martedì 13 novembre 2018

Il Fatto 13.11.18
Un Paese tutto destra e Chiesa
Intrecci. Il governo nazionalista di Kaczynski e Duda ha favorito una pericolosa collusione tra potere civile ed ecclesiastico imperniata su tradizione, identità e revisionismo di Stato sulla Shoah
di Filippomaria Pontani


Da mesi a Varsavia la ricorrenza del centenario dell’indipendenza, nel 1918 al termine della Prima guerra mondiale, occupa vie e piazze: padiglioni didattici temporanei ripropongono la storia del Paese nell’ultimo secolo, il Museo Nazionale dedica un’ala all’elaborazione artistica della guerra sotto l’egida del controverso generale Pilsudski, vincitore nel ’18 e poi autoritario presidente della Polonia (suo il golpe del 1926, sua la politica di “risanamento” della nazione tramite ritorno agli “antichi valori”).
Proprio Pilsudski – vittima di una damnatio memoriae in età comunista, e ora padre della patria del governo più nazionalista d’Europa – inventò quel progetto di alleanza degli Stati dal Baltico al Mar Nero al Mediterraneo in funzione antitedesca e antisovietica (“Intermarium”) di cui il Gruppo di Visegrad rappresenta oggi il nucleo duro, e il Gruppo del Trimarium (una Visegrad allargata a Croazia, Austria, Slovenia, Romania, Bulgaria e repubbliche baltiche) una riproposizione moderna.
Il culto dei morti del ’18 e poi della guerra sovietico-polacca del 1919-21 si salda con il culto dei morti di Smolensk, l’incidente aereo del 2010 in cui morì l’allora presidente Lech Kaczynski insieme a molti alti quadri dello Stato e dell’esercito: dietro i lutti passati si cementa e si santifica l’unità della nazione. Non è un caso se nello spazio pubblico delle vie e delle piazze l’unica altra realtà ammessa sia quella della Chiesa cattolica: chiunque visiti il Paese trova ritratti di Giovanni Paolo II sulle vetrate di Breslavia, statue del primate Wyszynski (mèntore di Wojtyla e mediatore col regime comunista durante la Guerra Fredda) sulle strade della capitale, capitoli di cattedrali ricchi e attivissimi come a Cracovia, istanze di beatificazione sostenute a furor di popolo. E la vicinanza morale e materiale con il governo della destra nazionalista dei Kaczynski e dei Duda ha portato a una pericolosa collusione tra potere civile a potere ecclesiastico, con tutto il corredo di inconfessabili do ut des, di abuso politico dei concetti di “tradizione” e di “identità”, di understatement sul revisionismo di Stato circa la Shoah (la legge che proibisce di definire Auschwitz un campo “polacco”), di opaca adesione alle politiche anti-migratorie del governo e ai suoi toni da crociata, di arretramenti su diritti civili e libertà d’espressione.
In questo quadro poco confortante – ribadito dalla manifestazione di domenica, in cui spiccavano assieme inquietanti bandiere e icone di santi – ha fatto irruzione da un mese il film Kler di Wojciech Smarzowski, il regista diventato popolare in Polonia (e gradito anche al potere) grazie a film storici dedicati alle tragedie del 900, come Rosa o Volhynia. Il nuovo film, dedicato a casi significativi (basati in parte su fatti reali) della vita odierna del clero polacco, ha attirato al cinema milioni di spettatori e sta allarmando le gerarchie: vi si rappresentano tre storie parallele di sacerdoti cattolici di diverse pretese e di diverse abitudini, accomunati da una propensione alla violazione dei più elementari precetti evangelici, quando non semplicemente umani. Non si tratta solo della pedofilia, anche se naturalmente quella è – in maniera diretta o indiretta – l’oggetto principe della rimozione, noto e tollerato, dalle parrocchie di campagna ai vescovadi delle città più antiche.
Al di là degli abusi sui minori, colpisce il clima di continua intimidazione, di ricatto, di corruzione reciproca, che corrode le comunità dei villaggi della Masovia come le figure apicali delle gerarchie (qui, l’arcivescovo Mordowicz, interpretato da Janusz Gajos; ma nel film si parla anche in italiano, in una delle scene finali compare il Cupolone). Dall’uso inconfessabile delle monetine raccolte durante la messa fino ai sordidi maneggi che inquinano la beneficenza per le cliniche pediatriche, nulla resta puro in questo affresco che mette a nudo la catena di fragilità e violenza che grava sui sacerdoti di paese e l’assoluta impunità delle gerarchie ma anche l’incapacità della società di comprendere e di reagire dinanzi a una combutta pervasiva tra potere ecclesiastico e potere politico, la stessa combutta denunciata nella realtà – con toni ben meno aspri – dal coraggioso sacerdote di Cracovia Adam Boniecki, sanzionato e silenziato nel 2011 dalla Conferenza dei vescovi polacchi e riammesso alla parola pubblica solo pochi mesi fa.
Una combutta che affonda le radici in una scena di Kler, un flashback che mostra una messa popolata dalle bandiere di Solidarnosc nei mesi del crollo del regime comunista nel 1989. Una terra cresciuta nel culto di Wojtyla, del cardinale Glemp e del martirio di padre Popieluszko (ucciso dal regime nel 1984), una terra che ha trovato nella Chiesa cattolica la chiave per la liberazione dall’oppressione comunista e dunque per ogni idea di futuro, è di colpo posto dinanzi, sui pubblici schermi, a un quadro moralmente e politicamente desolante. Un Paese economicamente vitale che insegue la propria modernità potrebbe iniziare a sospettare che porpore e tiare siano parte del problema e non della soluzione. Ma saranno parte del problema o della soluzione la nuova legge che mette le università sotto il controllo della politica, i tentativi di asservimento del potere giudiziario, l’intimidazione nei confronti della stampa, la condiscendenza con cui vengono liquidati i rigurgiti neonazisti nella gioventù, o le vetrine di Militaria.pl che esibiscono nelle strade del centro mitragliatrici a 900 zloty, meno di 250 euro?
Sul vescovado di Breslavia campeggia la scritta non domo dominus sed domus domino honestanda, non locis viri sed loca viris efficiuntur honorata, “non è il padrone a trarre lustro dalla casa, ma la casa dal padrone; non sono gli uomini ad essere nobilitati dai luoghi, ma i luoghi dagli uomini”. Le brutture denunciate da Kler forse serviranno più per stringere a coorte le élite cittadine filo-occidentali che non per persuadere la Polonia rurale, dove i cinematografi non esistono; forse anche per questo manca una reazione ufficiale della Conferenza episcopale polacca, e i segnali di disagio sono per ora ancora affidati a singoli prelati. Ma il putiferio che si è scatenato in un Paese dove tutti ricordano l’epilogo del grande poema nazionale, il Pan Tadeusz di Adam Mickiewicz (1834; ne è da poche settimane disponibile una splendida traduzione inglese curata per Archipelagos da Bill Johnston): “Per un Polacco, ospite inviso / dovunque vada, nel passato / e nel futuro c’è una sola terra / in cui alberghi una traccia / di felicità: la terra dell’infanzia. / Essa resiste, sacra e pura / come il primo amore, non viziata / da vuoti di memoria, intatta / dall’atroce equivoco di speranza, / immutata dal corso della storia”.
E questo film, riusciremo a vederlo nelle sale italiane?