Corriere La Lettura 4.11.18
L’umanità non si misura
Che cosa definisce l’uomo
Discutono
Guido Tonelli, fisico di fama mondiale, Peter Hunter, teologo di Oxford
e Silvano Petrosino, professore di Teorie della comunicazione alla
Cattolica di Milano
di Annachiara Sacchi
L’ossessione
di misurare. E misurarsi. Il conto in banca, le relazioni, i follower e
i like. I chilometri percorsi (sul tapis roulant), le ore di lavoro, le
cene fuori, i pollici della tv. Qual è l’unità di misura dell’umanità? E
chi — o che cosa — definisce l’uomo? La ricchezza, il successo, il
potere? L’appartenenza a una nazione, a una fede? Alla vigilia della
Conferenza di Parigi, che rivedrà il sistema internazionale delle unità
di misura, tre voci collegate via telefono — Peter Hunter da Oxford,
Guido Tonelli da Pisa, Silvano Petrosino da Milano — provano a
rispondere portando sul tavolo della riflessione le loro competenze:
Hunter, frate domenicano del collegio di Blackfriars a Oxford, studi in
Matematica, Teologia, Filosofia, è docente nell’ateneo inglese; Tonelli,
fisico del Cern di Ginevra, insegna Fisica generale all’Università di
Pisa, è ricercatore associato dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare
e ha partecipato alla scoperta del bosone di Higgs; Petrosino è
professore di Teorie della Comunicazione e Antropologia religiosa e
Media all’Università Cattolica di Milano. Il teologo, lo scienziato, il
filosofo. Partono (e per certi versi finiscono) con una tesi antica, del
V secolo prima di Cristo, ancora molto attuale: «L’uomo è la misura di
tutte le cose».
SILVANO PETROSINO — Certo, quella di Protagora è
una buona definizione. Ma qual è lo strumento con cui l’uomo misura?
Questo è il problema: l’uomo misura con una misura che non controlla mai
totalmente. Noi vorremmo catalogare, ordinare, collocare con precisione
la realtà che ci circonda, cercando di controllare ciò che sfugge al
nostro controllo. In questo senso spesso ci convinciamo che la misura
dell’uomo sia, per esempio, il godimento. O il potere. Ma è un inganno:
l’uomo resta irrimediabilmente abitato da una misura che non riesce a
misurare.
La scienza non è la soluzione?
GUIDO TONELLI —
Sarei molto scettico se saltasse fuori un criterio di valutazione delle
persone. Come dico ai miei studenti all’inizio del corso, non possiamo
misurare tutto. È Galileo a spiegarlo: è misurabile solo ciò che è
identico, replicabile, e che non cambia. Ma le paure, l’amore, i
sentimenti fanno parte della sfera umana, e in questi casi misurare, che
è un’operazione standard nella scienza, diventa quasi impossibile,
servono molte precauzioni. Perché se da una parte non esiste criterio
scientifico per misurare l’umanità, dall’altra so che alcuni «sistemi di
misurazione» sono scelti in base a ragioni politiche o sociali.
Quindi stiamo dicendo che non esiste, o che non abbiamo ancora trovato, l’unità di misura dell’umanità?
PETER
HUNTER — Esattamente: non possiamo misurare gli esseri umani e nemmeno
semplificarli attraverso numeri. È vero che la nostra società tende a
classificare, a cercare regole — penso, in politica, ai criteri con cui
distribuire il denaro pubblico. Ma gli uomini sono troppo complessi e
importanti per essere ridotti a una formula. È vero, c’è un peso,
un’altezza, ma questi parametri non ci dicono niente. Piuttosto,
dovremmo sforzarci di capire come davvero funzionano le comunità: quelli
sono indicatori importanti, in grado di parlarci — molto più di un
elenco — della vita umana.
SILVANO PETROSINO — Il riferimento alla
scienza è importante e ci serve per capire la differenza tra
esperimento ed esperienza. L’esperimento è alla base della scienza
esatta, è misurabile e riproducibile, ma l’esperienza umana è qualcosa
che non si può pienamente ripetere e pienamente misurare. È la difesa di
questa specificità che ci permette di comprendere il richiamo in
qualche modo inevitabile alla fede e all’arte. Questi due domini, il
religioso e l’estetico, sono una difesa di un’esperienza che non vuole
essere ridotta a esperimento.
