lunedì 5 novembre 2018

Il Fatto 5.11.18
Amare un tedesco era reato: la Norvegia chiede perdono
di Siri Nergaard


Finalmente. Finalmente le donne che sono state condannate per aver amato un soldato tedesco ricevono le scuse. Finalmente il governo norvegese chiede scusa per aver punito, arrestato, rasato, espulso e internato migliaia di donne che avevano avuto relazioni con soldati tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Finalmente il governo norvegese ammette di non essersi comportato come un Stato di diritto quando ha tolto la cittadinanza alle donne che si erano sposate con uomini tedeschi.
Dal 1940 al 1945 la Norvegia fu occupata dai nazisti. Dopo pochi mesi dall’occupazione capitolò, al governo si insediò Quisling e tutta l’amministrazione del Paese passò in mano ai tedeschi. Durante i cinque anni dell’occupazione la presenza di soldati tedeschi nel risultò massiccia, soldati a cui la Wehrmacht aveva dettato regole di comportamento precise: “Non siete lì per occupare, ma per proteggere, i norvegesi sono pacifici e riservati, abbiate tatto e non avanzate con troppa fretta”. Con questi soldati alcune donne norvegesi fecero conoscenza, qualcuna si innamorò, qualcuna si sposò. Ma queste storie e questi grandi amori sarebbero stati condannati come violazioni non solo di loro stesse, ma come tradimento alla nazione. Nella primavera del 1945, nel clima di grande festa per la liberazione, molte di queste donne furono punite pubblicamente con la rasatura dei capelli. E migliaia di donne, alcune ancora ragazze, altre mamme, vennero arrestate con il soprannome di puttana tedesca (tyskertøs). Perfino la legge sui matrimoni fu modificata per rendere illegali le unioni con uomini tedeschi celebrati dopo il 9 aprile 1940 – giorno dell’occupazione – e in pieno conflitto con la Costituzione con validità anche retroattiva. E a queste donne fu tolta la cittadinanza e vennero espulse dalla Norvegia. Agli uomini sposati con donne tedesche non fu riservata la stessa legge. I numeri sono incerti, ma si parla di 30-50 mila donne sospettate e accusate, 3-5 mila internate, e 10-12 mila bambini tedesco-norvegesi registrati. A dimostrazione del fatto che molte verità devono ancora essere svelate, sta la grande varietà di numeri, che alcuni sostengono essere molto più alti.
L’occasione per le scuse è l’anniversario dei 70 anni dalla dichiarazione universale dei diritti umani a Parigi nel 1948, ed è la prima ministra norvegese, Erna Solberg, che a nome del governo chiede scusa a tutte le donne che dopo la seconda guerra mondiale vennero punite per le loro relazioni con soldati tedeschi. “Come furono tutelati i diritti universali di queste donne dopo la guerra?”, domanda la prima ministra nel suo discorso. Una commissione istituita dal Centro Holocaust di Oslo ha concluso che queste donne furono oggetto di trattamenti inumani, e che in molti aspetti lo Stato di diritto nei loro confronti fu violato. Erna Solberg ringrazia tutti quelli che hanno contribuito a fare luce su questa macchia nella storia norvegese ed esprime un particolare riconoscimento alle donne che hanno avuto la forza di raccontare le loro storie di discriminazione e stigmatizzazione. Poche di queste donne sono ancora in vita, per loro le scuse arrivano in ritardo, ma possono essere altrettanto significative per il figli, vittime quanto le madri, cresciuti con lo stigma, con la vergogna, con il razzismo.
Uno di loro, Reidar Gabler, nato nel campo in cui fu internata sua mamma dopo la guerra, racconta alla televisione norvegese, Nrk, che si sente sollevato dalle parole della prima ministra Solberg. “Mia mamma non era una criminale, la sua colpa era solo di essersi innamorata di mio padre, un soldato tedesco”: Reidar vuole raccontare, vuole testimoniare, per il valore della conoscenza e della memoria. La mamma, Else, aveva 22 anni quando incontrò Erich Gabler, un amore durato tutta la vita e per cui pagò un prezzo alto. Finita la guerra, Erich venne arrestato e Else lo andava a trovare nella prigione di nascosto. Restava con lui anche per giorni, rifugiandosi in un buco sotto il pavimento durante le ispezioni. Ma fu scoperta e internata nel campo in cui fece nascere Reidar. Poi seguì l’espulsione dalla Norvegia, gli anni in una Germania devastata dove soffrirono la fame. Negli anni 50 a Else e ai figli fu concessa la possibilità di visitare la Norvegia, il marito tedesco temeva che non sarebbero più tornati. Ma Else tornò dal suo Erich a visse a Berlino fino alla sua morte. Il figlio Reidar decise di rientrare in Norvegia da adulto – senza la mamma – ma lei ne era lieta, il cerchio si era chiuso. Ma lo stigma lo seguì, alla Nrk Reidar racconta come la dura punizione ha segnato profondamente la sua vita e quella della sua famiglia, per generazioni: “Mio suocero, attivo nella resistenza durante la guerra ebbe fatica ad accettarmi come genero, e mio figlio venne additato come nazista a scuola”. Ci sono voluti più di 70 anni per esprimere queste scuse. Più di 70 anni di vergogna, memoria e trauma per le donne e i loro figli che hanno subito umiliazioni profonde. Sono stati troppi gli anni di attesa per queste scuse.
La Norvegia, che si reputa tra i primi per eguaglianza tra i generi e diritti delle donne, non avrebbe dovuto aspettare tanto. Ora, dopo queste scuse, che indubbiamente sono di grande valore simbolico, ci aspettiamo che certi archivi ancora chiusi vengano aperti, che la storia di queste donne sia finalmente risarcita.