venerdì 9 novembre 2018

Corriere 9.11.18
La politica stia lontana dalla ricerca scientifica
di Carlo Rovelli


L’Agenzia Spaziale Italiana è uno dei punti di forza e di orgoglio della scienza del nostro Paese. Il suo presidente, Roberto Battiston, scienziato di grande valore e con capacità organizzative riconosciute, è stato destituito nei giorni scorsi dal governo. Al suo posto, come possibile successore, la stampa ha fatto il nome di un militare. Queste sono notizie tristissime per la scienza, per la pace, per il paese.
Ci sono due questioni gravi che sono in gioco in questa vicenda. La prima è l’autonomia della ricerca: se mettiamo in questo modo la ricerca nelle mani di una logica di schieramenti politici, affossiamo di sicuro la scienza italiana. La seconda questione è la pesante svolta ideologica e politica che significherebbe passare l’Agenzia Spaziale Italiana dalle mani di uno scienziato alle mani di un militare.
Ma andiamo con ordine: Roberto Battiston è un astrofisico italiano di altissimo profilo. Ordinario di fisica sperimentale all’Università di Trento, ha dato contributi maggiori alla scienza. È il padre, per esempio, insieme al premio Nobel Samuel C.C. Ting, dello strumento AMS-2 montato sulla Stazione Spaziale Internazionale che fa misure di precisione dei raggi cosmici nello spazio. Da quattro anni è presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, la sua competenza ed efficacia non sono state mai messe in dubbio.
Con un decreto datato 31 ottobre, operativo dal 6 novembre, che recita testualmente che la decisione «non necessita di una particolare e pregnante motivazione», Battiston è stato destituito dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Marco Bussetti (la sua pagina di Wikipedia lo presenta così: «Docente di educazione fisica di scuola media, ricopre a livello regionale diversi incarichi legati al mondo dello sport. È stato allenatore e dirigente della squadra di basket di Gallarate»).
Il supporto legale per la destituzione è l’articolo 6 della legge 145 del 2002, che permette al governo di revocare le nomine degli organi di vertice degli enti pubblici conferite nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura. Vale la pena di ricordare qualche parola da una sentenza del Tar del Lazio (3277/2003) a proposito di questa legge: «Lo scopo di questa legge, se correttamente applicata, è evitare situazioni di contrasto che potrebbero emergere dal cambio di Governo. È una legge che sancisce un potere di carattere straordinario, non un potere assoluto, rimesso a una volontà senza controllo. È un potere che si rende necessario quando, a seguito di una valutazione della personalità del soggetto nominato dal precedente Governo, risulti ragionevole il convincimento (non il mero sospetto) che la sua attività di direzione non sia esercitata con il connotato della imparzialità e nel pieno rispetto delle regole del buon andamento, che comprendono la legittimità e la opportunità delle scelte in sintonia con gli indirizzi politici del governo in carica. Nella sostanza la legge 145 del 2002 attribuisce al nuovo governo un potere di verifica della fedeltà del funzionario e della sua capacità di godere di piena fiducia. È bene sottolineare che non si tratta di fiducia politica ovvero, peggio ancora, di fedeltà politica».
Non sembra questa la logica nella quale si sia mosso il ministro, rimuovendo Battiston senza preavviso, senza motivo, senza dargli modo di rispondere ad eventuali obiezioni, e, a quanto si apprende dalla stampa, senza neppure interpellare gli alleati di governo.
Ma a parte questo modo brutale di condurre la cosa pubblica, ci sono le due questioni più gravi che, come ho accennato, sono in gioco in questa triste vicenda.
La prima è l’autonomia della ricerca. La guida dei grandi enti di ricerca, così come quella di una grande agenzia spaziale, richiede una conoscenza approfondita del mondo della scienza e una sensibilità scientifica che permette di prendere le decisioni giuste, riconoscere i pareri affidabili, saper navigare fra le diverse opinioni degli scienziati, e questo può permetterlo solo una lunga pratica e familiarità con il mondo della scienza. La politica può e deve indicare obbiettivi a lungo termine e vigilare, ma se rimuove persone competenti solo perché sono state nominate da un governo di diverso colore politico, e pensa di lottizzare e occupare la ricerca come fa con la Rai, distrugge la scienza in Italia. Nessun governo precedente, a mia memoria, è stato così rapace nel mettere le mani sulla ricerca.
La seconda questione è l’idea tristissima di nominare un militare alla guida di un ente spaziale. Non conosco il militare di cui si fa il nome, e quindi per quello che ne so potrebbe essere persona onestissima e capace. Ma passare enti di ricerca da scienziati a militari a me fa venire in mente le peggiori dittature sudamericane. Certo un’Agenzia Spaziale gestisce anche questioni legate alla sicurezza e all’intelligence, ma la questione è proprio dove stiano le priorità. I militari sono e devono essere competenti per avere uno strumento di eventuale difesa del paese. Non sono certo competenti di scienza o di esplorazione e utilizzo dello spazio. Mettere un militare alla testa della nostra Agenzia Spaziale significa dare un segnale chiaro: il nostro obbiettivo è contribuire a militarizzare lo spazio. Alla militarizzazione del mondo. Vi è nel mondo intero uno sforzo comune e generoso di fare dello spazio un luogo per la crescita del sapere, della dimensione economica, e del benessere dell’umanità intera. Vogliamo che l’Italia sia il Paese che soffia più degli altri sul fuoco della militarizzazione dello spazio e della visione militare e guerresca della convivenza su questo pianeta? È questa l’Italia che vogliamo? Questa sarebbe una direzione di cui ci pentiremmo. L’Italia sia Paese di economia spaziale, di pace, di scienza, non Paese di guerra.