GUIDO TONELLI — Non esiste unità di
misura dell’umanità. Esistono invece le scelte — politiche, sociali,
economiche — delle società, all’interno delle quali gli uomini e le
donne sono giudicati. Nella nostra i criteri di valutazione — esasperati
dai media — si riferiscono al possesso di denaro, potere, successo. Ma
se pensiamo a certe tribù, dove contano i narratori di storie, la
gerarchia cambia completamente. Ecco, anche da noi occorrerebbe una
diversa gerarchia. Il valore delle persone andrebbe misurato non con
quello che posseggono ma con quello che danno, alla piccola comunità o
all’umanità nel suo complesso.
La nostra tendenza a misurare si
limita al mondo che vediamo? A un piccolo giardino locale? O misurare
vuole dire anche aspirare a qualcosa di altro da noi, che sia Dio o una
scoperta scientifica?
PETER HUNTER — Come Tonelli, penso che ogni
società abbia i suoi sistemi di valutazione. Non credo, però, che tutto
sia «valutabile»: esistono elementi che ci parlano della grandezza
dell’uomo, di un brillante intelletto, di un grande cuore. E ci sono
persone che per questo motivo ci attraggono a prescindere dalla loro
provenienza, dalla loro cultura. Io vengo da un Paese, il Sudafrica,
dove un uomo, Nelson Mandela, ci ha traghettato verso un nuovo futuro,
anche se imperfetto. San Paolo dice che gli esseri umani si misurano dal
pieno sviluppo di Cristo: credo sia vero, Gesù è l’essere umano
perfetto che ci dà la misura dell’umanità. Certo, non mi aspetto che
questo pensiero sia preso seriamente in una società secolarizzata come
la nostra, ma ribadisco: anche da un punto di vista razionale ci sono
vite che esaltano e rendono fiorente l’umanità e altre che la
mortificano, la rendono misera. Ha dunque senso prendere come
riferimento persone che ci conducono verso ciò che è grande e ciò che
buono.
Misurarsi vuol dire confrontarsi allora?
PETER HUNTER
— L’uomo condivide la sua umanità con gli altri, si riconosce nei suoi
simili. Spesso il nostro modo di valutare è superficiale, ma se pensiamo
a chi, nei secoli, ha migliorato le condizioni umane, è sempre
riconoscibile per un grande cuore, una grande mente.
GUIDO TONELLI
— Ma per fare questo serve la distanza. Del tempo. Anche chi si
opponeva a Mandela oggi ne riconosce la grandezza. In questo senso
dobbiamo aspettare: è il futuro a definire il passato. Anche nella
scienza: l’importanza di Euclide si capisce meglio oggi, dopo 2.300
anni. È pericoloso dare giudizi di valore nei confronti di pensatori,
artisti e intellettuali contemporanei. Lo facciamo, ma a nostro rischio.
Quindi
è il tempo la chiave di questa riflessione? È il tempo l’unità di
misura che ci definisce? Il futuro potrebbe essere un lusso che non
possiamo permetterci: abbiamo il «tempo» di aspettare?
GUIDO TONELLI — L’evoluzione dell’umanità è un processo complesso. Guardandosi indietro è più facile ragionare con lucidità.
PETER
HUNTER — Certo, è più facile capire in retrospettiva, ma non sono
d’accordo sul fatto che serva necessariamente il tempo per riconoscere
alcune grandi personalità. Come ci sono stati i Platone, gli Euclide, i
Puccini, i Galileo, allo stesso modo sono esistiti ed esistono uomini e
donne ordinari che si sono presi cura dei più poveri, dei più deboli,
che hanno avuto cuore e cervello, magari non nello scoprire una formula,
ma nel capire i bisogni del loro tempo. E che sono stati dimenticati.
Noi lottiamo per essere grandi. Dovremmo lottare per lasciare alle nuove
generazioni un mondo migliore di quello che abbiamo trovato.
