Repubblica Le idee
La democrazia ferita dalla paura dell’uomo nero
di Massimo Recalcati
Partendo
dal "caso Macerata" e dalla folle caccia alle persone di colore, Ezio
Mauro costruisce nel nuovo libro un’inchiesta che allarga la cronaca a
un’indagine su una mutazione culturale. Quella dell’Italia e della
deriva razzista
La democrazia non è per forza liberale», dichiara Zoltan Kovacs, ideologo del premier neoconservatore e reazionario Orbán.
Una
mutazione profonda sta investendo il nostro concetto di democrazia. È
questa la posta in gioco dell’ultimo libro di Ezio Mauro intitolato
L’uomo bianco. Se Pasolini negli anni Settanta aveva segnalato la
mutazione che stava stravolgendo il volto dell’uomo, con questo libro
Mauro intercetta quella in corso che sta stravolgendo il volto della
democrazia. Il suo punto di partenza è un fatto di cronaca politica. Il 9
febbraio 2018 un uomo bianco, Luca Traini, spara in una città italiana
contro uomini sconosciuti, colpevoli solo di avere la pelle nera,
ferendone sei.
Il suo intento è quello di vendicare Pamela, una
ragazza violentata e fatta a pezzi da un nigeriano. Ha tatuato sul collo
la parola "Lupo".
È così che si fa chiamare ed è così che si
sente essere: un lupo solitario, un giustiziere che, come in un
videogioco, è solo contro tutti. Prima di essere arrestato alza il
braccio nel saluto romano gridando "Viva l’Italia!".
Ezio Mauro
eleva questo triste ed inquietante episodio a sintomo di una mutazione
culturale. Se Bauman, Byung-Chul e Fisher hanno indagato con
intelligenza critica le ultime metamorfosi del capitalismo e le sue
conseguenze sociali, Mauro si sofferma invece sulla dimensione della
politica. In quell’episodio razzista egli non vede la manifestazione
isolata di follia, ma l’affermazione di un "nuovo egoismo", "di una
cultura svilita a strumento esclusivo di selezione e di separazione" che
sta modificando sensibilmente il nostro concetto di democrazia.
Questo
"nuovo egoismo" sorge nel cuore dell’Europa e invoca muri e i fili
spinati. Si tratta di un movimento regressivo che fa scivolare la nostra
nozione di identità verso un primitivismo arcaico che trasfigura il
colore della pelle in una insegna culturale. Follia e barbarie che
scompaginano le conquiste più elementari della democrazia: gli esseri
umani hanno uguale dignità qualunque sia il colore della loro pelle, il
loro credo, la loro estrazione sociale. In un tempo smarrito come il
nostro la spinta regressiva fa saltare queste conquiste rivestendo
l’"elemento ancestrale della pelle" di un significato identitario che
esclude ogni forma di contaminazione.
L’apertura a mondi
differenti e plurali offerta dalla democrazia, viene richiusa
bruscamente da una spinta pulsionale securitaria che vorrebbe riportare
la Cultura alla Natura.
In questo modo il richiamo reazionario a
"pelle, vene, carne e sangue, rifugio e linfa del cuore" agisce come una
sorta di "antidoto atavico e improvvisamente modernissimo" di fronte
"al timore oscuro della dispersione identitaria". Al rischio della
contaminazione con lo straniero – alla fatica di una politica della
traduzione e della integrazione –, si preferisce l’evocazione del suolo,
della patria, del confine sicuro. Al lavoro difficile della democrazia,
si preferisce la brutale regressione impolitica ai corpi, al sangue,
alla terra.
La psicoanalisi già nell’epoca dei totalitarismi
novecenteschi aveva isolato con precisione il nesso che unisce lo
smarrimento di un popolo alla ricerca autoritaria di un padrone. Basti
ricordare, tra tutte, la celebre analisi di Reich sulla psicologia delle
masse del fascismo: il problema – dichiarava – non è perché le masse
abbiano sopportato senza reagire l’oppressione della dittatura fascista,
ma perché abbiano potuto desiderare il fascismo!
Di fronte alla
congiuntura insidiosa che stiamo vivendo, Mauro sembra ricollegarsi
indirettamente a quella stagione di riflessioni critiche sulla
psicologia delle masse.
