Corriere 7.11.18
Alexandria, la deputata più giovane, guida l’onda di volti nuovi
A ventinove anni Ocasio-Cortez conquista New York e si propone come portabandiera della sinistra liberal
di Massimo Gaggi
NEW
YORK Pochi mesi fa, a febbraio, lavorava ancora al banco del bar di un
ristorante messicano di Union Square. Oggi è la rockstar della politica
democratica: battendo il repubblicano Anthony Pappas in un distretto che
copre due quartieri di New York, Bronx e Queens, a 29 anni Alexandria
Ocasio-Cortez diventa la più giovane deputata della storia americana. Ma
non è la sua elezione a renderla il personaggio-simbolo del voto Usa di
midterm, visto che, tra l’altro, «correva» in un collegio nel quale i
democratici sono storicamente sei volte più numerosi dei repubblicani e
che Pappas non solo non ha fatto campagna elettorale ma, accusato di
aver commesso in passato violenze domestiche, ha pure perso il sostegno
del suo partito.
Alexandria, figlia di una modesta famiglia
portoricana, è un simbolo perché incarna i tre fenomeni sociali sui
quali il partito democratico ha cercato di costruire la sua riscossa
dopo l’umiliante sconfitta infertagli due anni fa da Donald Trump: il
nuovo attivismo delle donne nei posti di lavoro e nella società dopo il
caso Weinstein e la nascita del movimento #MeToo; la reazione delle
minoranze etniche a una presidenza che, criminalizzando i lavoratori
stranieri senza documenti, finisce per creare un clima ostile nei
confronti di tutti gli immigrati; il risveglio dei giovani progressisti
che, disertate le urne quando c’era da votare per Hillary Clinton,
potrebbero risvegliarsi oggi per personaggi più vicini alle loro
sensibilità. Come, appunto, la Ocasio-Cortez.
La nuova stella
democratica, però, può anche diventare un simbolo di divisione: quella
tra i leader che hanno fin qui diretto il partito democratico tenendolo
su posizioni moderate e liberali, aperte al libero commercio, e un’ala
più radicale e socialisteggiante che diffida dell’economia di mercato e
tende a mutuare da Trump, declinandolo in una versione di sinistra, il
suo lessico populista e protezionista. La stella Ocasio nasce, infatti,
da una frattura: alle primarie del 26 giugno scorso questa debuttante
della politica - una studentessa prodigio alla quale è stato dedicato,
per meriti scolastici, un asteroide, il 23238 Ocasio-Cortez, ma che poi,
laureata a Boston in economia e relazioni internazionali, ha preferito
tornare a New York per fare lavoro sociale mantenendosi con impieghi
umili — ha battuto a sorpresa, mettendo fine alla sua carriera, un
personaggio-chiave dell’establishment democratico: Joe Crawley, il
numero tre nella linea di comando del partito che aveva l’appoggio del
sindaco di New York, Bill de Blasio, del governatore dello Stato, Andrew
Cuomo, dei due senatori di New York (Chuck Schumer e Kirsten
Gillibrand), di 31 sindacati e anche di organizzazioni ambientaliste
come il Sierra Club.
Alexandria, che è cresciuta politicamente
lavorando per la campagna presidenziale di Bernie Sanders, il radicale
che nel 2016 contese fino all’ultimo la nomination democratica alla
Clinton, si definisce una socialista democratica. Oltre che per i
diritti delle donne e delle minoranze etniche e sessuali e per un
«sentiero verso la cittadinanza» per tutti gli immigrati, clandestini
compresi, la pasionaria di New York si batte anche per far avanzare una
piattaforma fatta di sanità universale, di college gratuito per tutti
gli studenti universitari e di vincoli stringenti per combattere
l’emergenza del deterioramento ambientale. Misure che non hanno nulla di
rivoluzionario, ma che spaventano molti americani, se non altro per i
loro enormi costi.
Oltre che un referendum su Trump, il voto di ieri è
stato una verifica sul futuro del partito democratico. La sinistra
liberal, sempre più venata di populismo, incarnata da Sanders, dalla
senatrice Elizabeth Warren e, ora, da Ocasio, riuscirà a conquistare
l’anima dei democratici o diventerà una sorta di Tea Party di sinistra?
La
rivista Vogue, tra le prime a dedicare un profilo ad Alexandria, l’ha
condito con un dubbio inquietante: «Difficile prevedere se diventerà una
Sarah Palin, un Barack Obama o un dittatore venezuelano».