sabato 17 novembre 2018

Il Fatto 17.11.18
Un’iniezione di potassio, così Marisa ha ucciso i figli
Infermiera 48enne, sposata, smonta dal turno e seda Nissen (7 anni) e Vivien (9) prima di suicidarsi: “Non ce la faccio più”
Un’iniezione di potassio, così Marisa ha ucciso i figli
di Christian Diemoz


Scendi dalla macchina ad Aymavilles, lungo la strada che poi s’inerpica nella valle di Cogne, e la prima a venirti incontro è la temperatura invernale. Tre gradi che mordono la pelle, dopo un lungo periodo di pioggia. Non c’è ancora la neve, ma in questo lembo di Valle d’Aosta, che qui chiamano envers (“rovescio” in dialetto, perché è il versante non esposto), il sole arriva tardi. I serramenti in legno scuro chiusi non lasciano comunque entrare i raggi nelle finestre dell’alloggio in cui la 48enne Marisa Charrère ha ucciso giovedì notte i figlioletti Nissen (7 anni) e Vivien (9), per poi togliersi la vita.
Il dramma si è consumato verso la mezzanotte, in una palazzina di pochi piani nella frazione Crétaz Saint-Martin di Aymavilles, 2.100 anime. Qui, sospira in preda allo sgomento il sindaco Loredana Petey, “tutti si conoscono, i bambini vanno a scuola insieme” ed è “impossibile accettare l’accaduto”.
Nello stabile, oltre alla famiglia quasi cancellata da tre iniezioni letali praticate dalla donna (infermiera all’ospedale di Aosta), vivono la sua anziana madre e un altro nucleo. È proprio la vicina, Rita, a raccontare di aver sentito “rumore di sedie, poi delle urla, quindi il silenzio. Pensavo giocassero – aggiunge – chi avrebbe mai immaginato quello che stava succedendo”. A squarciare il velo della quiete apparente è il marito di Marisa, Osvaldo Empereur, agente del Corpo forestale della Valle d’Aosta, in servizio alla stazione di Arvier. Rincasa e trova i bambini esanimi, ancora vestiti, adagiati su un divano letto nello studio. Il corpo della moglie è invece riverso a terra, in soggiorno. “È entrato in casa, ha visto la scena e poi è uscito”, prosegue il racconto la vicina, che si è ritrovata l’uomo davanti proprio in quel momento. “Mi ha detto: ‘Marisa, Marisa ha ammazzato i figli e si è ammazzata lei!’”.
Scatta l’allarme. Gli agenti della Squadra mobile, diretti dal commissario capo Eleonora Cognigni, sul posto assieme al pm Carlo Introvigne, trovano due lettere in casa. Quasi identiche, scritte a mano. “Non ce la faccio più”. Parole che, in paese, dove gli Empereur-Charrère sono molto conosciuti, riportano alla mente i due lutti importanti che la 48enne aveva dovuto affrontare. Quello del padre (avvenuto quando lei era ancora piccola) e del fratello Paolo (morto in un incidente stradale, nel 2000, a soli 20 anni). Niente che possa spiegare fino in fondo l’unico omicidio-suicidio degli ultimi dieci anni in questa valle.
I colleghi del reparto di Cardiologia hanno visto Marisa in turno ancora nella notte tra mercoledì e giovedì: aveva “lavorato da ‘ottima infermiera’” e “parlato dei suoi figli da ‘ottima mamma’”.
L’ipotesi degli inquirenti è che, proprio dal nosocomio aostano, Charrère abbia portato a casa il potassio usato per sedare e uccidere prima i bimbi, poi se stessa. La stessa sostanza usata per le iniezioni letali negli Stati Uniti. La conferma è attesa dall’autopsia e dagli esami tossicologici disposti dalla Procura sui tre cadaveri.
Se la triste sequenza sembra lasciare pochi dubbi, nulla, per le persone nei cento metri tra la casa e le scuole primarie frequentate da Nissen e Vivien, faceva anche solo sospettare un “male di vivere” pronto a esplodere. “Li avevo visti, Marisa e i bimbi, sabato scorso, per l’insediamento del nuovo Parroco – si tormenta il sindaco Petey – e sembrava assolutamente tutto in ordine”.
Nemmeno l’altro vicino, Simone Reitano, ha mai “notato avvisaglie”, né ha “mai sentito litigare la coppia”. “Una famiglia affiatatissima”, sottolinea a voce bassa. Ricorda come spesso andassero “a fare passeggiate in montagna”, i piccoli “che ancora ieri giocavano qui in bici”. “Una famiglia normale, che partecipava alla vita del paese attraverso il volontariato”, gli fa eco il vicesindaco Fedele Belley.
Fino a una notte di novembre (lo stesso mese in cui, diciotto anni fa, il fratello di Marisa rimase ucciso alla guida di uno spartineve), in cui qualcosa si è rotto. Per sempre.