Il Fatto 13.11.18
Giornalisti puttane, boomerang 5Stelle che serve solo alla Lega
di Antonio Padellaro
Detto
che sul conto della sindaca di Roma, Virginia Raggi, giornali e
giornalisti hanno scritto qualsiasi mascalzonata (nel silenzio pressoché
totale di quanti ogni giorno impartiscono lezioni di etica, deontologia
e bon ton un tanto al chilo), ci sono molte ragioni per considerare
oltre tutto scriteriata l’insultante campagna dei Cinquestelle contro i
“pennivendoli puttane” (copyright Di Maio-Di Battista).
Perché nel
giorno in cui la suddetta Raggi esce assolta dal lungo calvario
giudiziario, ecco che un minuto dopo la sentenza si pensa bene di
spostare il faro sull’informazione brutta, sporca e cattiva. Con il
risultato che nessuno parla più del sindaco innocente mentre tutti
stanno a guardare la rissa tra chi offende e chi si offende. Due ipotesi
al riguardo. La sindaca viene comunque considerata un problema per il
Movimento, e dunque meno se ne parla meglio è. Oppure, quando si tratta
dei focosi Di Maio e Di Battista la parola precede il pensiero (era già
accaduto con l’impeachment di Mattarella, chiesto in diretta tv e
ritirato il giorno dopo).
Perché l’attacco alla stampa meretrice
da parte del M5S mostra evidenti analogie con la furia di Donald Trump
che sbatte fuori dalla Casa Bianca i reporter sgraditi. La ricerca di un
“nemico” è il cuore della narrazione populista. Ma prendersela con i
giornali quando si perde la Camera dei rappresentanti, o quando i
sondaggi vanno giù, non è un segno di forza ma mostra una palese
difficoltà. Sul serio si pensa di ricompattare la propria gente, un po’
disorientata dalla vicenda Tap o dallo strapotere di Salvini, gridando
puttana a qualcuno?
Perché, invece, Salvini con i giornalisti (e
con gli editori) cerca di non attaccare briga. Anzi, manda bacioni a chi
gli da del razzista, e mostra di non offendersi se lo sfottono sul come
mai la Isoardi lo ha mollato. Sarà anche vero che “il gioco della
stampa ora è esaltare la Lega e far vedere i M5S come degli appestati”
(Di Maio). Ma la sostanza non cambia: di ciò che scrivono i giornali il
Capitano semplicemente se ne frega. Come tutti gli apprendisti
autocrati, lui parla direttamente con il popolo-pubblico, attraverso
Facebook o Instagram. Una narrazione che non ha bisogno di
intermediazioni, o di penne più o meno compiacenti. Tv e cronisti gli
servono unicamente come testimoni dei bagni di folla, in un gioco di
specchi che alimenta il consenso.
Perché è per lo meno bizzarro
che mentre la carta stampata non se la passa affatto bene, tra cali di
copie e crisi aziendali, siano proprio i vertici dei Cinquestelle a
rianimarla con ingiurie e spintoni. È del tutto naturale, per esempio,
che Repubblica chiami a raccolta il proprio lettorato, come avamposto
della libertà di stampa sotto assedio. Senza contare che bollare come
pennivendoli e puttane un’intera categoria (metodo tre palle un soldo)
crea riprovazione e solidarietà anche da parte di chi non ama
particolarmente i giornalisti (metodo martirologio).
Fa parecchio
ridere che a strillare contro il governo gialloverde, “anticamera della
dittatura”, sia Silvio Berlusconi. Anche se la dice lunga sul fuoco di
sbarramento del centrodestra nel caso Di Maio e company procedessero con
l’annunciata legge sul conflitto d’interessi. Quella per mettere fuori
gioco gli editori “impuri” che detengono i giornali per farsi gli affari
propri. Cari Cinquestelle, se davvero pensate che Salvini sarà lì a
darvi una mano per tagliare il ramo su cui sta comodamente seduto, non
avete capito niente.