Corriere 2.11.18
L’Europa, le idee
Lezioni dolorose a sinistra
di Paolo Lepri
La
sinistra democratica in Europa è un grande campo di rovine. La città
dell’utopia progressista è crollata. Molti abitanti sono scappati —
profughi che hanno trovato nuove patrie — oppure sono rimasti tra le
macerie in attesa di una ricostruzione per la quale manca quello spirito
che dovrebbe segnare le stagioni di una dopostoria. Non riceve risposta
chi bussa per avere istruzioni alla porta della casa comune.
È
inutile guardare al passato. La Spd di Helmut Schmidt (il cancelliere
che ha combattuto l’attacco eversivo contro lo Stato) annaspa in un
quadripartitismo che sta soppiantando lo scenario quasi obbligato delle
«grandi coalizioni». I socialisti francesi sono ridotti all’irrilevanza,
dopo gli anni orgogliosi del mitterrandismo, e un dirigente che ha
conosciuto brucianti umiliazioni come Benoît Hamon (6,4% alle
presidenziali 2017) lancia appelli «agli orfani di una grande idea» per
creare un movimento «democratico e fraterno». Nei Paesi nordici —
pensiamo soprattutto alla Svezia — l’era del welfare è tramontata.
Da
noi è prevalsa la scelta di confrontarsi senza azzerare gli errori, le
rivalità, le ambizioni sbagliate, procedendo a vista su una nave che
imbarca acque limacciose. Si è fatta politica come se non fosse cambiato
niente. Ne è una chiara dimostrazione l’assurdo dibattito
post-elettorale nel Partito democratico, divisosi animosamente
sull’eventualità di un fantapolitico accordo di governo con il movimento
Cinque Stelle.
D ove il destino sembra meno cupo, non mancano
certamente interrogativi. A Londra, seppellita senza gratitudine
l’eredità di Blair, il corbynismo non riesce a sciogliere contraddizioni
legate ad un atteggiamento equivoco sulla Brexit e provocate dalla
prospettiva di un socialismo d’antiquariato. In Spagna Pedro Sánchez è
arrivato alla Moncloa grazie a un abile colpo di mano — i cui effetti
andranno valutati con realismo, senza prevenzioni — e all’alleanza con
un movimento, Podemos, molto lontano dai socialisti. Il caso portoghese,
con i suoi imprevisti risultati positivi, sembra un’eccezione che
conferma la regola.
Assistiamo ad uno spettacolo, insomma, che
dovrebbe preoccupare anche chi non appartiene a questo campo, visto che i
partiti in declino di cui stiamo parlando hanno garantito il rispetto
delle regole e dei valori fondanti delle nostre società. Tanto da essere
identificati con le élite lontane dalla vita dei cittadini grazie alla
martellante (e non del tutto immotivata) propaganda degli avversari.
Questi valori fondanti — il primato della democrazia e la difesa delle
libertà — non sono naturalmente proprietà esclusiva della sinistra, ma
anche delle forze di ispirazioni liberale e cristiana. L’importante è
aggiornarli alla luce del presente. «La democrazia è un ordine dinamico,
capace di apprendere», scrive la tedesca Carolin Emcke, autrice di
Contro l’odio .
Sulle cause che hanno prodotto questa situazione
(insieme a motivi specifici in ogni singolo Paese) è stata detta
soprattutto una cosa, giusta ma non sufficiente, chiamando in causa la
globalizzazione. «La visione che le politiche di sinistra siano
impotenti di fronte alla forza totale di un’economia globalizzata è
stata ripetuta così tante volte che è diventata un cliché, ma non è mai
stata confutata in maniera convincente», ricorda su The New Statesman
Chris Bickerton. «E non c’è nessuna prova — aggiunge — che l’Unione
Europea possa compensare la debolezza degli Stati nazionali». Su questo
siamo meno d’accordo. Ma lasciamo fuori per il momento l’Europa e
cerchiamo di entrare nell’immaginario degli elettori .
Ad essere
oggi in crisi (anche, ma non solo, per una serie di fenomeni epocali,
come quello dell’ondata immigratoria mal regolata) è lo stesso concetto
di solidarietà. O meglio, le nostre società sembrano non esprimere più
il sentimento di solidarietà attraverso la mediazione delle forze
politiche storiche. Mentre invece i partiti della sinistra moderata
«tradizionale» parlano sempre degli «altri» e mai delle persone a cui
parlano. Programmi astrattamente solidali e orientati alla riduzione
delle diseguaglianze non bastano più, da soli, in una società sempre più
diseguale: una società divisa al suo interno in modo ben più differente
che nel passato ed esposta ad una narrazione neo-autoritaria (come
scrive Jason Stanley in How Fascism Works ) impostata sulla politica del
«noi» contro «loro».
Il secondo problema è che è stato regalato
alla destra il concetto di identità. John B. Judis, autore di The
National Revival: Trade, Immigration, and the Revolt Against
Globalization , sostiene che «il declino dei partiti liberali e
socialdemocratici è il risultato almeno in parte delle loro incapacità
di distinguere che cosa sia giustificabile e legittimo nel nazionalismo
da ciò che è ristretto, intollerante, contrario a quegli interessi che
il nazionalismo afferma invece di tutelare». Può darsi. In ogni caso,
rivendicare identità nel contesto europeo vuol dire anche agire perché
l’Unione non abbandoni i più deboli e i più esposti alle pressioni
esterne. È molto probabile che un maggiore coraggio dei
socialdemocratici tedeschi nel puntare sulla crescita — spingendo per
una politica economica più espansiva — avrebbe rallentato la loro caduta
e diminuito le difficoltà di tutti i progressisti nell’Ue.
Se
questo è vero, la proposta di un fondo comune europeo per la
disoccupazione, suggerita dal ministro delle Finanze tedesco Olaf
Scholz, è un’idea che dovrebbe andare avanti. Ma l’impressione, più in
generale, è che socialdemocratici e socialisti debbano guardare altrove,
senza dimenticare le loro radici. Il successo dei Verdi tedeschi è
emblematico. Sono rinati, dopo le divisioni tra realisti e
fondamentalisti, per merito della capacità di intercettare voti che in
altri Paesi hanno preso direzioni inaspettate. Il merito è di un
programma più vicino ai giovani, alle donne e meno ai pensionati che
frequentano il Willy-Brandt-Haus a Kreuzberg. A questo riguardo Maurizio
Ferrera osserva giustamente su La Lettura che «la tutela e la
sostenibilità ambientale sono ancora la priorità numero uno, ma senza
nessuna indulgenza verso ideologismi no-global, pacifismo senza se e
senza ma, scenari di decrescita felice». Passando in Francia, è
interessante che un intellettuale come Raphaël Glucksmann inviti la sua
generazione a reinventare una sinistra in stato di «morte cerebrale» e
scriva un saggio intitolato Les Enfants du vide nel quale parla di
ecologia politica, democrazia diretta, lotta contro le lobby,
decentralizzazione .
Sono solo esempi, ma è dalle idee che deve
passare una rifondazione «europea» dei partiti di sinistra moderata (che
non è in contrasto con la loro ricerca di identità) basata su
sentimenti comuni e sulla rottura della logica di famiglie politiche
polverose. È l’unica arma, questa, per evitare una battuta d’arresto
collettiva nelle elezioni della primavera prossima. Serve però un’altra
cosa, altrettanto importante: la nascita di una classe dirigente
diversa, completamente lontana dal passato, in tutti i Paesi dove è
stata conosciuta la sconfitta. Altro che nuovismo o rottamazioni. Si
tratta di cambiare tutto .