domenica 25 novembre 2018

Corriere 25.11.18
L’ago della bilancia
Lo scontro Washington-Pechino non è economico ma politico
L’effetto europeo
Una nuova guerra fredda avrebbe l’effetto di separare ulteriormente gli interessi dell’Europa da quelli Usa
di Sergio Romano


Quando gli studenti di Pechino riempirono piazza Tienanmen, nella primavera del 1989, e una copia della Statua della Libertà fece la sua apparizione di fronte alla Città Proibita, il presidente americano era un repubblicano, George H. W. Bush, che aveva rappresentato gli Stati Uniti in Cina per 14 mesi fra il 1975 e il 1976, dopo la ripresa dei rapporti diplomatici fra i due Paesi. Mentre molti governi, fra cui persino il leader sovietico Michail Gorbaciov, credevano che in Cina stesse soffiando finalmente il vento della libertà e non nascondevano la loro simpatia per i manifestanti, Bush adottò una linea prudente e lasciò intendere che gli Usa non avrebbero mosso un dito per favorire un cambio di regime. Era convinto che la riforma di cui la Cina aveva bisogno fosse quella economica che Deng Xiaoping aveva lanciato nel 1978 con il programma delle quattro modernizzazioni; e sapeva che quella riforma sarebbe stata possibile soltanto se il partito comunista cinese avesse conservato un rigoroso controllo dell’apparato statale e della società civile. Non aveva torto. I risultati raggiunti negli ultimi trent’anni hanno dimostrato che le grandi trasformazioni, in questo immenso Paese, sono realizzabili soltanto se il potere è nelle mani di un forte gruppo dirigente. Ne abbiamo avuto una recente dimostrazione assistendo alla prontezza con cui Xi Jinping ha reagito a uno degli inevitabili effetti dello straordinario sviluppo economico degli anni precedenti. Soltanto un regime autoritario poteva stroncare con altrettanta rapidità e durezza la corruzione che si stava pericolosamente diffondendo nella macchina dello Stato e del partito. Gli Stati Uniti di Trump hanno adottato una linea opposta. La Cina viene accusata di avere sviluppato la propria economia con metodi truffaldini e la Casa Bianca annuncia un aumento dei dazi (dal 10% al 25%) che colpirà dal 1° di gennaio un pacchetto d’importazioni cinesi pari a 250 miliardi di dollari. La misura è economicamente discutibile. La straordinaria crescita del Pil cinese e la nascita di una dinamica società dei consumi giovano anche alle esportazioni americane e alle numerose ditte degli Stati Uniti che hanno deciso di localizzare in Cina le loro produzioni. Se il problema fosse veramente economico, le intese e i compromessi sarebbero sempre possibili. Ma le considerazioni a cui si ispira Trump sono prevalentemente politiche. Esiste oggi in America una corrente di pensiero per cui la Cina di Xi è il nemico di domani, un concorrente che potrebbe strappare a Washington il suo ruolo egemonico in Asia. E la Cina, dal canto suo, reagisce costruendo nuove basi militari nelle isole che costellano i mari meridionali del continente. Potremmo assistere, di questo passo, a una nuova guerra fredda che avrebbe l’effetto di separare ulteriormente gli interessi dell’Europa da quelli degli Stati Uniti.