Repubblica 5.10.18
Sinwar (Hamas)
“Basta guerre, è ora di cambiare”
Intervista di Francesca Borri,
GAZA
Mentre gli scontri al confine di Gaza si intensificano, il leader di
Hamas, Yahya Sinwar, in una rara intervista con la stampa internazionale
lancia un messaggio a Israele. «C’è una reale opportunità per il
cambiamento.
La guerra non è nel nostro interesse. Ma nella situazione attuale un’esplosione è inevitabile».
Non incontra spesso la stampa, ma è a capo di Hamas da più di un anno. Perché parla ora?
«Perché è adesso che c’è un’opportunità di cambiamento.
L’opportunità di avere infine sicurezza e stabilità».
Un’opportunità? Adesso?
«Adesso. Sì».
La cosa più probabile, a Gaza, sembra una nuova guerra. In quest’ultima ondata di proteste si sono avuti quasi 200 morti.
«Mentre
dall’altra parte un morto solo. Intanto direi che ‘guerra’ è termine
fuorviante: non è che a Gaza a un certo punto c’è una guerra e gli altri
giorni c’è la pace.
Siamo sempre sotto occupazione: l’aggressione
è quotidiana. Varia di intensità. Tutto qui. E comunque la verità è che
una nuova guerra non è nell’interesse di nessuno. Di certo, non è nel
nostro: chi ha voglia di fronteggiare una potenza nucleare con due
fionde? E però, se è vero che non possiamo vincere, per Netanyahu
vincere sarebbe anche peggio che perdere. Perché questa sarebbe la
quarta guerra. Non può concludersi come la terza, che già si è conclusa
come la seconda, che già si è conclusa come la prima.
Dovrebbero
riconquistare Gaza. E non penso che Netanyahu, che sta già tentando di
tutto per sbarazzarsi dei palestinesi della West Bank, e mantenere una
maggioranza ebraica, desideri altri due milioni di arabi. No. Con la
guerra non si ottiene niente».
Suona un po’ strano, detto da uno che viene dall’ala militare di Hamas.
«Non sono a capo di una milizia.
Vengo
da Hamas e basta. Sono a capo di una cosa decisamente più complessa: un
movimento di liberazione nazionale. E il mio primo obbligo è agire
nell’interesse del mio popolo: difenderlo, e difendere il suo diritto a
libertà e indipendenza. Lei è una corrispondente di guerra. Ha voglia di
guerra?»
No.
«E allora perché dovrei averne io?
Chi conosce la guerra, non ha voglia di guerra».
Ma lei ha combattuto tutta la vita.
«Infatti non sto dicendo che non combatterò più. Sto dicendo che non voglio più guerre. Voglio la fine dell’assedio».
I confini di Gaza sono più o meno chiusi da 11 anni. Non c’è più neppure l’acqua. Com’è vivere qui?
«E
come crede che sia? Il 55 per cento della popolazione ha meno di 15
anni. Non stiamo parlando di terroristi: stiamo parlando di bambini. Non
hanno nessuna tessera di partito. Hanno paura.
Paura e basta. Voglio che siano liberi».
L’80
per cento della popolazione vive di aiuti umanitari, ma Hamas in questi
anni ha trovato le risorse per costruire i suoi tunnel.
«E per
fortuna. Altrimenti saremmo morti tutti. È iniziato l’assedio, è
iniziata la crisi e per sopravvivere a noi non è rimasto che costruire i
tunnel. In certi momenti qui non entrava neanche il latte».
Non pensa di avere delle responsabilità?
«La
responsabilità è di chi ha chiuso i confini, non di chi ha provato a
riaprirli. La mia responsabilità è cooperare con chiunque possa aiutarci
e mi riferisco soprattutto alla comunità internazionale».
E invece che armi, allora, non potevate comprare il latte?
«Se siamo ancora vivi, evidentemente l’abbiamo comprato. Il latte e molto altro.
Cibo,
medicine. Siamo 2 milioni. I tunnel sono soltanto in minima parte per
la resistenza e perché altrimenti non muori di fame, è vero, ma muori
bombardato. E per la resistenza Hamas usa fondi propri. Non pubblici».
Quindi Hamas ora è dell’idea di un cessate il fuoco con Israele.
Che cosa intende per cessate il fuoco?
«Un cessate il fuoco. Calma assoluta».
Calma in cambio di calma?
«No. Calma in cambio di calma e della fine dell’assedio. L’assedio non è calma».
Calma per quanto tempo?
«Quello che conta realmente è che cosa succede intanto sul terreno.
Perché
se il cessate il fuoco significa che non veniamo bombardati, sì, ma
continuiamo a non avere acqua, elettricità, niente, continuiamo a vivere
sotto assedio, non ha senso. Perché l’assedio è una forma di guerra. E
tra l’altro è un crimine per il diritto internazionale. Non c’è cessate
il fuoco sotto assedio. Ma se Gaza torna normale, invece, se arrivano
non soltanto aiuti umanitari, ma investimenti, imprese, sviluppo, se
iniziamo a percepire una differenza, allora possiamo andare avanti. E
quello che so è che Hamas si impegnerà al suo meglio».
Hamas, durante il cessate il fuoco, terrebbe le sue armi? O accettereste una protezione internazionale, i caschi blu?
«Tipo Srebrenica?»
Deduco che sia un no.
«Deduce bene».
Molti
pensano a Hamas e non pensano alle mense. Pensano alla seconda
Intifada. Agli attentati suicidi. Per gli israeliani lei è un
terrorista.
«Che è quello che loro sono per me».
Sembra un ottimo inizio, per il cessate il fuoco...
«E che dovrei dirle? Abbiamo colpito civili? Hanno colpito civili.
Hanno sofferto? Abbiamo sofferto.
Mi racconti di un qualsiasi loro morto e io le racconterò di un nostro morto. Di dieci nostri morti».
Che cosa pensa del piano di pace di Trump? Anche se non è molto chiaro di che cosa si tratti.
«Si
tratta dell’eliminazione di ogni nostra prospettiva di libertà e di
indipendenza. Non c’è sovranità, non c’è Gerusalemme. Non c’è il diritto
al ritorno... Mi è più semplice dire quello che c’è: il nostro no. E
non soltanto di Hamas. Su questo, siamo tutti uniti. No».
Dovesse
riassumermi tutto questo in una frase, in una sola frase, qual è il
messaggio che vorrebbe restasse più impresso ai lettori?
«È tempo di cambiare. Tempo di finirla con questo assedio. E cambiare».
Di che cosa stiamo parlando
Ieri
l’esercito israeliano ha rafforzato lo schieramento attorno a Gaza.
Oggi è in programma un’altra “Marcia del ritorno”, protesta appoggiata
da Hamas, lungo la frontiera.
L’esercito ha detto di essere pronto
“a vari scenari” e a livello diplomatico si moltiplicano gli sforzi per
arrivare a un cessate il fuoco. L’intervista a Sinwar, pubblicata anche
dal quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, apre a questa possibilità.