Il Fatto 8.11.18
Desirée, “il giorno prima un italiano tentò di violentarla”
Roma
- “Le diedi 10 euro, si comprò l’eroina”. Una testimone: “Era con lei
nelle ultime 48 ore della sua vita Una donna voleva chiamare il 118 ma
le offrirono cocaina”
di Vincenzo Bisbiglia e Valeria Pacelli
Il
giorno prima di morire a soli 16 anni dopo esser stata drogata e
abusata, Desirée Mariottini potrebbe aver subito un altro tentativo di
violenza sessuale. Il condizionale in questa terribile storia è
d’obbligo, ma a raccontare questa circostanza è Antonella, 20enne
sudafricana. Che dice di essere diventata un punto di riferimento per la
ragazza di Cisterna di Latina negli ultimi due giorni della sua vita. A
partire dal pomeriggio del 17 ottobre, quando in uno stabile di via dei
Lucani, la incontra la prima volta.
“Era disperata e piangeva:
voleva acquistare eroina ma non aveva i soldi”, racconta Antonella agli
agenti della Squadra mobile, guidata da Luigi Silipo, che conduce le
indagini con i pm Maria Monteleone e Stefano Pizza.
Quel giorno,
Antonella le dà 10 euro e “lei ha acquistato la dose di eroina da un
africano di cui non conosco il nome”. “Sono diventata da quel momento –
continua la sudafricana – il suo punto di riferimento. Mi ha poi detto
che era preoccupata di tornare a casa in quanto le avevano rubato il
tablet”. Circostanza, questa del furto, non riscontrata dalla Procura.
A
questo punto Antonella dice di esser andata via e di aver lasciato
nello stabile abbandonato Desirée. Lì “c’era un africano che secondo me
ha pianificato tutto”.
Il giorno dopo – e siamo al 18 ottobre
scorso – verso mezzogiorno riceve una telefonata da Desirée, che le
chiede di tornare in via dei Lucani: “Aveva passato la notte – continua
Antonella – con un ragazzo che aveva avuto intenzione di stuprarla”.
“Uno normalissimo, fuori dai giri di quartiere”
Insomma
prima dei quattro che, secondo le accuse, hanno abusato della
minorenne, ci sarebbe già stato un altro tentativo di violenza. Sentita
dal Fatto però Antonella aggiunge anche un particolare: “Quella sera non
sapeva dove andare a dormire e si è fatta ospitare da un ragazzo
italiano. Un tipo normalissimo, che non c’entra con il giro di via dei
Lucani”. Insomma, Desirée cercava ospitalità, non rapporti sessuali.
La circostanza è al vaglio degli investigatori che stanno cercando riscontri, per poi, eventualmente, identificare il giovane.
Il
18 ottobre, Antonella vede Desirée due volte, all’ora di pranzo e verso
le 18. Qui, nello stabile abbandonato, c’era un africano, uno “che si
approfitta di tutte le ragazze che vanno lì, poiché chiede costantemente
prestazioni sessuali”. Quando Antonella decide di andare via, pensa di
chiedere a Desirée – che declina l’invito – di andare con lei: “La
situazione che si stava creando era ‘strana’, nel senso che si stavano
radunando troppi uomini nella stanza dove fumavano, mentre l’uomo con i
dread continuava a offrirle droga”.
La telefonata: “Dicevano: ‘Sta stirando’”
Quando
arriva a casa, però, il telefono di Antonella squilla. È Muriel, una
congolese. “Mi diceva testualmente: ‘Sta stirando, cosa devo fare?’. Io
le dicevo di chiamare l’ambulanza (…). Mi assicurava che lo avrebbe
fatto”.
Promesse non mantenute: Desirée poteva salvarsi ma nessuno
quella notte chiama il 118. Agli agenti, Antonella racconta un altro
dettaglio: “Venivo a conoscenza tramite ‘Pi’ di aver ascoltato Muriel
dire che voleva chiamare l’ambulanza per soccorrere Desirée, ma non lo
faceva perché aveva paura di chiamare e perché, come mi riferiva ‘Pi’,
le venivano offerti dei tiri”. Al Fatto, Antonella, spiega di averlo
saputo solo de relato.
“Su Marco non dico nulla, è amichetto mio”
Conosce
invece direttamente Marco, l’italiano che, secondo una testimonianza,
avrebbe fornito al gruppo gli psicofarmaci il cui mix avrebbe ucciso
Desirée. Gli agenti stanno cercando ancora di identificarlo, e in questo
Antonella non è stata d’aiuto: “Non posso descrivere lo stesso poiché è
mio amichetto. Penso che quel giorno fosse lì perché ci va tutti i
giorni, è una persona che io ritengo brava”. E si barrica dietro il
silenzio.
Marco viene citato anche da Brian Minteh, uno dei
quattro africani arrestati, l’unico a non essersi avvalso della facoltà
di non rispondere. “Marco – dice al giudice – ha quelle medicine
personali (…) Ha lasciato le medicine, un cartone di medicine”.
Agli
atti c’è un altro episodio finora inedito, rivelato da Kais, marocchino
senza fissa dimora, anche lui quella sera nel quartiere romano di San
Lorenzo. Ascoltato il 23 ottobre, l’uomo ha raccontato che la sera
successiva alla morte di Desirée, ha chiesto ad alcune persone di
accompagnarlo dalla Polizia: “Mi volevo presentare per raccontare quello
che sapevo. Nessuno è voluto venire”. Quindi “sono rimasto lì, e
durante la notte sono stato aggredito da un africano e credo tre
italiani, mi hanno sbattuto con un sasso sull’orecchio”, ma “poi mi
hanno chiesto scusa perché si sono resi conto che io non avrei mai fatto
una cosa del genere”. Ossia, aiutare gli investigatori a scoprire chi
ha violentato una minorenne, drogandola fino alla morte.
Per
domani è attesa la decisione del Tribunale del Riesame sulle istanze di
scarcerazione presentate dai legali del senegalese Gara Mamadou, del
connazionale Brian Minteh e del nigeriano Chima Alinno. Sono accusati di
violenza sessuale e omicidio volontario aggravato.
Reato che il
Tribunale di Foggia ha fatto decadere nei confronti di un quarto
fermato, il ghanese Yusuf Salia. Per il legale di Alinno, l’avvocato
Giuseppina Tenga, “non vi è prova che abbia violentato, ucciso o fatto
sesso con Desirée. Se l’esame del Dna dovesse dimostrare il contrario,
lascio l’incarico: non difendo gli stupratori”.