchi, ristampando la vecchissima traduzione di Ignazio Ambrogio (ma si riferiva soltanto alla versione del 1931), ora esce la biografia completa: Maksim Gor’kij, Lenin, un uomo. E vengono confrontate tra loro le edizioni che lo scrittore russo forse più celebre del Novecento pubblicò nel ’24, dopo la morte del capo comunista, ritoccò tre anni dopo e rifece nel ’31. L’ha edita la Sellerio («La memoria», pp. 164, euro 13,00) e l’ha curata uno dei nostri migliori russisti, Marco Caratozzolo, che ha tirato fuori e accostato le tre versioni, indicandone, con straordinaria abilità, le rispettive modifiche, aggiunte, eliminazioni e spiegandone i vari motivi. È uno studio di grande rilevanza, senza precedenti direi in nessun paese, neanche in Russia; e forse meriterebbe una traduzione perfino in russo.
Delle tre versioni, il testo cruciale è quello del 1927, che costituisce l’asse portante del libro e in parte corresse quello del ’24, quando Lenin era appena scomparso. Anche l’edizione del ’31 resta però rilevante, perché Gor’kij cercò di modificarvi la versione precedente: il vero capo era cambiato ed era Stalin, e il grande scrittore, che pure continuava a vivere nell’Italia fascista, manteneva un solido e prudente rapporto col proprio paese. Per esempio il racconto dei giudizi di Lenin su Trotzki veniva modificato. Ma non era solo un testo da far accettare al nuovo vožd, al nuovo capo: era un ripensamento della valutazione e del giudizio dello stesso biografo.
Perché il rapporto tra Gor’kij e Lenin non fu tranquillo né sempre affettuoso (ma talvolta sì). Nei testi si vede bene, e per questo sono affascinanti. Caratozzolo ha aggiunto anche brani di articoli che lo stesso Gor’kij pubblicò allo scoppio della Rivoluzione. Durissimi. Uno solo del 7 novembre 1917: «Lenin, Trockij e i loro compagni di strada si sono già intossicati con il putrido veleno del potere, cosa che si riflette nel loro vergognoso atteggiamento verso la libertà di parola, della persona e verso tutti quei diritti per la cui conquista si è battuta la democrazia».
Lo scrittore vide Lenin per la prima volta a San Pietroburgo nel novembre 1905, a un incontro in un giornale bolscevico e poi a una riunione del Comitato Centrale del partito socialdemocratico russo. Già sapevano uno dell’altro da diverso tempo. Ma Gor’kij era entrato allora nel partito di Lenin, e quelli non furono grandi rapporti. Lo scrittore, già famoso, era diffidente, e lo rimase a lungo. Lenin meno, perché il celebre Gor’kij poteva essere uno strumento prezioso per lui e il partito. Ma due anni dopo, a Londra, al nuovo Congresso del partito, Gor’kij cambiò atteggiamento e il capo dei bolscevichi divenne per lui un vero punto di riferimento.
Ma anche Lenin poco dopo, quando Gor’kij per la prima volta andò a vivere per un po’ di tempo a Capri, cambiò il suo, di atteggiamento, e partì all’attacco. Nell’isola lo scrittore aveva invitato, oltre al leader bolscevico, degli amici progressisti e russi come Bogdanov, che aprirono la cosiddetta «scuola di Capri», un gruppo di intellettuali attratti dall’inserimento della religione nella normale vita culturale. «Combriccola di letterati», se ne uscì Lenin; e su Gor’kij, ricordò che a Capri egli lo aveva «ammonito e rimproverato per i suoi errori politici».
Dopo non molto, nel ’17 partirono gli attacchi inversi di Gor’kij a Lenin, per la violenza che aveva attraversato la Rivoluzione, origine di grandi stragi. Eppure i rapporti rimasero buoni. Ma lo scrittore insisteva con la sua diffidenza verso la politica. Lo riassunse nella biografia del ’27: Lenin «era un politico. Usava alla perfezione quella linearità dello sguardo, ormai rifinita e molto chiara, che è indispensabile al capitano di una gigantesca nave come è la greve Russia contadina. Io ho un rifiuto fisiologico della politica e sono un marxista molto dubbioso, perché credo poco nella ragione della masse in generale».
Si affermarono così i rapporti personali, soprattutto dopo che Lenin nel ’18 venne ferito dall’attentato della Kaplan; ma anche la diffidenza di Gor’kij verso la politica bolscevica imposta dal leader. Lo scrittore soprattutto tentò di salvare l’«intellighenzia» russa, che in quel periodo entrava invece, proprio per ispirazione di Lenin, nella tempesta distruttiva del bolscevismo, che privilegiava solo operai e contadini. Era la stessa posizione dell’altro bolscevico cruciale e biografo di Lenin, Lunacarskij. Ma si noti: proprio per difendere l’«intellighenzia», Stalin (in fondo più abile del padre del bolscevismo) negli anni trenta fece nominate Gor’kij capo dell’Unione scrittori. E lui finì per guidare un gruppo intellettuale che ormai dipendeva del tutto dal Partito.