Il Fatto 25.11.18
Contro “stupri e offese” in un Paese di omofobi
In migliaia manifestano nella capitale “Non una di meno” esulta: “Siamo in 150 mila”
di Andrea Managò
Servivano
la carica e la forza di migliaia di donne scese in piazza contro le
violenze subite da parte degli uomini per riportare nelle strade di Roma
una manifestazione viva e partecipata. Una manifestazione priva di
bandiere e simboli di partito, con pochissimi esponenti politici, per lo
più di sinistra, tra loro Laura Boldrini, che ha contestato alcuni
provvedimenti della maggioranza di governo.
Sono accorse in
diverse migliaia, “150 mila” secondo gli organizzatori del movimento
“Non una di meno”, per manifestare contro la violenza sulle donne e per
rivendicare la libertà di scelta su temi come l’aborto.
Al centro
delle critiche il disegno di legge presentato dal senatore leghista
Simone Pillon, animatore del Family Day, che contiene un parziale
riforma del diritto di famiglia e chiede in caso di separazione dei
genitori “l’affido condiviso” e “il mantenimento diretto e la garanzia
di bigenitorialità” per i figli.
In testa al corteo le
rappresentanti dei centri anti-violenza di molte città italiane. Anche
se le organizzatrici hanno chiesto a più riprese che le prime file
fossero ad appannaggio di sole donne, perché “oggi le protagoniste siamo
noi”, non mancavano gli uomini. Purtroppo pochi, i quali sono rimasti
nelle retrovie o sui lati del serpentone che ha sfilato tra le vie
dell’Esquilino dalla centralissima piazza della Repubblica a piazza San
Giovanni. Poco più indietro i gruppi di ragazze giovani, alcune vestite
come le “ancelle” della serie cult The handmaid’s tale – in cui le donne
vengono soggiogate e ridotte a mero corpo votato alla riproduzione –
che gridano: “Contro ogni donna stuprata e offesa, facciamo tutte
autodifesa”. Mentre dai carri che accompagnano i manifestanti parte
l’invettiva contro il governo: “A Salvini e Di Maio diciamo che non li
vogliamo, specie con un governo pieno di omofobi”.
Tra le più
nutrite la rappresentanza della Casa Internazionale delle Donne di Roma,
da mesi impegnata in un contenzioso con il Campidoglio per gli
arretrati sull’affitto della sede, vicenda che mette a rischio la
prosecuzione della decennale esperienza del centro anti violenza.
A
metà percorso si levano 106 palloncini fucsia, il colore scelto dal
movimento, in ricordo di altrettante donne uccise nel 2018 da uomini,
perlopiù mariti o fidanzati: una ogni tre giorni. I dati elaborati da
Eures parlano dei femminicidi come la causa di morte del 37% del totale
degli omicidi commessi in Italia. Una strage, fatta di denunce
inascoltate e violenze che si consumano al riparo delle mura domestiche.
Non
manca la memoria delle ragazze coinvolte nei femminicidi più brutali
avvenuti a Roma negli ultimi anni. Ecco allora il racconto scandito al
megafono della tragica fine di Sara Di Pietrantonio, strangolata e poi
bruciata dal fidanzato nel 2016 in zona Magliana. E poi quello di
Desirée Mariottini, la 16enne morta a San Lorenzo in seguito ad una
presunta overdose preceduta da una violenza di gruppo.
Ma non c’è
solo Roma. Anche altre città d’Italia hanno aderito alla Giornata
nazionale contro le violenze sulle donne: Palazzo Marino a Milano è
stato illuminato di rosso. Lo stesso per la Torre di Pisa, come pure
l’orologio della Torre civica a Latina.