Il Fatto 3.11.18
Basta un verso di Ovidio. E il mito diventa arte
Una mostra alle Scuderie del Quirinale e il libro di Paolo Isotta restituiscono al Sommo la sua grandezza
“Ovidio. Amori, miti e altre storie” prosegue fino al 20 gennaio
di Pietrangelo Buttafuoco
Da
pochi giorni si è aperta alle Scuderie del Quirinale una mostra
dedicata al bimillenario di Ovidio. Gioielli e affreschi antichi, alcuni
di forma fallica e dedicati alle varie posizioni dell’accoppiamento, si
alternano a quadri e sculture dal Medio Evo in poi. Alti e tragici
miti, dalla morte di Adone alla caduta di Fetonte e a quella di Icaro,
da Orfeo ad Atteone che – trasformandosi in cervo – viene sbranato dai
suoi stessi cani. Poi meravigliosi e rarissimi codici. Consiglio di
visitarla: con questa mostra la nostra patria si è lavata gli sputi
dalla faccia, quelli che portava per l’ignavia mostrata verso uno dei
più grandi Poeti mai vissuti, e proprio nostro, abruzzese di Sulmona. E
l’Italia gli sputi dalla faccia per Ovidio se li è lavati due volte.
L’altra
è con un volume – un evento per la cultura mondiale – ramificato com’è
non solo nel mondo latino e greco, ma nella storia culturale italiana,
francese, inglese, tedesca.
È La dotta lira. Ovidio e la musica
(Marsilio, pp. 427, euro 22). L’autore – i lettori del nostro giornale
lo conoscono bene – è uno dei più grandi nostri uomini di cultura, ma
anche dei più amabili e simpatici amici, e dei più corrosivi nemici, che
l’Italia possegga: Paolo Isotta. È un evento non solo per la sua
altissima qualità letteraria, intellettuale e filosofica, ma perché è il
primo mai dedicato al rapporto fra il Poeta di Sulmona e la musica.
Isotta
spiega che Le metamorfosi e I Fasti sono il più ampio catalogo
mitologico che mai la poesia abbia tentato. Nemmeno Omero e Virgilio
hanno influenzato le arti della figura quanto il Poeta di Sulmona. Ma
aveva pensato qualcuno che lo stesso vale per la musica? Nessuno: prima
di “Paolino”. Lui si è messo a considerare il fenomeno storicamente. E
si è accorto che, almeno dall’Orfeo di Poliziano (Mantova, 1480) alla
Dafne di Strauss, 1938 (la ninfa che, ghermita da Febo, si trasforma in
alloro), un filo ininterrotto lega Ovidio all’opera lirica (che nasce in
suo onore: Dafne, Firenze, 1598). Alla sinfonia, al poema sinfonico, al
“melologo”, alla cantata, al concerto, alla sonata.
Isotta scova
cinque secoli di musica, che stavano lì, davanti agli occhi di tutti, ma
attendevano qualcuno capace di vedere il filo che li lega. Monteverdi,
Cavalli, Scarlatti, Pergolesi, Porpora, Händel, Gluck, Dittersdorf,
Haydn, Berlioz, Liszt, Offenbach, Suppè, fino al trionfo di Strauss,
sono i principali nomi toccati. E dico il trionfo di Strauss giacché
questo sommo compositore, incurante di avanguardia, espressionismo,
impegno politico, attraversa il mondo classico e Ovidio dall’Arianna a
Nasso del 1916 a L’amore di Danae del 1942.
La Dafne è l’oggetto
del mirabolante ultimo capitolo del libro perché Isotta lega questo
capolavoro alle origini del teatro musicale e spiega che solo allo stile
sinfonico moderno è dato addirittura simboleggiare con le sue
architetture il processo della metamorfosi da uno stato all’altro
dell’esistenza. Ciò che Ovidio fa coi suoi versi e che la musica non è
pronta prima della fine dell’epoca classica e romantica. E per un altro
motivo l’ultimo capitolo è dedicato a Dafne. Isotta si è accorto che più
di trent’anni prima, in Alcyone, il Comandante Gabriele d’Annunzio ha
rifuso in versi lo stesso mito, e con un virtuosismo e una profondità
nella riflessione e rimeditazione sul mito che lo rendono pari allo
stesso compositore. Avreste mai pensato che Strauss e D’Annunzio, i
quali personalmente si odiavano, siano due fratelli nell’arte, e tutti e
due figli di Ovidio? Doveva arrivare un napoletano a mostrarlo.
Questo
non è un libro di un musicologo né scritto per musicologi. È un libro
di storia della cultura e della poesia. È un libro sull’Europa dal Medio
Evo in poi e sul suo rapporto con Ovidio. C’è la maestria di un
filologo grecista e latinista, oltre che storico della musica. Ma, di
tutti quelli di “Paolino”, il più piano stilisticamente. Alla fine, la
Dotta lira, è un’opera letteraria, e quasi di narrativa, della quale i
personaggi non sono solo le grandi figure della mitologia, Arianna,
Medea, Apollo, Ercole, Giove, Giunone, Mercurio, Proserpina, Marte,
Orfeo… Sono anche i poeti che hanno preparati i testi per i compositori
traendoli da Ovidio. Sono i musicisti. Sono i pubblici d’Europa per
cinque secoli. E personaggio è lo stesso Paolino, nel più letterario dei
suoi libri. Nel più dotto, ma anche nel più piacevole.
Affrettatevi per goderlo e per farne incetta – in libreria – per le Strenne di Natale.
Lui
mi ha detto: “I latinisti e i musicologi mi chiameranno concordemente
un dilettante. Ma a sessantotto anni, ti immagini quanto me ne fotto…”.