SILVANO
PETROSINO — Il riferimento al tempo è essenziale perché l’uomo è finito
e mortale e, a dispetto di tutto, ne prende coscienza mentre è ancora
in vita: non ha bisogno di attendere di morire per sapere che è mortale.
Questa consapevolezza entra inevitabilmente nella sua visione della
realtà e vi entra in modo negativo spingendolo per esempio all’avidità,
ma interviene anche in modo positivo aprendolo al tema della
generatività. Il generativo è sempre contro l’avidità. In questo senso
la misura legata al tempo e alla finitezza può essere la migliore
condizione per aprire al possibile, a un’alterità oltre il proprio
presente.
Ricapitolando: la misura dell’uomo deve tenere conto di
spazio e tempo, locale e globale, grandezza riconosciuta e grandezza
«silenziosa»?
GUIDO TONELLI — Sì, occorrerebbe distinguere fra i
diversi piani spaziali e temporali e le tante comunità che costituiscono
l’umanità nel suo complesso. Sono terreni diversi che richiedono scale
di valutazione appropriate.
In un mondo così complesso, spesso attraversato da conflitti, esiste un terreno comune su cui posare lo sguardo?
PETER
HUNTER — Penso che sia molto difficile impegnarsi «globalmente»,
prendersi carico dell’umanità in generale, se non per brevi periodi e
per avvenimenti di forte impatto emotivo, penso a uno tsunami. Cresciamo
in piccole comunità, restiamo sulla terra per pochissimo tempo, abbiamo
prospettive locali: è difficile avere una visione condivisa. E se da
una parte è importante (e complesso) sollevare lo sguardo oltre il
nostro piccolo giardino, dall’altra bisogna sospettare di chi ha ricette
semplici e per tutti: la storia ci insegna che in molti casi quelle
ricette erano sbagliate, a volte dannose.
GUIDO TONELLI — Il
terreno comune è capire che il valore dell’uomo non è stabilito dal suo
denaro o dal successo, ma dalle sue azioni nei confronti delle comunità,
siano esse locali o globali, dalle soluzioni che trova ai problemi,
dalle sue scoperte e visioni.
SILVANO PETROSINO — Per quanto
riguarda la ricerca di una misura comune, rispondere è molto semplice e
allo stesso tempo impossibile. Per i viventi la misura è la vita, e il
bene è tutto ciò che fa vivere. Questo in generale, perché poi succede
che i gruppi più potenti impongono la loro misura. Un esempio? È stata
introdotta la categoria della qualità della vita dimenticando che la
vita stessa è la qualità. Così ha prevalso la dittatura del potente che
ha introdotto categorie sue, diverse da quelle di altri uomini che
tuttavia vivono «felicemente». Per chiarirci: ritengo che si debba
criticare l’imposizione di un unico criterio per definire la vita o la
sua qualità.
Filosofo, teologo e scienziato sono dunque d’accordo
sul fatto che nel migliore mondo possibile l’uomo è valutato in base al
contributo che dà ai suoi simili. Ma non viviamo nel migliore mondo
possibile....
PETER HUNTER — Lo so, è difficile estendere questi
ragionamenti alla società globale, così abituata a giudicare in modo
veloce e superficiale.
SILVANO PETROSINO — Non abbiamo
alternativa: noi dobbiamo, ma soprattutto possiamo, vivere insieme. Il
filosofo, lo scienziato, l’artista, i ricchi e i meno ricchi, i sani, i
meno sani. Ciò che è essenziale è che una misura non finisca per imporsi
sulle altre. C’è stato un periodo in cui l’unica misura era quella
religiosa e tutto quanto era al di fuori veniva considerato irrazionale,
negativo. Oggi io vedo il rischio che si imponga come unica misura
quella scientifica. Penso che invece sia assolutamente importante non
ridurre l’ampiezza della razionalità umana alla forma della razionalità
scientifica. C’è una ragione che va al di là dell’intelligenza.
Professor Tonelli, da scienziato come reagisce?
