Corriere 16.11.18
1938-2018 Un libro dello storico Enzo Collotti. Qui una sintesi della prefazione
Quando il razzismo divenne legge
La svolta antisemita di Mussolini
di Donatella Di Cesare
Non vi furono pressioni naziste per l’adozione di misure contro gli ebrei
Colpire persone del tutto innocenti fu una scelta consapevole del regime
Che
cosa può significare per un adolescente andare a scuola, come ogni
giorno, ed essere rifiutato? «No, per te la scuola è chiusa — non solo
oggi, ma per sempre». Così, senza alcun motivo plausibile; né per un
provvedimento disciplinare, né tanto meno per aver commesso un reato.
Semplicemente perché «sei ebrea!», «sei ebreo!». È capitato,
nell’autunno del 1938, agli ebrei italiani che improvvisamente furono
cacciati dai banchi di scuola, espulsi dalle aule universitarie. Coloro
che passarono indenni per le successive sciagure, descrissero
quell’evento come un trauma violento e inesplicabile. Primo Levi parlò
di «fulmine», un termine frequente in altre testimonianze. Il che rende
bene la drammaticità, ma anche la sorpresa e lo sconcerto.
Ciò
avveniva nell’Italia fascista di Mussolini che, attraverso un decreto
del 5 settembre 1938, firmato dal ministro Bottai, conquistò una triste e
ignobile supremazia: fu la prima nazione a espellere le «persone di
razza ebraica» dalle scuole di ogni ordine e grado, nonché dalle
università e dalle accademie. Il decreto valeva per gli studenti come
per gli insegnanti. Pur avendo emanato nel 1935 le leggi razziste di
Norimberga, la Germania nazista introdusse solo un paio di mesi dopo
l’Italia un’analoga misura.
Già questo deve far riflettere su
quella singolare narrazione che ha dominato per decenni e si è radicata
profondamente nell’immaginario collettivo italiano. Le cosiddette «leggi
razziali» del 1938 sarebbero state l’esito di una imposizione della
Germania che intimava di perseguitare gli ebrei italiani. Mussolini,
invece, non avrebbe voluto altro che «discriminare non perseguitare»,
come proclamava uno slogan allora famoso. Se negli studi più recenti
questa subdola narrazione è stata criticata e del tutto sconfessata, il
mito degli Italiani «brava gente» è pur sempre duro a morire. Non è
difficile intuire perché. Oltre a lavare con un colpo di spugna la
coscienza della nazione, contrabbandando l’apparenza innocua di un
fascismo tutt’al più «servile», questo mito ha avuto il vantaggio di
rimuovere la «questione ebraica» in Italia. Come se non fossero mai
esistiti né antisemitismo né antiebraismo.
Oltre a ripercorrere
con chiarezza la storia delle leggi promulgate dal fascismo italiano per
discriminare e perseguitare gli ebrei, il libro di Enzo Collotti Il
fascismo e gli ebrei, in edicola domani con il «Corriere», richiama la
nazione alla sua storia e alle sue responsabilità, delineando il
contesto in cui quei provvedimenti furono emanati. Pur pubblicato per la
prima volta nel 2003, questo lavoro resta un punto di riferimento
imprescindibile in un filone di studi che si è andato estendendo. E
mette l’accento proprio sull’intento di costruire anzitutto una «scuola
fascista», la cui rilevanza era strategica per trasformare la cultura
del Paese.
Gli ebrei erano cittadini italiani. In tal senso le
leggi contro di loro furono una ferita inferta alla cittadinanza, un
precedente grave e allarmante; sebbene non tutti i diritti fossero stati
revocati, gli ebrei vennero di fatto espulsi dalla nazione. Molti di
loro furono tanto più sorpresi, perché si sentivano profondamente
italiani. Basti pensare al ghetto di Roma, sede della comunità ebraica
più antica della diaspora, cuore della città. Proprio gli ebrei romani
avevano più di altri salutato con gioia l’unità nazionale per le libertà
di cui avrebbero goduto. La costruzione, tra il 1901 e il 1904, del
Tempio Maggiore, quasi al centro del ghetto, fu il suggello di
un’assimilazione compiuta. Ma lo era davvero?
