Il Fatto 26.11.18
Terrore per il ritorno dell’Unione Sovietica
Nell’enclave
di Kaliningrad, a un’ora da Vilnius, i russi hanno ammassato truppe e
missili. La Nato risponde con le esercitazioni. “Qui la prossima guerra”
di Michela A. G. Iaccarino
Foresta,
foresta e ancora foresta. Siderale frontiera baltica. Sono ore di
pioggia e di marcia. Di file di tronchi, dritti e fitti, che sembrano
soldati pallidi e altissimi, pietrificati sull’attenti. Silenzio,
silenzio e ancora silenzio verde che nei prossimi mesi diventerà
immobile e bianco. Non si vede altro: cosa esattamente si dovrebbe
scorgere all’orizzonte? “Niente, solo tutto questo”. I ragazzoni si
chiamano Paulius e Thomas. “Guarda, questo può essere il prossimo
confine di guerra d’Europa”.
Per nascondersi e mimetizzarsi: gli
alberi della foresta sono i primi alleati in caso di guerra con la
Russia. “Il popolo lituano non vi renderà l’invasione facile”. Lo pensa
la maggior parte dei cittadini se gli chiedi di Mosca. È quello che
pensavano probabilmente anche prima che il governo pubblicasse e
diffondesse le 75 pagine di un manuale che ha fatto arrivare in ogni
casa, scuola o biblioteca del Paese. Titolo: “Aktyviu veiksmu gairesm”.
Ovvero “orientamenti attivi d’azione. Come prepararsi a sopravvivere ad
emergenze e guerra”. Non è la prima volta che a Vilnius con le pagine di
carta vogliono fermare l’invasore in arrivo da Est. Questa è solo
l’edizione aggiornata dell’opuscolo di tattiche militari e guerriglia
distribuito dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014.
“Non faremo la fine di Ucraina e Crimea”
Secondo
il funzionario del ministero della Difesa, Karolis Aleksa, durante
un’invasione “le persone diventano un sistema d’allarme” e possono
fornire informazioni cruciali: “Serve anche per spedire un messaggio
alla Russia, noi lituani non finiremo gabbati come gli ucraini”. Ci sono
le istruzioni per imparare a spiare, riconoscere fucili, sarvuotise
tankas, carri armati e blindati russi. Poi regole base su come
sopravvivere tra questa flora indomita e natura selvaggia che copre la
maggior parte del territorio del Paese. Da un confine all’altro, da nord
a sud, da est ad ovest, fino a quei 227 di confine russo-lituano
dell’enclave armata di Kaliningrad.
Che il Cremlino abbia
ammassato missili e truppe nel suo fazzoletto di terra in Europa, a
un’ora da qui, è impossibile da dimenticare perché la stampa locale lo
ricorda ogni giorno. Lo “scenario Crimea” ha avuto ripercussioni che
hanno varcato il confine degli ucraini e qui a nord est è un incubo ad
occhi aperti, che riporta a galla gli antichi spettri della
russificazione cominciata oltre mezzo secolo fa. Il premier Saulius
Skvernelis all’ultimo incontro con il segretario generale del Patto
Atlantico Jens Stoltenberg ha discusso a metà di questo novembre della
sicurezza della nazione e del dispiegamento del battaglione
multinazionale Nato sul territorio. Inchini e strette di mano sono stati
il ringraziamento per l’aumento dei contributi nel settore della difesa
(il 2 per cento del pil) ma soprattutto per il contributo baltico alla
missione militare dell’Alleanza. La Lituania è stata teatro delle
ennesime esercitazioni anti-russe, le Iron Wolf, lupo di ferro 2018, che
ha guidato dirigendo tredici eserciti alleati, offrendo ciò di cui
abbonda “tutto questo”. Foreste: di alberi e ragazzoni.
Sono
terminate anche le nuove esercitazioni nel mare norvegese contro “l’orda
in arrivo dal nord”; le cifre delle Trident Juncure: 50mila soldati,
oltre 50 navi, 250 aerei, 29 alleati atlantici, tra le loro bandiere
sventolava il tricolore lituano. La guerra che si simula al confine
russo serve per giocare a nascondino coi caccia di Mosca in cielo che
violano le nuvole e lo spazio aereo sfuggendo ai radar. Parte delle
manovre è avvenuta in Polonia e nelle repubbliche sorelle baltiche, che
hanno fornito 5mila soldati. Cooperazione, comando congiunto, la guida è
stata come sempre delle stelle e strisce Usa per rispondere “alle
minacce, da qualsiasi direzione provengano”.
