Il Fatto 2t5.11.18
Maschi/femmine. La parità (non) si insegna a scuola
di Paola Zanca
La
storia della Luna e del Sole è in un sussidiario di quarta elementare.
Un mito della tradizione orale africana che diversi editori hanno
inserito nei libri di testo della scuola pubblica italiana. Il racconto
spiega come mai la Luna e il Sole, marito e moglie, non stiano mai
insieme in cielo: hanno litigato perché lei non gli ha fatto trovare la
cena pronta. Una “infame pigraccia” che si è perfino permessa di
mangiare la polenta che il marito si era poi cucinato da sé. Il lieto
fine: il Sole lancia il tagliere con la cena bollente in faccia alla
Luna che “dolorante e vergognosa corse a nascondersi”.
La
“dimensione di genere”,spiega bene Cristina Gamberi in Educare al genere
(Carocci), influisce sulle nostre vite “da quando nasciamo fino alla
terza età, e specie nell’adolescenza, quando si gettano le basi del
divenire uomini e donne”. Secondo il rapporto Eurydice, tutti i Paesi
europei hanno messo in atto politiche di educazione di genere in ambito
didattico: tutti tranne Estonia, Ungheria, Polonia, Slovacchia. E
Italia. “Nella società italiana – notano le associazioni delle Donne in
Rete contro la violenza – gli stereotipi e pregiudizi di genere, i ruoli
tradizionali assegnati a uomo e donna, sono riprodotti sin dai primi
testi scolastici”.
E se “l’educazione è sessista”, per parafrasare
il titolo della ricerca di Irene Biemmi sugli stereotipi di genere nei
libri delle elementari, c’è poco da stupirsi se, per la metà degli
intervistati da Ipsos per conto del dipartimento Pari Opportunità, le
donne non dovrebbero lavorare a tempo pieno se hanno figli piccoli, sono
le principali responsabili della cura della famiglia e si sono avvalse
del proprio aspetto fisico per la loro realizzazione professionale.
È
l’humus in cui nasce e prolifera la mentalità che è alla base della
violenza. Ecco perché – spiega Biemmi, ricercatrice all’università di
Firenze – è “scorretto associare l’educazione di genere alle misure di
contrasto alla violenza” perché, piuttosto, l’educazione è lo strumento
attraverso cui “costruire dinamiche relazionali sane e paritetiche tra
maschi e femmine”. Quelle, quindi, in cui la violenza – né esercitata né
subìta – ha diritto di cittadinanza. Uscire dalla “logica emergenziale”
è il passo fondamentale. E solo dalla scuola si può provare a farlo:
con la formazione obbligatoria degli insegnanti e con un intervento sui
libri di testo che escano dai “binari rosa/azzurro” – spiega Biemmi –.
“La femmina buona e mansueta, il maschio brillante anche se vivace”.