Corriere 2.11.18
La geopolitica dei muri
Trump, i miti del complotto
e la carovana dei migranti
di Donatella Di Cesare
Quando
arriveranno alla frontiera con gli Stati Uniti? Forse una minuscola
avanguardia giungerà tra un mese. Ma per i più la smisurata distanza del
territorio messicano è un ostacolo insuperabile. Non si sa quanti siano
davvero: tremila, quattromila, seimila. Nessuno può contarli. Ormai si
sono sparsi e frammentati.
Certo è che il 12 ottobre molti
honduregni, rispondendo a un messaggio rilanciato sui social network, si
sono messi in marcia verso l’America. Hanno formato una carovana
partita da San Pedro Lula. Insieme si è meno vulnerabili. Si sono
aggiunti per via guatemaltechi e salvadoregni, trascinati dalla
convinzione di quei migranti, ma come loro spinti dalla miseria, dalla
violenza, dalla fame, dall’assenza di un futuro.
La loro scelta è
esistenziale: cercano una nuova vita. Ma la carovana dei migranti è
anche una mobilitazione politica. Sta qui la novità. La loro fuga è una
protesta aperta. È un manifesto. Perciò in poco tempo è assurta a
simbolo. Inutile voler parlare qui di «clandestini», quello stigma che
colpisce chi muovendosi tra le frontiere si sottrarrebbe alla luce del
giorno dissimulandosi. Nella carovana nessuno vuole nascondersi. I
migranti della carovana si fermano a parlare con giornalisti e reporter,
si affacciano agli obiettivi dei fotografi. Ciascuno racconta la sua
storia, ripercorre le tappe di quel drammatico viaggio. All’unisono
gridano che nei loro paesi dimenticati i poveri non riescono a
sopravvivere.
Trump non ha esitato a criminalizzarli: nella
carovana ci sarebbero avanzi di galera, terroristi potenziali, nemici
occulti. Ed è pronto a spedire oltre 15.000 militari. Ma la carovana
appare piuttosto un convoglio di umiliati, espulsi, sconfitti. Donne
anziane con i loro nipoti, adolescenti fuggiti di casa, moltissimi
bambini. Di qui l’allarme di Save the children: già stremati per il
viaggio estenuante, i minori vanno «trattati con umanità». Chiedere
asilo non è un crimine.
Eppure il governo americano, che già
detiene illegalmente più di 13.000 minori non accompagnati, ha
annunciato ulteriori misure punitive, mentre Trump vorrebbe addirittura
abolire il 14° emendamento della Costituzione che garantisce la
cittadinanza a chi nasca sul suolo americano. Ne verrebbero colpiti i
figli di coloro che vivono e lavorano già da tempo negli Stati Uniti. È
possibile cancellare con un colpo di spugna un diritto costituzionale?
Certo che no. Ma le elezioni di midterm sono alle porte e Trump continua
a soffiare sul fuoco, annunciando boriosi proclami, fomentando l’odio,
sfruttando la paura, gridando al complotto. Sono queste – tra miopia e
malafede – le sue armi. In America, dove l’antisemitismo era relegato al
ricordo, non era mai avvenuto un attacco a una sinagoga. Ed ecco che
ora gli ebrei – così vuole uno dei tanti miti complottistici – sono
ritenuti responsabili di quella «sostituzione etnica» della «razza
bianca» che sarebbe ormai in atto. Persuaso di ciò, il terrorista di
estrema destra ha fatto strage a Pittsburgh.
È difficile
contrastare i pericolosi miti del complotto che offrono a chi non ha
voglia di leggere, studiare, pensare, una facile scorciatoia
interpretativa. I complottisti nostrani sono già alla ricerca del
burattinaio che avrebbe messo in moto la carovana. Come se i migranti
fossero pacchi e non persone in grado di decidere.
Non si tratta
di essere pro o contro, bensì di guardare al fenomeno nella sua
complessità. I migranti nel mondo sono ormai più di 250 milioni, un vero
continente. Stupisce che il numero non sia più elevato, se un quarto
dell’umanità dispone di ricchezze e risorse precluse agli altri tre
quarti, se si è andata accentuando l’enorme disparità tra la sfera del
mondo occidentale e i perdenti della globalizzazione, mentre è
cresciuta, grazie ai nuovi media, la consapevolezza che una vita
migliore sia possibile. Non è difficile ipotizzare che le cifre
aumenteranno.
Come la carovana, il continente dei migranti è un
variegato popolo in movimento che sfida le frontiere dell’ordine
mondiale. Contro questo popolo si erge lo Stato-nazione, ultimo baluardo
del vecchio assetto. Lo scontro attuale è tra la sovranità statuale e
il diritto di migrare. La geopolitica dei muri segna però anche quello
scontro tra Nord e Sud, antico per via di uno squilibrio profondo, che
sembra incolmabile, ma esasperato oggi da un’ostilità prima
sottotraccia. Nessuna compassione, né indulgenza, né solidarietà. La
nuova frontiera è quella di un Nord deciso a contenere la spinta
dell’immigrazione, anche a costo di murare la democrazia e di cancellare
i diritti umani.