il manifesto 11.11.18
Roma invasa, ma dagli antirazzisti
Uno, cento, mille Riace. Attese 20 mila presenze. Ma i manifestanti erano almeno il doppio
di Rachele Gonnelli
«Umano»,
in tutte le sue declinazioni, è la parola che ha risuonato di più alla
grande manifestazione antirazzista contro il decreto-sicurezza che ha
invaso ieri pomeriggio le strade di Roma. Umano contrapposto a
«Salvini», sempre nelle varie accezioni di decreto e di esternazioni del
ministro dell’Interno. E di varia umanità ce n’era davvero tanta, da
tutte le parti d’Italia, dietro lo striscione di testa della piattaforma
«Indivisibili». Il corteo ha sfilato per più di due ore tra Termini,
via Cavour, via Merulana e ha riempito piazza San Giovanni oltretutto
priva di palco: alla fine solo comizi improvvisati dai camion del corteo
disposti nei vari angoli attorno alla Basilica. Rispetto alle 20 mila
persone attese nei migliori pronostici, i manifestanti – nonostante i
blocchi dei pullman ai caselli – si sono rivelati molti di più, forse
persino il doppio.
UNA SINISTRA DIFFUSA che ha raccolto l’appello
sulla piattaforma e si è riversata nella capitale «con ogni mezzo
necessario» – come recitava un grande striscione – senza l’adesione di
alcuna grossa organizzazione. «Si è replicato un po’ lo stesso schema
della manifestazione di Macerata – dice Simone Vecchioni del centro
sociale Sisma ricordando i fatti del febbraio scorso – anche allora la
nostra città, dopo la tentata strage di Traini, fu invasa da 30 mila
antifascisti e antirazzisti che avevano risposto alla nostra
convocazione con un passaparola, perché ce n’era bisogno. Anche oggi è
così, di fronte all’attacco di Lega e Cinquestelle contro i migranti e
contro le fasce più deboli della società, un attacco ai diritti che alla
fine toccherà tutti. I circoli di base e i singoli sono venuti a
prescidere da qualsiasi diktat dall’alto». Per Simone è la prova che «il
movimento antirazzista e antifascista è unito».
LA NOVITÀ PIÙ
RILEVANTE rispetto ad altre analoghe manifestazioni – visibile a colpo
d’occhio – è stata ieri la presenza massiccia di migranti. Sorridenti,
felici, e molto più autorganizzati, non soltanto in comunità su base
etnica. È il caso di un gruppo di africani del Molise che hanno scandito
per tutto il tempo lo slogan del loro striscione: «United we stand,
divided we fall». «Siamo nigeriani, maliani, ghanesi, facciamo lavori
diversi in agricoltura o come mediatori culturali e ci organizziamo via
internet», spiega uno di loro. Alcuni vanno in giro con sulla schiena
pannelli di cartone scritti a mano: rispondono alla domanda sottesa su
cosa sia la «pacchia». Esempio: «La pacchia non è quando hai uno nodo
alla gola per la nostalgia». Oppure: «La pacchia non è svegliarsi
all’alba per un lavoro sfruttato nei campi».
TANTISSIMI poi quelli
venuti da Caserta. Alcuni dietro l’enorme striscione del l’ex
Canapificio «Lasciateci passare», portato quasi di corsa. In questo
spezzone, anche la polisportiva «Caserta antirazzista» che fa parte del
circuito «We want to play, nessuno è illegale per giocare a pallone».
«Ci eravamo costituiti due anni fa – racconta Marco Proto, fondatore
della squadra di calcio Rfc Lions – insieme al St Ambroeus di Milano,
AfroNapoli e S.Precario di Padova per denunciare la discriminazione dei
cittadini extra Ue nelle norme per il tesseramento della Fgci e avevamo
ottenuto l’abrogazione del famigerato articolo 40quater ma ora il
decreto-sicurezza impedendo l’iscrizione all’anagrafe, richiesta per il
tesseramento Figci, rimette tutto in discussione».
CI SONO TANTE
REALTÀ che non ti aspetti, che sfuggono ai sondaggi di opinione o di
propensione al voto sui media mainstream. Come Officina 47, altra rete
di tutrici e tutori di minori migranti non accompagnati, nominati dai
tribunali dei minori in base alla legge 47 o legge Zampa. «Soltanto a
Roma siamo cento – dicono – e ci concepiamo come genitori sociali, non
siamo affidatari, seguiamo i ragazzi che stanno nei centri e li
accompagnamo nella crescita». Ci sono singoli progetti Sprar, come il
coordinamento di Cosenza, i salernitani che vendono le magliette «Tu nun
sì razzista, sì strunz» e gli ombrelli, e una parte dei proventi li
devolvono al Baobab di Roma. E romani con la scritta «E anche ’sta
rottura di cazzo dei fascisti». C’è la madre di Dora, che nasce a
gennaio, e porta sulla pancia il cartello: «Attenzione pericolosa
cittadina del mondo sta per nascere». In mezzo a tutta questa varia
umanità ci sono naturalmente anche tante sigle e bandiere della sinistra
antagonista, dei Cobas, dell’Usi, di Diem25, di giornali – da Left a La
Comune – e in coda un nutrito spezzone rosso di Rifondazione e, a pochi
metri di distanza, quello di Potere al Popolo.
Quando passa
Jacopo Fo l’unica cosa che gli viene da dire è: «Abbiamo cambiato il
mondo e lo cambieremo ancora». Una speranza e un augurio.