Corriere La Lettura 18.11.18
Christine la suffragetta medievale
Nel Quattrocento scrisse la controstoria delle donne
di Amedeo Feniello
Il
nome Christine de Pizan forse dice poco al grande pubblico. Ci riparla
oggi di lei Gianluca Briguglia nel libro Il pensiero politico medievale
(Einaudi). Un volume denso, ma di agevole lettura, con uno sguardo sul
periodo costellato da figure colossali, da Giovanni da Salisbury fino a
John Wyclif. Coinvolge il lettore su temi non facili, col disvelare
aspetti di un Medioevo assolutamente innovativo, carico di un impulso
verso la politica — non solo agita, ma pensata — davvero inaspettato.
Libro che approda, nelle sue ultime pagine, al racconto di Christine.
Nasce
a Venezia, nel 1365. Suo padre, Tommaso da Pizzano (questo è il cognome
originale della donna), non è un tipo comune. Fa il medico, ma
soprattutto è un astrologo, formatosi all’Università di Bologna. Si è
trasferito a Venezia per servire la Repubblica, tuttavia non vi resta
molto tempo. Estroso e inquieto, quando Cristina (poi Christine) ha
appena quattro anni, prende tutta la famiglia e va alla corte di
Francia, da re Carlo V. L’astrologia allora è scienza. Lo spiega la
stessa Christine nel suo Libro del corpo politico (1407), chiarendo come
essa facesse parte «di quella sapienza filosofica utile a comprendere
il mondo». Non un’arte malvagia e menzognera, «ma una scienza
estremamente complessa, legata alla visione dell’universo di Tolomeo e
di Aristotele», come scrive Briguglia.
La piccola Christine ora è a
corte, a Parigi. La madre vorrebbe che lei, come le altre bambine e
adolescenti, si dedicasse ai lavori femminili. Ma la bimba è brillante.
Incoraggiata da suo padre, apprende il latino, la musica e legge tanto,
di filosofia, di storia e di religione. E compone dei brani lirici, che
vengono letti e ammirati.
A quindici anni il padre la dà in sposa a
Étienne de Castel, un notaio appartenente al gruppo di funzionari
legati al re. Le cose per lei non sembrano andare male, nonostante il
padre, dopo la morte di re Carlo, nel 1380, sembra sia caduto in
disgrazia. La vita comunque scorre senza grandi sussulti: i figli, il
lavoro del marito, l’accudimento della casa. Due colpi però, in rapida
successione, sconvolgono la vita di Christine. Prima la morte del padre,
nel 1387. Poi quella, molto più grave agli effetti pratici, del marito,
nel 1390.
A 25 anni si trova sola, con tre figli e la madre a
carico. È la disperazione. Lutto e disastro economico si intrecciano. In
un contesto politico e sociale che sta rapidamente degenerando, con la
pazzia di re Carlo VI e i nemici inglesi (è in corso la guerra dei Cento
anni) sempre alle porte. Che fare? Christine non si perde d’animo e
trasforma le sue capacità artistiche in un lavoro. Si lancia in questo
nuovo mestiere e cerca di riorganizzare la sua vita tra tempi difficili,
difficoltà finanziarie e problemi di salute. Ma ce la fa. Approfondendo
la sua cultura. Conservando i suoi rapporti, strategici, a corte.
Scrive ballate, poesie, liriche che hanno grande successo, attraverso
cui riceve nuove proposte di lavoro e il sostegno di mecenati che la
spingono a confrontarsi su altri temi, più alti, filosofici e politici.
Si
appresta a questi lavori in anni che si fanno sempre più difficili, di
crisi violenta della monarchia, della sconfitta di Azincourt per mano
inglese. Anni in cui Christine, ad esempio nel Libro sui fatti e sui
buoni costumi del re saggio Carlo V, combatte con le uniche armi che ha,
quelle della cultura, riprendendo la memoria del re Carlo V come
eredità da rivendicare, tracciando una vera e propria agiografia
politica, esprimendo un modello di regalità che unisce le virtù
cavalleresche alla saggezza e alle capacità intellettuali.
L’epicentro
più originale del pensiero di Christine riguarda però la donna e il suo
ruolo. Entra in polemica con il maggior bestseller dell’epoca il Roman
de la Rose e col suo autore, Jean de Meung: opera che definisce misogina
e diffamatoria verso l’universo femminile. Mentre nel suo La città
delle dame (1404-1405) non solo rilancia le sue accuse verso Jean de
Meung, ma attacca Boccaccio «e tutti quei chierici, filosofi,
intellettuali che hanno accusato le donne di stupidità, di lussuria, di
incapacità e di tutti i difetti, rendendole indifese e socialmente
deboli». Christine nell’opera costruisce una città ideale, fatta di
donne esemplari, di miti classici rivisitati, di dame onorate, di
profetesse, di sante che, con il loro contributo, hanno ottenuto
risultati eccezionali nelle arti, nella filosofia, nella politica. La
città costruita da Christine permette di raccontare allora una vera e
propria controstoria del genere umano, tutta al femminile, affascinante
«per la vastità e varietà dell’apporto delle donne al mondo».
Femminista
ante litteram? Lo hanno detto in molti, ma non corriamo. Tuttavia, non
deve sfuggire l’importanza di questa controstoria. Non si trattò infatti
di un semplice gioco letterario: esprimeva la voce di una grande
intellettuale medievale che rivendicò un diverso ruolo della donna e
cercò, «con il proprio esempio e la propria cultura, di influenzare il
reale, alla ricerca di un nuovo mondo possibile».