domenica 25 novembre 2018

Corriere La Lettura 25.11.18
Sapienza senza confini
Anche i cristiani a lezione da Avicenna
di Alessandro Vanoli


C’era una volta un Paese lontano. Dove le città, e spesso anche i sogni, si chiamavano Bukhara, Samarcanda e Isfahan. In quel Paese lontano c’era un bimbo, pieno di amore per una scienza che era ancora tutta quanta da scoprire. Quel bimbo leggeva e leggeva: imparando a memoria il Corano e i poeti persiani, studiando i libri dei sapienti che avevano scritto di letteratura, filosofia e scienze naturali. Ma più di tutte queste cose, il bimbo amava la medicina, tanto che pochi anni dopo, non ancora ventenne, ne era diventato un maestro.
La sua storia si trova nel volume illustrato Avicenna (Gallucci-Kalimat). Sfogliatelo: ecco un uomo dai lunghi capelli, vestito di eleganti broccati dai molti colori e circondato da libri, boccette, erbe e rimedi. E di pagina in pagina vedete quell’uomo farsi anziano, ma crescere in sapienza e conoscenze: parlare di infezioni e chirurgia, sforzarsi di alleviare le pene dei malati e viaggiare, soprattutto, ovunque, in quelle sue terre lontane, dove l’Oriente era il centro del mondo e la cultura pareva non avere confini. Certe pagine dorate come i libri miniati, altre blu come la notte, altre ancora verdi per evocare i piaceri di un giardino.
Difficile dire se sia davvero un libro per bambini. E forse poco importa una simile destinazione. In quei disegni che riempiono le pagine scorre la storia di uno dei più grandi uomini di scienza che il mondo abbia conosciuto. Si chiamava Ibn Sina e la sua lingua era il persiano, anche se spesso avrebbe scritto in arabo. Era nato alla fine del nostro X secolo, quando la grande unità del califfato islamico era ormai un ricordo e i territori dell’Asia centrale erano scossi da continue invasioni e cambi di potere: i Samanidi, poi gli invasori turchi Ghaznavidi e in seguito i Selgiuchidi. Un mondo spesso diviso politicamente, ma unito dalla religione islamica e dalla lingua persiana, oltre che dall’arabo coranico, diventato nel tempo la lingua dell’ufficialità e della religione.
Era il mondo dell’antica Via della Seta, caratterizzato anche a quei tempi da un intenso movimento: viaggiavano i cibi, viaggiavano le vesti, viaggiavano anche i libri. Pochi territori, anzi, furono caratterizzati più profondamente dell’Asia islamica da un’estrema mobilità fisica delle persone. Chiunque desiderasse mettersi in viaggio doveva semplicemente unirsi a una delle tante carovane che procedevano come convogli in lento movimento. Neppure poeti, astrologi, scienziati, medici, musicisti e ballerini erano estranei all’esperienza dei lunghi viaggi. Anche Ibn Sina ovviamente, che si spostò per tutta la vita tra il territorio iranico e il vicino Turkestan, operando come medico e consigliere di numerosi governanti. Come tutti gli uomini di cultura di quei tempi parlava e scriveva in persiano e arabo. Scrisse poesie e non pochi trattati filosofici, tra cui il più importante, il Libro della guarigione, diviso in quattro parti: logica, fisica, matematica, metafisica. Per questi argomenti seguì non poco l’ispirazione che gli giungeva dai Greci e fu come tanti suoi contemporanei seguace di Aristotele e del neoplatonismo, sforzandosi di conciliare tutto questo con la sua fede di buon musulmano.
Ma Ibn Sina fu anche e soprattutto l’autore di una delle opere scientifiche più importanti di ogni tempo, Il Canone di Medicina: un’opera imponente in cinque libri, in cui mostrava princìpi, anatomia, cure e medicine. Anche in quel campo doveva molto ai Greci: il corpo era per lui un sistema in continuo equilibrio tra elementi, complessioni, umori, organi, forze, azioni e spiriti e la medicina si sforzava di ripristinare quell’equilibrio alterato dalla malattia. Ma non fu affatto una semplice rielaborazione di Ippocrate o Galeno: Ibn Sina sperimentava e innovava. Il suo mondo era molto più vasto di qualsiasi confine culturale. Lo si vede anche solo nelle centinaia di cure e medicine che raccolse: spezie, erbe, rimedi di una tradizione millenaria costruita sulle esperienze di un intero continente. Difficile immaginare qualcosa di più chiaro che quelle sue pagine per mostrare il senso stesso della Via della Seta.
Morì a Hamadhan, in Iran, che era il 1036, ma la sua opera gli sopravvisse. Non solo nell’islam. Pochi decenni dopo, alla caduta di Toledo, le armate cristiane si trovarono davanti a infiniti tesori; e tra essi i libri. Così Ibn Sina divenne per la prima volta Avicenna nella Spagna del secolo XII. Merito di Gherardo da Cremona, che era giunto sin lì sulle tracce di altri libri e lì si era fermato, consacrando la propria vita alla traduzione in latino di opere scientifiche e filosofiche arabe. Tra queste figurava anche il Canone. E in quella sua nuova veste latina, Avicenna visse un’altra vita ancora: amato dai filosofi cristiani, eternato da Dante tra gli spiriti magni e infine studiato nelle università d’Europa sin quasi al Settecento.
Ecco perché val la pena di sfogliare queste pagine e i loro disegni. La bravissima Fatima Sharafeddine, autrice libanese di libri per ragazzi, ha scritto una storia che sembra una favola. La storia di una vita, che comincia con un bimbo che leggeva e termina con un anziano signore, pieno di riconoscimenti e di successi, ma soprattutto colmo di scienza e di saggezza. Il libro si intitola Avicenna, ma anche Ibn Sina: perché i caratteri arabi sono protagonisti tanto quanto l’alfabeto latino, con la bella traduzione italiana di Elisabetta Bartuli. Serve agli adulti per ricordare una figura che è parte intima della nostra storia, indipendentemente da quale mondo si provenga, arabo o latino, islamico o cristiano. Serve ai bambini per imparare una bella storia e, assieme ad essa, conoscere parole e scritte nuove, che poi sono spesso quelle dell’amico di scuola o del compagno di banco che è arrivato da un’altra sponda del Mediterraneo. Serve agli insegnanti per lavorare su una possibilità didattica non da poco: mostrare ai bambini quanto le loro culture possano essere ricche e quanto ci sia da imparare gli uni dagli altri. Serve a tutti noi per fare un piccolo sforzo quotidiano: ricordarci che il mondo e la sua storia sono ben più vasti di quegli stretti confini entro cui ci ostiniamo a relegarci.