Come allora anche oggi assistiamo allo
sgretolamento dell’umanismo e delle sue espressioni politiche – "la
solidarietà cristiana, la fraternità socialista, il buon senso
compassionevole liberale" – sotto i colpi di un populismo insieme
aggressivo e regressivo. In evidenza è la pietosa impotenza della
democrazia di fronte al richiamo irresistibile della pulsione
securitaria. È quello che accade, commenta Mauro, quando "gli istinti
prendono il potere", "quando tutto torna agli elementi primordiali",
alla "sostanza biologica primitiva". Il peccato dello straniero non è di
classe, ma di sangue; è un "peccato d’origine". Di qui il meccanismo
del capro espiatorio che addossa le ragioni dell’angoscia a chi si trova
a vivere senza diritto sul nostro territorio.
Non si tratta più
di governare politicamente il transito difficile imposto dai processi
della globalizzazione, di preservare la lenta costruzione della
convivenza democratica, ma di purificare il più rapidamente possibile
dai germi dello straniero il corpo della nazione. Non si può non
avvertire qui la risonanza spaventosa di quello che l’Europa ha già
vissuto nella sua stagione più infame. Quando l’istinto si separa dalla
storia, quando i cittadini invocano la loro sicurezza in cambio dei loro
diritti, quando il concetto di razza torna a circolare nel dibattito
politico, la democrazia stessa è messa in crisi nel suo fondamento. In
gioco non è tanto il rischio di un ritorno politico del fascismo, ma di
un desiderio di ordine, di disciplina e di sicurezza che destabilizza la
dimensione vocazionalmente aperta della democrazia. Non è un caso che
le due parole d’ordine del fascismo della prima ora, ovvero la necessità
di assicurare la protezione dei cittadini e la ribellione contro il
sistema, siano divenuti i capisaldi ideologici dei due movimenti
politici che nel nostro Paese incarnano la regressione populista. Da un
lato la capitalizzazione del rancore generata dal sentimento di
abbandono e di insicurezza vissuto dalle classi più povere, dall’altro
l’aggressione alle istituzioni democratiche vissute come parassitarie ed
avariate. Da una parte i fautori del muro e della segregazione,
dell’universo indigeno, fatto di terra, sangue, confini rigidi e colore
della pelle, e dall’altra, i mistici dell’uno vale uno che trasformano
"l’incompetenza anonima del singolo in virtù del popolo", che inneggiano
all’ignoranza come se fosse la prova suprema di innocenza e verginità
ideale.
"Predicatori della fine del mondo", li definisce Mauro. La
spinta a ricominciare da zero contrassegna, infatti, storicamente lo
spirito di ogni totalitarismo. È il mito di una rigenerazione, di un
cambiamento che non lascia sopravvivere nulla di ciò che è stato.
Nemmeno la memoria. È il nucleo della psicologia delle masse fascista:
il vincolo solidale si spezza nel nome di una difesa della propria
identità contro ogni forma di imbastardimento. La forma liquida dei
legami di cui ha parlato Bauman deve allora essere integrata con questa
nuova tendenza alla regressione identitaria, da questa spinta verso una
solidità securitaria che esclude il differente. È il successo dei
predicatori dell’odio come sono Trump, Le Pen e il nostrano Salvini: la
chiusura prevale sull’apertura, la paura sulla fiducia, l’odio sul
dialogo. Ma non si tratta di semplice analfabetismo politico come una
certa sinistra elitaria ha voluto interpretare. La psicoanalisi lo
conferma: l’istinto fascista che il populismo ha rianimato concerne una
inclinazione fondamentale dell’umano più che la sua disumanizzazione.
La
richiesta di sicurezza, di protezione, di riparo viene dalla dimensione
più profonda della vita pulsionale. Il baratto tra la libertà e la
schiavitù accompagna da sempre come un’ombra spessa la vita dell’uomo.
Gli uomini possono desiderare ardentemente le loro catene piuttosto
della loro libertà. Il libro di Ezio Mauro pone questo grande tema al
centro dell’avvenire della democrazia nel nostro Paese e in Europa. La
sua tesi è che l’emancipazione legata all’acquisizione dei diritti non
può essere disgiunta dall’"emancipazione dal bisogno, dalla paura, dalla
solitudine e dalla precarietà dell’esistenza".
Mostrare la
centralità di questo nesso dovrebbe costituire il primo passo per una
rinascita di una sinistra riformista. Senza questa alternativa al
populismo, la nostra democrazia, come sottolinea Mauro al termine del
suo incisivo libro, rischia di assomigliare alla vita di una conchiglia
sulla spiaggia che mentre conserva ancora la sua bella forma sta, in
realtà, irreversibilmente morendo.«a volte ritornano»