Il Fatto 25.11.18
Le ville di lusso degli oligarchi sulla terra sottratta agli operai
Mosca
- Inchiesta di Novaya Gazeta: gli ettari dove sorge la Rublevka in
origine spettavano a mille addetti della Gorky II, fabbrica di pollame
di Michela A.G. Iaccarino
A
Mosca, per capire la storia delle ville della Rublevka, enclave degli
oligarchi nella Capitale russa, bisogna tornare al passato, su un volo
Helsinki-Mosca del 1999. Stanno cadendo bombe in Cecenia, a Mosca c’è
stato di crisi, Vladimir Putin sembra ancora un burocrate sovietico ma
sta per passare alla storia come l’uomo che salverà il paese dal caos.
Quando Putin scende le scale dell’aereo, di ritorno dall’Europa, è
ancora un timido premier dal volto scarno ed è scortato da tre uomini
alti, in lunghi cappotti. “Volevano rimanere nell’ombra, ma nemmeno per
un secondo si allontanavano dal futuro presidente della Russia” scrive
il gruppo di cronisti del quotidiano Novaja Gazeta. Sono angeli custodi
armati, la lichnaya gardia, la guardia personale di Putin. Oggi sono i
suoi vicini di casa. I “bodyguard del presidente” oggi lo sono di tutta
la nazione. I tre sono Viktor Zolotov, adesso capo della Guardia
Nazionale, la potente Rosgvardia; Oleg Klimentyev, ex governatore di
Kaliningrad, ex capo di un’unità dell’FSB per la lotta al terrorismo,
ora vice comandante FSO (servizio sicurezza presidenziale e delle alte
cariche dello stato), ed Aleksey Dyumin, ex comandante delle forze per
le operazioni speciali, ex vice ministro della Difesa, ora governatore
di Tula. In Russia al presidente sono rimasti pochi nemici, ma tra loro
ci sono i giornalisti della Novaya, i ricercatori pazienti del Fondo
anticorruzione di Aleksey Navalny, quelli dell’OCCRP (Organized crime
and corruption reporting) e i droni. Le fotografie aeree dell’indagine
dei reporter hanno permesso di far vedere ai russi le dimensioni delle
regge, più che ville, dove vivono i tre uomini del “krug”, il cerchio
blindato del presidente, l’anello più stretto che circonda e protegge
Putin. Torri, torrioni e parchi, più che giardini. Tante cifre al vaglio
e una domanda sola. Un esempio: la proprietà di Zolotov e famiglia ha
un valore di 15 miliardi di rubli e non è chiaro come un uomo che occupa
una carica statale abbia avuto il denaro necessario per comprare quella
terra. Un’altra voce coraggiosa prova a raccontare la storia.
Sono
tante le porte che rimangono chiuse quando il cronista della Novaya
bussa, poche quelle che si aprono per dire solo che non parleranno
perché hanno subito ugrozy, minacce. La terra su cui sono edificate le
ville dei tre spettava a mille operai della Gorky II, una fabbrica di
pollame aperta da Felix Derxhinsky, il rivoluzionario sovietico
fondatore della Ceka, che poi finì nel mirino della nuova élite. Con il
crollo dell’Unione Sovietica, gli operai furono ingannati e costretti a
cederla in cambio di azioni di quella stessa fabbrica che stava per
essere smantellata e privatizzata. La terra finì ad un’altra società, la
Zarya ed infine, alla troika di Putin.
La storia prosegue con
foto in bianco e nero e un vecchio che non ha né potere, né salute, ma
coraggio e documenti che accertano che lui ha ancora diritto a
possederla. È figlio di uno degli operai della Gorky e si chiama Nikolaj
Uvarov. È un avvocato. Lui alle minacce non ha ceduto ma è finito in
coma dopo che uomini in passamontagna lo hanno picchiato per fargli
cambiare idea. È stato salvato da alcuni passanti.
Intanto Novaya
Gazeta continua a denunciare la corruzione del regime russo, ma inizia a
sua volta ad essere denunciata. Vladimir Yakunin, ex capo delle
ferrovie russe, ora vuole 5 milioni di rubli per danni all’immagine “e
al suo buon nome per le informazioni offensive”. I giornalisti del
quotidiano “hanno superato la linea rossa” quando lo hanno collegato
all’omicidio dell’investigatrice Egenya Shishkina, che aveva materiale
“esplosivo” sugli affari di Yakunin e famiglia, ma prima di rivelarlo, è
stata uccisa ad ottobre scorso sulla soglia di casa, proprio come la
sua collega, Anna Politkovskaja.