domenica 25 novembre 2018

Il Fatto 25.11.18
Le ville di lusso degli oligarchi sulla terra sottratta agli operai
Mosca - Inchiesta di Novaya Gazeta: gli ettari dove sorge la Rublevka in origine spettavano a mille addetti della Gorky II, fabbrica di pollame
di Michela A.G. Iaccarino


A Mosca, per capire la storia delle ville della Rublevka, enclave degli oligarchi nella Capitale russa, bisogna tornare al passato, su un volo Helsinki-Mosca del 1999. Stanno cadendo bombe in Cecenia, a Mosca c’è stato di crisi, Vladimir Putin sembra ancora un burocrate sovietico ma sta per passare alla storia come l’uomo che salverà il paese dal caos. Quando Putin scende le scale dell’aereo, di ritorno dall’Europa, è ancora un timido premier dal volto scarno ed è scortato da tre uomini alti, in lunghi cappotti. “Volevano rimanere nell’ombra, ma nemmeno per un secondo si allontanavano dal futuro presidente della Russia” scrive il gruppo di cronisti del quotidiano Novaja Gazeta. Sono angeli custodi armati, la lichnaya gardia, la guardia personale di Putin. Oggi sono i suoi vicini di casa. I “bodyguard del presidente” oggi lo sono di tutta la nazione. I tre sono Viktor Zolotov, adesso capo della Guardia Nazionale, la potente Rosgvardia; Oleg Klimentyev, ex governatore di Kaliningrad, ex capo di un’unità dell’FSB per la lotta al terrorismo, ora vice comandante FSO (servizio sicurezza presidenziale e delle alte cariche dello stato), ed Aleksey Dyumin, ex comandante delle forze per le operazioni speciali, ex vice ministro della Difesa, ora governatore di Tula. In Russia al presidente sono rimasti pochi nemici, ma tra loro ci sono i giornalisti della Novaya, i ricercatori pazienti del Fondo anticorruzione di Aleksey Navalny, quelli dell’OCCRP (Organized crime and corruption reporting) e i droni. Le fotografie aeree dell’indagine dei reporter hanno permesso di far vedere ai russi le dimensioni delle regge, più che ville, dove vivono i tre uomini del “krug”, il cerchio blindato del presidente, l’anello più stretto che circonda e protegge Putin. Torri, torrioni e parchi, più che giardini. Tante cifre al vaglio e una domanda sola. Un esempio: la proprietà di Zolotov e famiglia ha un valore di 15 miliardi di rubli e non è chiaro come un uomo che occupa una carica statale abbia avuto il denaro necessario per comprare quella terra. Un’altra voce coraggiosa prova a raccontare la storia.
Sono tante le porte che rimangono chiuse quando il cronista della Novaya bussa, poche quelle che si aprono per dire solo che non parleranno perché hanno subito ugrozy, minacce. La terra su cui sono edificate le ville dei tre spettava a mille operai della Gorky II, una fabbrica di pollame aperta da Felix Derxhinsky, il rivoluzionario sovietico fondatore della Ceka, che poi finì nel mirino della nuova élite. Con il crollo dell’Unione Sovietica, gli operai furono ingannati e costretti a cederla in cambio di azioni di quella stessa fabbrica che stava per essere smantellata e privatizzata. La terra finì ad un’altra società, la Zarya ed infine, alla troika di Putin.
La storia prosegue con foto in bianco e nero e un vecchio che non ha né potere, né salute, ma coraggio e documenti che accertano che lui ha ancora diritto a possederla. È figlio di uno degli operai della Gorky e si chiama Nikolaj Uvarov. È un avvocato. Lui alle minacce non ha ceduto ma è finito in coma dopo che uomini in passamontagna lo hanno picchiato per fargli cambiare idea. È stato salvato da alcuni passanti.
Intanto Novaya Gazeta continua a denunciare la corruzione del regime russo, ma inizia a sua volta ad essere denunciata. Vladimir Yakunin, ex capo delle ferrovie russe, ora vuole 5 milioni di rubli per danni all’immagine “e al suo buon nome per le informazioni offensive”. I giornalisti del quotidiano “hanno superato la linea rossa” quando lo hanno collegato all’omicidio dell’investigatrice Egenya Shishkina, che aveva materiale “esplosivo” sugli affari di Yakunin e famiglia, ma prima di rivelarlo, è stata uccisa ad ottobre scorso sulla soglia di casa, proprio come la sua collega, Anna Politkovskaja.