lunedì 12 novembre 2018

il manifesto 11.11.18
Roma invasa, ma dagli antirazzisti
Uno, cento, mille Riace. Attese 20 mila presenze. Ma i manifestanti erano almeno il doppio
di Rachele Gonnelli


«Umano», in tutte le sue declinazioni, è la parola che ha risuonato di più alla grande manifestazione antirazzista contro il decreto-sicurezza che ha invaso ieri pomeriggio le strade di Roma. Umano contrapposto a «Salvini», sempre nelle varie accezioni di decreto e di esternazioni del ministro dell’Interno. E di varia umanità ce n’era davvero tanta, da tutte le parti d’Italia, dietro lo striscione di testa della piattaforma «Indivisibili». Il corteo ha sfilato per più di due ore tra Termini, via Cavour, via Merulana e ha riempito piazza San Giovanni oltretutto priva di palco: alla fine solo comizi improvvisati dai camion del corteo disposti nei vari angoli attorno alla Basilica. Rispetto alle 20 mila persone attese nei migliori pronostici, i manifestanti – nonostante i blocchi dei pullman ai caselli – si sono rivelati molti di più, forse persino il doppio.
UNA SINISTRA DIFFUSA che ha raccolto l’appello sulla piattaforma e si è riversata nella capitale «con ogni mezzo necessario» – come recitava un grande striscione – senza l’adesione di alcuna grossa organizzazione. «Si è replicato un po’ lo stesso schema della manifestazione di Macerata – dice Simone Vecchioni del centro sociale Sisma ricordando i fatti del febbraio scorso – anche allora la nostra città, dopo la tentata strage di Traini, fu invasa da 30 mila antifascisti e antirazzisti che avevano risposto alla nostra convocazione con un passaparola, perché ce n’era bisogno. Anche oggi è così, di fronte all’attacco di Lega e Cinquestelle contro i migranti e contro le fasce più deboli della società, un attacco ai diritti che alla fine toccherà tutti. I circoli di base e i singoli sono venuti a prescidere da qualsiasi diktat dall’alto». Per Simone è la prova che «il movimento antirazzista e antifascista è unito».
LA NOVITÀ PIÙ RILEVANTE rispetto ad altre analoghe manifestazioni – visibile a colpo d’occhio – è stata ieri la presenza massiccia di migranti. Sorridenti, felici, e molto più autorganizzati, non soltanto in comunità su base etnica. È il caso di un gruppo di africani del Molise che hanno scandito per tutto il tempo lo slogan del loro striscione: «United we stand, divided we fall». «Siamo nigeriani, maliani, ghanesi, facciamo lavori diversi in agricoltura o come mediatori culturali e ci organizziamo via internet», spiega uno di loro. Alcuni vanno in giro con sulla schiena pannelli di cartone scritti a mano: rispondono alla domanda sottesa su cosa sia la «pacchia». Esempio: «La pacchia non è quando hai uno nodo alla gola per la nostalgia». Oppure: «La pacchia non è svegliarsi all’alba per un lavoro sfruttato nei campi».
TANTISSIMI poi quelli venuti da Caserta. Alcuni dietro l’enorme striscione del l’ex Canapificio «Lasciateci passare», portato quasi di corsa. In questo spezzone, anche la polisportiva «Caserta antirazzista» che fa parte del circuito «We want to play, nessuno è illegale per giocare a pallone». «Ci eravamo costituiti due anni fa – racconta Marco Proto, fondatore della squadra di calcio Rfc Lions – insieme al St Ambroeus di Milano, AfroNapoli e S.Precario di Padova per denunciare la discriminazione dei cittadini extra Ue nelle norme per il tesseramento della Fgci e avevamo ottenuto l’abrogazione del famigerato articolo 40quater ma ora il decreto-sicurezza impedendo l’iscrizione all’anagrafe, richiesta per il tesseramento Figci, rimette tutto in discussione».
CI SONO TANTE REALTÀ che non ti aspetti, che sfuggono ai sondaggi di opinione o di propensione al voto sui media mainstream. Come Officina 47, altra rete di tutrici e tutori di minori migranti non accompagnati, nominati dai tribunali dei minori in base alla legge 47 o legge Zampa. «Soltanto a Roma siamo cento – dicono – e ci concepiamo come genitori sociali, non siamo affidatari, seguiamo i ragazzi che stanno nei centri e li accompagnamo nella crescita». Ci sono singoli progetti Sprar, come il coordinamento di Cosenza, i salernitani che vendono le magliette «Tu nun sì razzista, sì strunz» e gli ombrelli, e una parte dei proventi li devolvono al Baobab di Roma. E romani con la scritta «E anche ’sta rottura di cazzo dei fascisti». C’è la madre di Dora, che nasce a gennaio, e porta sulla pancia il cartello: «Attenzione pericolosa cittadina del mondo sta per nascere». In mezzo a tutta questa varia umanità ci sono naturalmente anche tante sigle e bandiere della sinistra antagonista, dei Cobas, dell’Usi, di Diem25, di giornali – da Left a La Comune – e in coda un nutrito spezzone rosso di Rifondazione e, a pochi metri di distanza, quello di Potere al Popolo.
Quando passa Jacopo Fo l’unica cosa che gli viene da dire è: «Abbiamo cambiato il mondo e lo cambieremo ancora». Una speranza e un augurio.