Il criterio
L’essenza ebraica fu identificata nel sangue al quale si attribuirono tratti immutabili
Nel
contesto italiano, come in quello di altri Paesi europei, restava
aperta la «questione ebraica». Si doveva considerare l’ebraismo una
religione? Come lo è il cristianesimo? Quest’idea aveva promosso
l’emancipazione: gli ebrei avrebbero potuto essere cittadini — italiani,
tedeschi, francesi, ecc. — nella sfera pubblica, esercitando il proprio
culto in privato. Si sarebbe trattato allora solo di un’uguaglianza di
diritti. Sennonché gli ebrei erano anche un popolo con una lunga storia.
Da qui nasceva, nella modernità, il topos dello «Stato nello Stato». La
questione non era solo religiosa, ma anche politica. Se appartenevano a
un popolo altro, gli ebrei erano allora «nemici» all’interno della
nazione, tanto più temibili e pericolosi perché si spacciavano per
quello che non erano, si facevano passare per tedeschi o per italiani,
mentre erano «stranieri».
Questi logori cliché tornarono, anzi, ad
accendersi, allorché si coniugarono con l’antisemitismo di stampo più
prettamente politico. La Germania anticipò i tempi e dette, per così
dire, l’esempio, mostrando che era possibile legiferare contro una parte
dei propri cittadini che non avevano commesso alcun reato. Ma fu
appunto solo un esempio e, tutt’al più, uno stimolo. Non esistono prove e
documenti che testimonino un intervento tedesco nelle scelte della
politica fascista.
Per emanare le leggi antiebraiche occorreva,
però, definire l’«ebreo». Tale definizione si sarebbe rivelata non solo
ardua e problematica, ma alla fin fine impossibile. Chi si era
convertito al cristianesimo non avrebbe forse dovuto essere considerato
cristiano? E che dire poi dei figli di coloro che erano battezzati da
una o più generazioni? Malgrado tutto l’acqua del battesimo non
sembrava, però, sufficiente a lavare il sangue.
Questa era stata
la lezione delle prime leggi razziste, promulgate a Toledo il 5 giugno
1449. Grazie alla «purezza del sangue», più importante di quella della
fede, vennero prese misure contro i marrani, ebrei convertiti più o meno
forzatamente al cristianesimo, distinti così dai cristiani di «pura
origine». Già allora si andarono chiudendo le porte della fratellanza
universale, mentre cominciò l’ossessione per la genealogia. L’essenza
ebraica fu identificata nel sangue, fluido così vitale e corporeo, così
occulto e ineffabile, nel quale si credette di scorgere gli immutabili
tratti ebraici, impossibili da emendare. Nessuna conversione avrebbe mai
potuto guarire quel «male incurabile», dal cui contagio era necessario
preservarsi. La teologia ricorreva alla politica e, viceversa, la
politica alla teologia.
L’esordio
Il primo provvedimento fu espellere studenti e insegnanti da scuole e università pubbliche
Questa
singolare metafisica del sangue restò anche in seguito alla base delle
leggi razziste. Come se davvero il sangue fosse criterio di purezza. Si
comprende perciò l’imbarazzo della Chiesa di fronte alle leggi del 1938,
che in Italia vietavano i «matrimoni misti», un imbarazzo messo
tuttavia a tacere. Ma si comprende anche la difficoltà di definire
l’«ebreo», che non ebbe altro esito se non una raccapricciante
aritmetica che contava il quarto, il settimo, il decimo di sangue
impuro. Lo scopo fu dapprima quello di discriminare e separare, quindi
di espellere e, alla fin fine, eliminare. Il diritto, che avrebbe dovuto
garantire la protezione dei cittadini, fu piegato a quell’impresa
violenta di potere.