il manifesto 1.11.18
Aleksandr Bogdanov
La Russia della rivoluzione e la società socialista marziana
«Stella Rossa», un romanzo di Aleksandr Bogdanov per Alcatraz
di Benedetto Vecchi
Aleksandr
Bogdanov è stata una figura pienamente inserita nello spirito del tempo
dei bolscevichi. Giovane dirigente, con una buona formazione
scientifica e filosofica non esita a confrontarsi e a misurarsi con
l’epistemologia dei primi del Novecento, arrivando a elaborare tesi e
punti di vista che facevano tesoro delle sue razzie nella fisica, nella
teoria dell’organizzazione, nella chimica, arrivando a essere
presentato, negli anni Ottanta del secolo scorso, l’involontario
antesignano, della teoria dei sistemi.
LENIN ne apprezzava
l’acume, ma aveva per lui parole aspre, giudizi taglienti per il suo
romanticismo scientista. Cose e discussioni del pleistocene politico e
teorico. Poco servono a comprendere, per esempio, la passione di
Bogdanov per la fantascienza, che tra il primo e il terzo decennio del
Novecento era un genere di larga diffusione nella Russia zarista prima,
sovietica poi.
Un genere narrativo che non nascondeva i propositi
pedagogici (diffondere conoscenze scientifiche) e di propaganda.
Bogdanov scrisse un romanzo, Stella Rossa, che è stato recentemente
pubblicato dalla casa editrice Alcatraz (pp. 223, euro 18) all’interno
del suo progetto editoriale di restituire la science fiction maturata al
di là dell’Elba. È un romanzo espressione appunto di una dimensione
educativa che Bogdanov enfatizza dando una veste diaristica alla storia
narrata. Siamo nella Russia nei mesi precedenti la Rivoluzione.
Il
protagonista è un rivoluzionario di professione. Briga sta organizzando
l’insurrezione, anche se di dubbi ne ha, e non pochi. Si ritrova invece
su Marte, dove la rivoluzione socialista c’è già stata. Apprende la
difficoltà della costruzione del socialismo e del comunismo, ma constata
che la strada per il regno della libertà può essere diversa da quella
prospettata dal suo partito. La rivoluzione può essere tremenda, feroce,
sanguinosa, può divorare i suoi figli. Su Marte, invece l’evoluzione ha
accompagnato la presa del potere del proletariato. Tutto funziona bene.
Non c’è penuria, tutto è meticolosamente organizzato attraverso
tecnologie sofisticate e la statistica per consentire che ognuna abbia
secondo le sue necessità e che i singoli possano restituire al
collettivo ciò che possono dare.
C’È UN PERÒ: le risorse naturali
di Marte stanno per esaurirsi, da quelle energetiche a quelle
alimentari. La soluzione? Colonizzare altri pianeti, con il rischio di
diventare dominatori imperialisti. Il romanzo è un condensato delle
discussione che imperversavano dentro il gruppo dirigente bolscevico.
Bogdanov, da quel che scrive, crede alla necessità di rallentare il
corso rivoluzionario, di essere evoluzionisti, cioè di accompagnare con
uno sforzo educativo la crescita di coscienza del proletariato e della
società nel suo complesso.
IN QUESTO, leninista proprio non lo è.
Il romanzo si snoda tra descrizioni della società socialista marziana,
amori intensi tra terrestri e marziani, problematiche di difficile
soluzione, anche se l’autore in alcune pagine sembra un teorico della
decrescita. Stile di altri tempi, ma capace di restituire il desiderio
di libertà che c’era e c’è sempre dietro ogni movimento, organizzazione
politica che si propone l’abolizione dello stato di cose presenti.
Bogdanov
lascia aperte le soluzioni, ma il suo finale può essere visto come una
critica malinconica a quello che accadrà nella sua Unione sovietica,
quando a capo del partito non ci sarà l’amato e temuto Lenin, bensì un
gruppo di dirigenti che oltre a perseguitare e uccidere comunisti ha
trasformato quell’esperienza in un carcere a cielo aperto.