sabato 17 novembre 2018

Corriere 17.11.18
Khmer Rossi in Cambogia, finalmente condannati anche per genocidio
di Marco Del Corona


Che avessero contribuito a concepire e attuare uno dei maggiori massacri di un già molto insanguinato Novecento era verità acquisita, e infatti Nuon Chea e Khieu Samphan erano stati condannati all’ergastolo per crimini contro l’umanità e per altri capi d’accusa dal tribunale misto (cambogiano e internazionale) istituito nel 2006 per giudicare i capi dei Khmer rossi. Nuon e Khieu, 92 e 87 anni, sono tutto ciò che rimane della leadership del movimento rivoluzionario ultramaoista e ultranazionalista guidato da Pol Pot (1925-1998) che fra il 17 aprile 1975 e il 7 gennaio 1979 eliminò circa un milione 700 mila persone. Ieri la corte di Phnom Penh li ha giudicati colpevoli di genocidio, per aver deliberatamente spazzato via dalla Cambogia due gruppi etnici: i vietnamiti, deportati e massacrati, e di questo sono colpevoli entrambi; e la minoranza dei musulmani cham (almeno 100 mila vittime), di questo colpevole solo Nuon Chea, «fratello numero due» dopo Pol Pot. La purezza della razza, la ricerca di una cambogianità perfetta in un Paese da riportare alla grandezza dell’impero di Angkor erano elementi costitutivi della rivoluzione, ma mancava la sanzione giuridica: aver provocato la morte del proprio popolo con uccisioni sistematiche, superlavoro, fame e malattie configurava piuttosto quello che alcuni studiosi indicano come «democidio», mentre finora non si era arrivati a circoscrivere con nettezza anche il genocidio. Nella sostanza non cambia molto: massacro era, massacro resta, e ai sopravvissuti rimane il conforto almeno di un simulacro di giustizia. Ma il processo, costato 300 milioni di dollari e ora sostanzialmente in esaurimento, serve anche a rammentare che la storia è costituita da fatti, e verificati i fatti è possibile dare un nome alle cose. Ed è chiamando le cose con il loro nome che possiamo guardare al passato come a una mappa per il mondo e per l’anima.