GUIDO
TONELLI — Sono consapevole dei limiti della scienza. È uno strumento
ottimo per aiutarci a capire il mondo, per ricavarne tecnologie e
collocarci nell’universo. Ma è pur sempre uno strumento. Sappiamo bene
che da sola non è in grado di risolvere i problemi dell’umanità. Anzi,
proprio perché essa progredisce a ritmi sempre più rapidi c’è più che
mai bisogno di filosofi, artisti, pensatori specialisti dell’umano che
offrano una visione più chiara del nostro cammino. Servirebbe una nuova
alleanza fra scienziati e umanisti per discutere insieme dove stiamo
andando, quali sono le opzioni a nostra disposizione, i rischi e le
potenzialità delle varie scelte. La decisione sulle strade da seguire
non può essere lasciata agli scienziati, spetta all’intera comunità.
Sembra quasi impossibile...
PETER
HUNTER — La scienza non può dare risposte a tutte le domande, è vero,
ma sono convinto che abbia un ruolo fondamentale nell’aiutarci a capire
il mondo che ci circonda. L’umanità è in cerca di risposte, là dove le
scienze umane non sono arrivate si chiede aiuto ad altre discipline, ma
non esiste soluzione. E allora come si riempie questo vuoto? No, non mi
riferisco a una semplice ricetta che dia risposte a tutti. Dico che in
questo momento l’umanità è alla ricerca di qualcosa che non trova, di
una storia più «sostanziosa» di quella scientifica. La risposta è in
mano alle nuove generazioni. Per una nuova visione del futuro conto sui
più giovani.
Rischiando di doverci scontrare ancora una volta con i limiti dell’uomo?
SILVANO
PETROSINO — Il limite non è un’obiezione alla realizzazione della
nostra esistenza. È una condizione: dobbiamo evitare che venga percepito
e soprattutto concepito come un’obiezione. Proprio a partire dall’idea
di limite è possibile trasformare una dimensione che sembra esprimere
una costrizione, un di meno, in un’opportunità che può aprire a un di
più. Ad esempio a un confronto tra esperienza religiosa, scientifica,
artistica. In conclusione, a me sembra che l’uomo sia molto più ricco e
più grande di quanto lui stesso non pensi.
L’uomo è ontologicamente destinato a progredire?
GUIDO
TONELLI — Per progredire, ma anche solo per definire la rotta
dell’umanità, sono necessarie alcune condizioni. La prima è accettare
che ogni approccio — scientifico, umanistico, artistico — ha i suoi
limiti. Ma questa, come dice Petrosino, potrebbe essere anche una
ricchezza. La seconda è comprendersi uno con l’altro, capirsi, parlarsi.
Serve uno sforzo comune per intendersi, soprattutto tra esperti di
scienze umane e scienziati. Questi ultimi lo stanno facendo, consapevoli
del fatto che non tutte le risposte possono arrivare da fisica,
matematica, chimica. Non vedo invece lo stesso sforzo da parte di
filosofi e artisti che, pur vivendo nella scienza e usando gli strumenti
che la scienza mette a disposizione, sembrano poco interessati a come
la scienza sta interpretando l’universo e le sue origini. Ma se vogliamo
vivere insieme bisogna saper cambiare prospettiva.
PETER HUNTER —
Concordo sul fatto che l’uomo spesso è incapace di vedere la sua stessa
grandezza. La nostra società sta vivendo una strana tensione tra
superficialità nel giudicare e attitudine a usare misure
«disumanizzanti» per risolvere i problemi — mi riferisco ad alcune
soluzioni politiche per risolvere il problema della povertà. Penso però
che l’umanità stia allo stesso tempo riforgiando una nuova visione
comune. Avverto un clima di speranza: i giovani, i nuovi pensatori mi
sembrano più consapevoli di questa grandezza.
L’uomo è ancora la misura di tutte le cose?
GUIDO TONELLI — Oh sì, inesorabilmente.
PETER HUNTER — Sì, ma l’uomo può fare anche molti danni. Metterci sempre al centro può farci dimenticare i nostri limiti.
SILVANO
PETROSINO — Sì. L’uomo ha una caratteristica unica, sa aprirsi
all’altro. Sa dire «ti voglio bene», voglio il tuo bene. Basta questo
per sfuggire a ogni accusa di antropocentrismo.