martedì 6 novembre 2018

Il Fatto 6.11.18
“Reddito minimo, guardate l’Egitto per evitare errori”
Intervista a Philippe Van Parijs. I consigli del più famoso sostenitore dell’intervento universale a favore di poveri: “Non diventi una trappola della dipendenza ”
di Stefano Feltri  


“La priorità è togliere i poveri dalla strada”. Philippe Van Parijs, 67 anni, belga, economista e filosofo, è professore emerito all’Università di Louvain. È il più noto sostenitore dell’idea di un reddito di base, versione estesa del reddito di cittadinanza (perché senza condizioni abbinate). Ha avuto contatti con Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle nella fase iniziale dell’elaborazione di quella proposta che ora è la priorità assoluta per la parte pentastellata del governo.
Professor Van Parijs, che idea si è fatto del progetto di reddito di cittadinanza versione Cinque Stelle?
Sta diventando una forma di assistenza sociale tradizionale. Un aiuto pubblico che sostituisce quello privato, della carità, ai poveri. Ma non è il reddito di base senza vincoli di cui parlava Beppe Grillo come reazione alla crescente disuguaglianza.
La sua doppia natura – assistenza ai poveri e politica attiva per i disoccupati – può reggere?
Ci sono zone d’Italia in cui il lavoro non c’è, introdurre lì l’obbligo di cercarlo è inutile. Costerebbe meno creare il lavoro a spese dello Stato che costruire una macchina burocratica che costringe a inseguire posti che non esistono.
Almeno ci sarà la garanzia che nessuno abbia un reddito inferiore a 780 euro.
È un livello molto elevato. Nelle Regioni dove la situazione economica non è molto dinamica, è difficilissimo trovare un lavoro che paghi al netto delle imposte più di 780 euro. E così l’impatto di un sussidio assistenziale può creare una trappola della dipendenza, facendo sparire i lavori a tempo parziale e compenso modesto per le persone poco qualificate. Ma il vero problema sono i liberi professionisti.
Perché proprio i liberi professionisti?
Se sono un libero professionista e, dopo aver pagato le spese, le tasse e i contributi, mi restano in tasca 700 euro netti, mi basta smettere di fatturare per avere diritto a ottenerne invece 780. Nessuno può costringere un lavoratore autonomo a cercarsi clienti. E se nella mia zona non ci sono offerte di lavoro adeguate, posso continuare così per anni. Senza lavorare o lavorando in nero.
Meglio erogare somme più basse?
Io sono a favore di un reddito di base di importo inferiore ma davvero universale, costruito in modo che non incentivi la dipendenza.
Quali consigli darebbe ai Cinque Stelle?
Il Reddito di inclusione del governo Gentiloni è un buon punto di partenza. Bisognerebbe intanto aumentare l’importo erogato e andare nella direzione dell’universalità allargando gli esoneri fiscali, costruendo uno zoccolo duro di sussidi per tutta la popolazione attiva. L’importo pagato dovrebbe essere abbastanza basso da non rendere realistico pensare di vivere di quello tutta la vita. A quello poi andrebbero sommati sussidi aggiuntivi per specifici problemi che evitino il rischio di scivolare in povertà: assicurazione sul lavoro, sostegno per l’alloggio, ecc. Il governo dovrebbe studiare attentamente quello che sta succedendo in Egitto.
Perché l’Egitto?
Perché lì c’è un dibattito importante in corso. Finora c’era un forte sussidio all’energia fossile, assurdo e iniquo perché premiava soprattutto i grandi consumatori. Il governo attuale ha deciso di sopprimere gradualmente questi sussidi, determinando però un aumento del costo della vita che ai più poveri deve essere compensato. Il metodo più indicato è quello dei trasferimenti condizionati di contanti: schemi di assistenza sociale con condizioni che richiedono la presenza a scuola per i minori e controlli sanitari e così via. La grande difficoltà in situazioni con una vasta economia informale è quella di identificare i poveri: si rischia di creare un sistema arbitrario e con molto clientelismo e con controlli poco efficaci, quindi è meglio un sussidio universale modesto ma non condizionato.
Come può essere difficile capire chi è povero?
Nei Paesi poco sviluppati con una vasta economia informale risulta molto complicato stimare le reali disponibilità di chi ha sempre avuto una vita lavorativa in nero. L’Italia non è l’Egitto, ma molte zone del Paese, soprattutto al Sud, pongono gli stessi problemi.
Come spiegherebbe a un elettore della Lega la necessità di un reddito minimo?
La lotta contro la povertà è un investimento, perché meno povertà vuol dire un capitale umano più solido e una maggiore crescita economica di cui tutti beneficiano, anche gli elettori leghisti.