In periferia: “Sono stato salvato dall’Europa”
Thomas,
come ancora molti qui intorno, era infarcito di nazionalismo e visioni
infantili del mondo, voleva fare il militare e aveva “un’idea sbagliata,
preconcetta del resto dei Paesi” lontani dal suo. Giovane adolescente
ultras, era un perdigiorno di periferia finché non ha seguito un “corso
di integrazione” finanziato dai fondi europei. Se l’Europa ha fatto
qualcosa quassu, è stato questo. Dopo una settimana di incontri
organizzati con coetanei di altri Paesi dice di essere cambiato: “I miei
migliori amici erano diventati un turco e un lituano della minoranza
russa. Non potevo crederci”.
La sua posizione è rara e non
condivisa. La difesa e l’addestramento ad oltranza sono la nuova baltic
way. La prima è quella di 30 anni fa: nel 1989 due chilometri di
persone, da Vilnius, Riga fino a Tallin, si sono strette la mano per 700
chilometri per richiedere pacificamente la loro indipendenza dai
sovietici. Oggi loro obiettivo è mantenerla.
La memoria collettiva
della troika baltica sanguina ancora all’unisono. La vecchia cameriera
bionda al bar poco lontano dalla stazione di Vilnius risponde in russo,
sorride in lituano e poi continua in inglese: dopo anni di scuola e
università in cirillico, è tra quelli che ha scelto di dimenticare la
lingua “del vecchio invasore”, che ha il timore potrebbe tornare da un
momento all’altro. La Lituania è molte cose, ma ultimamente è
soprattutto questo: paura dell’orso slavo, in arrivo dalla taiga
siberiana, pronto ad invadere proprio come durante il conflitto dei due
blocchi. Fuori strade deserte, nelle tazze caffè amaro, la sindrome da
accerchiamento è la chiacchiera tra i tavoli delle donne che ricordano
quelle che chiamano le “tre guerre”, primo e secondo conflitto mondiale,
e poi l’occupazione sovietica.
E c’è una micronazione anarchica e pacifista
Dal
militarismo al pacifismo forzato nella patria dello scherzo. “Tutti
hanno il diritto di vivere vicino al fiume Vilna e il fiume ha diritto
di scorrere”. È l’articolo uno della Costituzione di Uzupio, la
repubblica più piccola d’Europa, forse del mondo, che rimane sospesa in
un solo chilometro quadrato, oltre il ponte del centro storico di
Vilnius, patrimonio Unesco. È una beffa urbana che si prende gioco della
storia, di esercitazioni e ingerenze belliche, straniere e non. La
micronazione ha una sua moneta e una volta aveva anche un esercito,
composto da una decina di uomini: sono stati poi tutti convertiti al
“pacifismo radicale”. Nemmeno la bandiera è ordinaria: il simbolo è il
palmo bucato di una mano, ma il colore cambia ad ogni stagione. Le leggi
che regolano quest’enclave anarchica sono scritte sullo specchio del
bar della repubblica abitata dagli artisti lituani. In visita quaggiù ci
sono venuti anche il Dalai Lama e ultimamente papa Francesco. “Tutti
hanno diritto all’acqua calda. A fare errori. Ad amare e non essere
amati. Tutti hanno il diritto di non capire” dice la Carta del paese
fondato il primo giorno d’aprile del 1997. Uzupio, o Uzupis in lituano,
Zarece in russo: vuol dire sempre “oltre il fiume”.
“Attraversa il
ponte e diventa te stesso”. Questa è la regola nell’unico angolo della
Lituania che non aspetta la guerra. Noia baltica e alcolica, di gomiti
appoggiati sui tavoli di legno. Quasi tutti sono pronti ad abbracciare
il fucile contro i russi, ma non i residenti di Uzupio, tra murales e
borsh, la zuppa russa. Il vecchio cameriere del bar dice che oltre ad
“Hannibal Lecter, il professore di Vilnius del film Caccia a Ottobre
rosso e la presidente Dalia Grubauskaite, non ci sono altri lituani
famosi”. Risponde così a chi cerca il fondatore della micronazione, lo
scultore Romas Vilciauskas, che ha combattuto con le sue creazioni
artistiche il virulento grigiore dei casermoni sovietici che i russi
costruirono qui ai tempi dell’Unione sovietica.
C’è un angelo che
suona il corno in cima al colonnato, una sirena dai lineamenti isterici e
un’altalena che ciondola nel nulla, tra decine di pianoforti
abbandonati in ogni angolo. “Nessuno ha il diritto ad avere un progetto
per l’eternità”, dice l’articolo 22. “Nessuno può dichiarare colpevole
il prossimo” dice l’articolo 35. “Tutti hanno diritto a morire o avere
dubbi, ma non è obbligatorio”. Se chiedi qui delle esercitazioni Nato,
della “minaccia del Cremlino” sorridono tra pennelli e ninnoli zen
tibetani. Gli imperativi categorici per tutti i residenti e per tutti
gli europei che resistono al terzo bicchiere li hanno lasciati alla fine
della carta costituzionale, dall’articolo 39 al 41. Valgono in caso di
guerra e di pace: “Non sconfiggere. Non combattere. Non arrenderti”.