Il Fatto 4.11.18
Chi ha paura dell’antifascismo
di Furio Colombo
Torna
o non torna il fascismo? Il leghista Ciocca che prende a scarpate le
carte del commissario europeo Moscovici con l’ostentata intenzione di
essere notato nel gesto esemplare, è uno squadrista o un guascone?
Oppure: che cosa deve fare un pover’uomo per essere preso sul serio
(cioè trattato da fascista, come vogliono i suoi elettori) mentre compie
gesti di insulto e di disprezzo invece di aprire la discussione? Che
cosa deve fare un impegnato ministro dell’Interno italiano? Chiude i
porti italiani alle navi militari italiane che hanno salvato in mare e
hanno da giorni a bordo donne stuprate e uomini torturati (più di 200
persone a bordo e due soli servizi igienici): che cosa deve fare per non
essere scambiato con qualcuno dell’Italia nata dalla Resistenza?
Persone
di prestigio e, certo, in base a ciò che sanno, e che non è poco,
negano che questo sia fascismo, assicurano che non si vede proprio
traccia delle tre ossessioni (difesa della razza, sacri confini, non
passa lo straniero) da cui si riconosce il fascismo. Ma se i brasiliani
sanno che il loro, adesso, è un momento diverso, molto diverso, nella
loro vita pubblica, perché noi che abbiamo un governo popolato di amici
in festa per i nuovi brasiliani, dovremmo far finta di niente?
Lo
strano fenomeno è che qualcosa sta avvenendo in Italia con deliberata
teatralità, proprio perché si sappia che c’è una nuova gestione. Eppure
c’è sempre chi ci ammonisce a non essere così pignoli. E così molta
stampa straniera non capisce come può accadere in Italia che la sindaca
di Lodi possa affamare i bambini stranieri delle sue scuole, mentre il
sindaco di Riace, che aveva trovato per i profughi accoglienza, casa,
lavoro e scuola, è stato arrestato, esattamente per queste ragioni, e
poi espulso dalla sua città, lasciata per forza in una situazione di
sbando. Bella l’iniziativa di Sgarbi, sindaco di Sutri, di dare la
cittadinanza onoraria al sindaco, ora vagabondo, di Riace. Inevitabile
notare che non un solo sindaco Pd in Italia ha avuto la stessa idea.
Intanto
la nuova gestione non smette di farsi notare per quello che è e che
intende essere. Quella non è gente che si spaventa così facilmente per
un articolo, sia pure autorevole, sul fascismo che non c’è. La nuova
idea (sbandierata con un gran tricolore alla Camera) di abolire la festa
del 25 aprile (o di renderla privata e irrilevante) e di sostituirla
con il 4 novembre, data della vittoria della Prima guerra mondiale,
provocherà per forza un po’ di discussione. E non sarà una discussione
gentile, visto che alcuni dei partigiani di quell’epoca e degli scampati
della Shoah sono ancora vivi (a cominciare, per fortuna, dalla
senatrice a vita Liliana Segre).
Ma ricostruiamo la sequenza.
Domenica 29 ottobre, Paolo Mieli, firma importante del giornalismo
italiano, ha ammonito (con un fondo sul Corriere della Sera) a ricordare
che non c’è nessun fascismo in giro, e che è sbagliato chiamare in
causa continuamente quel vecchio regime che non c’entra nulla col
presente. Giovedì 1 novembre, un grande striscione con i colori della
bandiera italiana, intesa come simbolo di fede e di militanza
nazionalista, è stato srotolato sulla Camera dei deputati, a cura del
gruppo Fratelli d’Italia-Giorgia Meloni, insieme al messaggio: “Il 4
novembre deve essere la festa nazionale italiana, invece del 25 aprile e
del 2 giugno che dividono gli italiani”. Ma il colpo di gong del nuovo
regime è l’articolo di fondo di venerdì 2 novembre, de Il Messaggero a
firma di Mario Ajello. Ecco: “Se il 25 aprile è sempre stato la festa
dei vincitori contro i vinti, il 4 novembre invece è stato la festa in
cui tutti sono vincitori”.
Eppure il 25 aprile pone fine alla
Shoah e il 4 novembre apre le porte al fascismo. Ma per Ajello la scelta
della festa sbagliata si deve a “un malinteso pacifismo o
internazionalismo che diventa retorica anti-nazionale”. So che la frase è
incomprensibile, in un giornale mainstream e a firma di un giornalista
che ha sempre mostrato di essere libero dalla persecuzione di questi
fantasmi. Un suo alibi è anche l’età. Non sa, come alcuni di noi, che il
4 novembre, per due decenni, è stata una festa di baionette, pugnali,
uniformi, e camicie nere. Spaccava l’Italia in persecutori e
perseguitati.
Il 25 aprile per forza è una festa. Ci ha liberati.
Avevamo vinto contro il fascismo e il nazismo, dopo essere stati
costretti ad assistere ai loro delitti. Il 25 aprile ha vinto anche per
Giorgia Meloni che sta alla Camera invece che combattere nel fango di
qualche fronte, e per Mario Ajello che scrive, libero, frasi assurde.