il manifesto 16.11.18
Sul nazifascismo ecco la memoria alla vicentina
di Angelo d'Orsi
Ecco
un altro Signor Nessuno giunto ai disonori della cronaca, stavolta a
Vicenza, comune in mano ad una Giunta di destra (Forza Italia, Lega,
Fratelli d’Italia e liste civiche). Il cui vice-sindaco, Matteo Tosetto
(professione immobiliarista), ha avuto il becco di raccontare in una
conferenza stampa le motivazioni con cui l’Amministrazione della città
ha deciso di cambiare una lapide commemorativa di uno dei peggiori
eccidi nazisti in Italia.
Ebbene, a leggerle c’è davvero da
rimanere di stucco, davanti a tanta ignoranza, tanta protervia e tanta
stupida insolenza. Dunque lo zelante amministratore, ha spiegato che
l’intervento lapideo relativo ai fatti del 9 novembre 1944, è stata
fatto in nome della «memoria condivisa». Si è trattato di una semplice
«correzione» del testo della lapide, dove sono scomparse due parole
significative: «nazifascisti», ossia gli autori della strage (sostituiti
da un pudico «truppe di occupazione»!), e «Resistenza», eliminata come
parola eretica ed evitanda, sostituita con quella che è apparsa più
tollerabile (a mala pena, ritengo) di «Costituzione». Ma avremmo oggi
l’una, la Carta costituzionale, senza ciò che chiamiamo «Resistenza»,
ossia l’azione di uomini e donne tra il ’43 e il 45, si batterono contro
i nazifascisti?
Il sindaco, Vincenzo Rucco, confermando le parole
del suo vice, ha aggiunto che l’operazione è stata compiuta «nel
rispetto di tutte le vittime», anche quelle dell’altra parte, insomma.
Non ha spiegato però quali siano state le vittime dell’altra parte, e
non avrebbe potuto in quanto non vi furono. Quel 9 novembre un’azione
partigiana aveva fatto saltare un ponte sulla ferrovia che serviva al
trasporto di truppe germaniche: un attentato utile alla causa della
Resistenza, che non produsse vittima alcuna, tra tedeschi e
repubblichini, ma ne scatenò la vendetta: dieci giovani e giovinetti,
partigiani o sospetti partigiani, detenuti nel carcere padovano, furono
fucilati per rappresaglia.
Atteggiandosi a filosofo liberale, il
succitato vice-sindaco, venditore di case, ha sentenziato: «Non ci
accapigliamo su chi abbia più titolo per parlare di libertà, che invece
ha un valore assoluto». Dimenticando che la libertà ce l’hanno data
proprio quei dieci ragazzi, e le centinaia di migliaia di italiani che
come loro hanno gettato le loro vite su di un piatto della bilancia
della storia, coscienti dei rischi che correvano, mentre sull’altro
c’era appunto il valore della libertà. Che evidentemente a quegli
«sconsiderati» doveva apparire un bene più importante delle stesse loro
vite. E dall’altra parte, accanto alle «truppe di occupazione»
operavano, sovente coprendosi il volto onde evitare che i compaesani li
riconoscessero, gli adepti della Rsi, fascisti italiani che agivano di
concerto con i tedeschi nazisti.
Oggi, Vicenza, il cui territorio
molto ha dato alla lotta di Liberazione, con un gesto maramaldesco, ad
opera della maggioranza che guida il Comune, dà un colpo di spugna sui
fatti, sulle vittime, sui carnefici, tutto annegando nella ineffabile
memoria condivisa. I guasti prodotti dal revisionismo storiografico,
precipitato via via dai De Felice ai Pansa, in un processo inquietante,
si stanno manifestando giorno dopo giorno, ovunque. Abbiamo commentato
su queste pagine, solo pochi giorni fa, la proposta di sostituire al 25
Aprile (e al 2 Giugno), il 4 Novembre, una ricorrenza «nazionale» che
sarebbe appunto da considerare «condivisa», mentre quelle date che hanno
segnato le tappe della storia della Nuova Italia, sarebbero «divisive».
I
segnali in questa stessa direzione sono innumerevoli. Oltre all’Anpi
(da cui è arrivata una immediata reazione in sede locale: attendiamo
quella nazionale), il mondo intellettuale, in particolare la comunità
degli storici, non ha nulla da obiettare? Non siamo forse giunti ai
segnali di una inaccettabile «riscrittura» della storia?